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Vivere non è soltanto continuare a respirare

di Mario Ricciardi - 10/07/2008


La decisione con cui la Corte d'Appello di Milano ha accolto la richiesta del padre di Eluana Englaro di avere l'autorizzazione a sospendere l'alimentazione e l'idratazione della figlia, in coma vegetativo permanente da sedici anni, dovrebbe por fine a una lunga e tormentata vicenda giudiziaria. Da quando è rimasta vittima di un incidente stradale, gli organi vitali della donna funzionano perché il suo corpo è collegato a macchine che le somministrano ciò di cui ha bisogno. Tale situazione si è protratta oltre il limite che buona parte della comunità scientifica ritiene ragionevole. Infatti, c'è largo consenso tra i medici nel negare la possibilità, sia pure remota, che un essere umano che si trova nella condizione di Eluana si risvegli ritornando alla coscienza.
Ciò nonostante, la domanda di sospensione del trattamento è stata respinta diverse volte in passato. Uno spiraglio si è aperto soltanto con la sentenza della Cassazione del 16 ottobre del 2007, che ha riconosciuto la legittimità della richiesta di sospendere i trattamenti se sono soddisfatte due condizioni: che (1) lo stato vegetativo del paziente sia irreversibile e che (2) si accerti, sulla base di elementi di fatto ritenuti attendibili dai giudici, che il paziente, quando era cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
La pronuncia della Corte di Cassazione ha fornito alla Corte d'Appello di Milano una cornice normativa - per quanto formulata in modo inevitabilmente vago - entro la quale dare risposta alla richiesta del padre di Eluana, che ne è anche il tutore legale. La concessione dell'autorizzazione indica che i giudici milanesi hanno ritenuto che le due condizioni sono soddisfatte, e quindi si può procedere con il distacco dalle macchine che alimentano Eluana. Rimane tuttavia un'obiezione morale. Presentata più volte, specialmente da ambienti cattolici. La natura dell'obiezione è la seguente: cessare l'alimentazione e l'idratazione sarebbe inammissibile perché "nutrimento" e "acqua" non sono "terapie", e dunque non sarebbero coperte dal divieto di accanimento terapeutico. In altre parole, continuando a nutrire e a idratare il corpo di Eluana, i medici non la starebbero curando inutilmente, ma invece la terrebbero in vita. La conseguenza che se ne dovrebbe trarre è che cessare di farlo sarebbe equivalente a ucciderla. Si tratta di un'obiezione importante, che bisogna prendere sul serio. Tuttavia, non credo che si possa accoglierla. Se è vero che le sostanze nutritive che vengono somministrate a Eluana non sono in senso stretto "terapie", c'è da chiedersi se questa sia una ragione sufficiente per ritenere che sospenderle equivalga a uccidere un essere umano.
Si ha l'impressione che chi ragiona in questo modo assuma una concezione della vita che finisce per farla coincidere con lo svolgimento di certe funzioni di parti del corpo umano. Posta questa premessa, impedire che tali funzioni proseguano sarebbe indubbiamente un omicidio. Si tratta di una posizione sorprendente, soprattutto quando viene proposta da persone che non dovrebbero essere inclini a ridurre la vita alla materia. Appare inaccettabile l'idea che vivere sia semplicemente continuare a respirare. Oppure a digerire. Sorprende che questo modo di pensare sia difeso dai cattolici, perché la tradizione filosofica cui la chiesa si richiama intende la vita umana in modo più sofisticato, distinguendola dal semplice vegetare.