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Da Gramsci a Robin Hood

di Sergio Rizzo - 10/07/2008




Un giorno d'autunno del 2001, era ministro dell'Economia da pochi mesi, Giulio Tremonti prese letteralmente in contropiede il suo ospite: «Vuole la verità? Il nostro è un vero governo di sinistra. Guardi i primi provvedimenti che sono stati presi. L'aumento delle pensioni a un milione al mese non è forse di sinistra?» L'interlocutore di quel giorno ricorda ancora oggi molto bene il colloquio e la sorpresa che provò. La stessa che oggi non avrebbe dopo che il ministro dell'Economia ha preso sempre più gusto a spiazzare gli orfani della falce e martello. Come quella volta, poche settimane prima delle ultime elezioni politiche, che su You Tube definì «un genio» nientemeno che Karl Marx. Concetto ribadito una domenica del maggio seguente quando, nuovamente ministro dell'Economia da un paio di giorni appena, suggerì in diretta televisiva di «rileggere insieme sia Marx, rivalutato anche da Benedetto XVI, sia i Quaderni di Antonio Gramsci, che per l'epoca sono stati un'opera di assoluta modernità». Suggerimento ovviamente diretto a quelli della «sinistra» che «si vestono come manager, fumano sigari, hanno gli yacht».
Roba da far venire uno stranguglione perfino ai rifondaroli. Un giorno il subcomandante Fausto Bertinotti si è sentito scavalcato a sinistra al punto da dover rivendicare pubblicamente la primogenitura nella critica alla globalizzazione («I rischi degli eccessi della tecnofinanza denunciati da Tremonti noi li avevamo visti per tempo »). E un altro giorno il governatore della Sardegna Renato Soru, di centrosinistra, ha confessato di essere scandalizzato «perché se una tassa la mette Tremonti si chiama Robin Hood tax, se la mette la mia Regione sui megayacht diventa una schifezza».
Ma Tremonti, imperterrito, continua a entrare a gamba tesa sulla «sinistra», come aveva sempre fatto. Per esempio quando, descritto come un moderno Jean-Baptiste Colbert, non aveva mostrato particolari allergie verso possibili interventi dello Stato nel salvataggio della Fiat in crisi. O quando aveva dichiarato guerra alle banche, ritenute colpevoli di aver inondato i risparmiatori di bond
spazzatura, e all'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, gettando nell'imbarazzo anche pezzi non trascurabili del centrosinistra. Ma contrariamente al passato la sua battaglia «di sinistra » contiene riferimenti che qualche ideologo non esiterebbe a definire ancora oggi classisti. Contro la speculazione («la peste del ventunesimo secolo», o meglio ancora «una bottiglia di champagne magnum sopra il barile di petrolio»). Contro chi critica la Robin Hood tax («Dicono che pesa sui clienti? Prima tassavano gli operai»), e senza risparmiare ai petrolieri battute ustionanti come quella indirizzata al proprietario del-l'Inter Massimo Moratti: «Vorrà dire che ridurranno l'ingaggio a Mourinho...». Contro la globalizzazione «forzata». E contro la «cultura dei mutui subprime
»: dichiarazione che avrà fatto fare un salto sulla sedia a chi ha sempre criticato il Tremonti gran praticone della finanza creativa e delle cartolarizzazioni.
Ma tant'è. Il Giulio Tremonti di oggi, che si conferma «contro le culture globaliste, mercatiste e monetariste», e annuncia la creazione di «un fondo di sostegno per deboli e anziani» può permettersi di citare il Mahatma Gandhi, icona della sinistra pacifista, come «l'esempio più affascinante di protesta fiscale». E di rilanciare «l'economia sociale di mercato», modello tedesco che affascina tanto parte della sinistra quanto la destra sociale. Perché «il problema non è dividere quello che non c'è ma creare un maggiore prodotto da dividere secondo logica di giustizia». Resta da capire come la prenderanno i liberisti del suo schieramento. Che però, a dire la verità, sembrano un po' in disarmo.