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L’Italia boicotti le Olimpiadi

di Lorenzo Salvia - 11/07/2008

 
 

 

Cinque righe a fondo pagina e il rebus cinese si complica ancora di più. La commissione Esteri della Camera ha approvato una risoluzione, presentata dall’opposizione, che impegna il governo italiano a non partecipare alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi per protesta contro la repressione in Tibet. Un impegno vincolante, ma solo sul piano politico: se il governo deciderà di andare non ci saranno né crisi né sanzioni. Solo il tradimento di una richiesta del Parlamento, cosa abbastanza frequente nella politica di casa nostra. Ma resta il segnale della Camera, che arriva all’indomani dell’apertura di Silvio Berlusconi: «Penso che andrò, anche se devo verificare l’agenda». E dopo mesi di dichiarazioni guardinghe e contraddittorie, alla ricerca di un difficile equilibrio tra la solidarietà alla causa tibetana e i buoni rapporti con il Paese che ha l’economia più dinamica del mondo.

 

La risoluzione impegna il governo a «non partecipare con i suoi massimi rappresentanti politici», cioè dai ministri in su. Sarebbe quindi «salva» la partecipazione del sottosegretario allo Sport Rocco Crimi che, come rappresentante del settore, non viene invitato da Pechino ma dal Comitato olimpico internazionale. Ministri e premier potrebbero partire «solo in presenza di progressi effettivi e verificabili, anche dal Parlamento, del rispetto dei diritti umani in Cina e nella Regione del Tibet». Ipotesi difficile, visto che alla cerimonia (8 agosto) manca meno di un mese. Tanto più che il testo della Camera fissa un’altra condizione e cioè che ci siano «passi avanti nella definizione di una soluzione politica fra il governo cinese e quello tibetano in esilio».

 

Ma come è possibile che la Camera, dove pure il centrodestra ha una larga maggioranza, abbia contraddetto il presidente del Consiglio? Nessun voltafaccia, solo un buon numero di assenze. Complice una convocazione di buon’ora (inizio alle 9, voto poco dopo le io), prima della lunga maratona sul lodo Alfano. Su 45 componenti, in commissione Esteri si sono presentati in 18: 9 sì dall’opposizione, 8 no per la maggioranza, e l’astensione dell’Udc Ferdinando Adornato. Nonostante il doppio tentativo della maggioranza di evitare la sconfitta. Prima con la Lega, partito che per la causa tibetana ha una certa simpatia: il Carroccio ha sì proposto di rinviare il voto ma la richiesta è stata respinta dal presidente della commissione Stefano Stefani, leghista pure lui. Poi con Marco Zacchera, deputato di An che aveva firmato la risoluzione quando il partito era schierato per il no alla partecipazione: «ll governo si impegna a valutare di non partecipare ha provato ad ammorbidire il testo - con una decisione concordata con i Paesi europei». Bocciato.

 

«Il governo non può ignorare questo voto», dice Matteo Mecacci, il giovane deputato radicale autore della risoluzione. Dopo il voto è salito su un aereo per Yalta. No, non si è montato la testa. È stato consulente di varie organizzazioni internazionali, è uno di quei radicali sempre in giro per il mondo. E a Yalta oggi si parla di gas.