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I retroscena colombiani

di Danielle Bleitrach - 11/07/2008



Con la Colombia ci troviamo di fronte a una situazione straordinariamente complessa che non coinvolge solo gli attori locali rappresentati dal governo colombiano e dalle FARC, ma si pone all'interno di una geostrategia nella quale l'imperialismo statunitense intende utilizzare la Colombia come una sorta di Israele del Medio Oriente. Questo articolo tenta di analizzare queste sfide e come non si debba mai fare ciò che vuole l'avversario, e quali scelte debbano appoggiare i comunisti francesi e i progressisti. Come sempre si tratta di una soluzione che possa promuovere la pace nella regione e nel mondo.

Un'operazione degna della professionalità israeliana?
Ingrid Betancourt l'ha dichiarato al suo arrivo a Bogotà: l'operazione di infiltrazione delle FARC da parte dell'esercito colombiano, che ha reso possibile la sua liberazione e quella di quattordici altri ostaggi, aveva la destrezza, la minuziosità e la professionalità caratteristiche di un'operazione israeliana. Questa operazione, chiamata Operazione Jaque, dimostra quale sia il ruolo della Colombia nella strategia imperialista, non fosse che per la presenza degli israeliani. Un canale televisivo israeliano ha affermato giovedì che «la liberazione di Ingrid Betancourt è l'Entebbe dei colombiani», indicando la partecipazione del generale in congedo Israël Ziv, ex-membro dello Stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane. Ziv è il consulente israeliano numero uno in Colombia, ma non è il solo, secondo un canale televisivo israeliano, e ha beneficiato dell'aiuto di altri agenti segreti del Mossad o dello Shin Beth piazzati in Colombia per offrire sostegno al governo di Uribe.
Alla preparazione e alla realizzazione dell'operazione hanno partecipato attivamente dozzine di ufficiali tra cui tre generali, ex-agenti del Mossad e dello Shin Beth, e i servizi segreti israeliani. Sarebbero stati reclutati con un contratto da dieci milioni di dollari.
La maggior parte di questi consulenti, specializzati nella raccolta di informazioni, fa parte di Lancero, un programma di formazione alla lotta anti-insurrezionale che si occupa in particolare di interrogare i prigionieri secondo metodi deprecati nello stesso Israele dalle organizzazioni dei diritti dell'uomo.
Su questo blog abbiamo pubblicato l'intervista di Davidi, il segretario del Maki, il partito comunista israeliano, che ci aveva spiegato come Israele sia il primo fornitore di armamenti della Colombia: equipaggiamenti militari che secondo alcune pubblicazioni specializzate comprendono armi leggere, aerei spia senza pilota, sistemi di sorveglianza e di comunicazione e anche bombe speciali che permettono di distruggere le piantagioni di coca. (1)
La cooperazione tra i due paesi si è ulteriormente rafforzata lo scorso febbraio, con la visita in Israele del ministro della difesa colombiano, Juan Manuel Santos.
Questa presenza degli israeliani si è aggiunta ai servizi degli Stati Uniti, dei quali la Colombia già beneficiava. Questo paese in effetti rappresenta per l'imperialismo la piattaforma da cui lanciare tutte le azioni di destabilizzazione e di terrorismo contro i governi progressisti e in particolare contro il Venezuela.
In una recente comunicazione Fidel Castro ha messo ripetutamente in guardia contro le manovre della IV armata statunitense, che nel contesto dell'attuale crisi petrolifera potrebbe in qualsiasi momento approfittare di un pretesto fornito dalla Colombia per invadere il Venezuela. Va anche notato che questo paese subisce quotidianamente infiltrazioni, tentativi di destabilizzazione e perfino minacce d'assassinio che vengono dal suo vicino. Bisogna disinnescare la bomba.

La situazione interna colombiana
Il presidente Uribe non è solo l'uomo dei paramilitari e dei narcotrafficanti: è anche l'uomo degli Stati Uniti, che di lui possono dire quello che dicevano del crudele e corrotto dittatore del Nicaragua Somoza: “è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”. È un fatto che all'interno del paese Uribe è sempre più contestato, lui e la sua politica dello scontro.
In un recente articolo di Prensa latina, Rafael Calcines Armas analizzava la situazione in Colombia dopo il successo dell'operazione compiuta dall'esercito colombiano, con o senza l'aiuto degli agenti del Mossad e dei consulenti statunitensi. Queste le sue considerazioni:
“Sul piano interno il successo dell'azione militare sembra rafforzare la linea dello scontro con le FARC seguita dal governo, in accordo con la politica di sicurezza democratica sostenuta dal Presidente Uribe.

Gli stessi militari hanno ammesso che la liberazione si è svolta, grazie all'operazione, senza sparare una sola cartuccia.

La morte di uno qualunque degli ostaggi sarebbe stata un disastro per il governo, secondo gli analisti.
In questo caso le autorità hanno avuto fortuna, a differenza di altre volte in cui i tentativi di liberazione con la forza hanno provocato la morte degli ostaggi.
Per i fautori della rielezione del presidente Uribe, l'occasione offre un'opportunità eccezionale. La stampa a grande diffusione e le fazioni che lo sostengono non smettono di lodare l'uomo e la sua politica.
Questo successo storico sarà certamente usato per promuovere il mantenimento di Uribe a capo dell'esecutivo, in un momento in cui la sua legittimità è in discussione.

La corte suprema ha recentemente dichiarato illegittima la rielezione del governo perché si è scoperto che nella campagna del 2006 era stata commessa una frode elettorale che aveva portato Uribe alla presidenza per la seconda volta.

Uribe aveva risposto pronunciandosi a favore di un referendum popolare per legittimare la rielezione del 2006.
Se quel referendum si tenesse oggi, il successo dell'Operazione Jaque produrrebbe sicuramente ricchi dividendi.
Ma al là di questo si pone la questione della ricerca della pace nel paese.
Per una sezione della polarizzata società colombiana, l'azione militare rafforza l'idea che lo scontro armato con la guerriglia sia la soluzione. Gli altri sono favorevoli alla ricerca del dialogo per raggiungere un accordo umanitario che permetta la liberazione degli altri ostaggi in mano agli insorti.
Sembra che ci si dimentichi che, per le sue caratteristiche, è quasi impossibile che l'Operazione Jaque possa essere ripetuta e avere lo stesso successo con le FARC. Dunque si impone la necessità di sedersi al tavolo dei negoziati”
.

Questa analisi non solo sostiene la via pacifica, ma propone anche di cercare soluzioni che ostacolino l'azione degli Stati Uniti. Bisogna asportare le zanne velenose del presidente Uribe, attirandolo più o meno suo malgrado in seno all'America Latina come era stato fatto dopo l'assassinio di Reyes nel summit del gruppo di Rio.

È in questo contesto che bisogna analizzare l'intervento del presidente Chavez.

Il presidente Chavez si congratula con Uribe
Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha annunciato giovedì di aver telefonato al proprio omologo colombiano Alvaro Uribe per congratularsi per la liberazione dei quindici ostaggi da parte dell'esercito colombiano.
“Ci congratuliamo con la Colombia. Ho chiamato Uribe e gli ho espresso le mie felicitazioni”, ha dichiarato Chavez a Isla Margarita, nel nord del Venezuela, dove partecipava a una riunione dei paesi del Movimento dei non-allineati.
“Restiamo disponibili a offrire il nostro aiuto perché tutti gli ostaggi della guerriglia colombiana vengano liberati e si pervenga così alla pace, alla pace completa, in Colombia”, ha aggiunto Chavez, che all'inizio dell'anno aveva avuto un ruolo nella liberazione di sei ostaggi dei guerriglieri. Il capo di stato venezuelano ha fatto nuovamente appello alle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) perché rinuncino alla violenza e rilascino tutti gli ostaggi ancora in loro mano.
Dopo la liberazione da parte dell'esercito colombiano, mercoledì scorso, di quindici ostaggi (la franco-colombiana Ingrid Betancourt, tre americani e undici colombiani) le Farc tengono prigioniere ancora diverse centinaia di persone.
“Dal mio punto di vista, è passato il tempo dei fucili. Speriamo che non si ripeta mai più, di non essere obbligati a tornarvi. Lancio ancora un appello alla guerriglia invitandola a riflettere”, ha dichiarato Chavez.
“Partecipiamo alla gioia” suscitata dalla liberazione degli ostaggi, “siamo felici di questa liberazione, e ancora più felici perché, da quello che ci dicono, si è svolta senza che fosse versata una sola goccia di sangue”, ha aggiunto il presidente venezuelano.
Chavez ha evocato la possibilità che dei paesi latino-americani, tra i quali il Venezuela, siano coinvolti nella ricerca di una soluzione pacifica del conflitto tra i guerriglieri e le autorità colombiane.
“Sono certo che quasi tutti i paesi del continente sarebbero disposti a formare un gruppo che faccia da garante per un accordo di pace in cui le parti e gli impegni siano rispettati”, ha dichiarato.

La strategia della distensione
Paradossalmente, malgrado le dichiarazioni più o meno controverse come quella sulla “professionalità” degna degli israeliani fatta da Ingrid Bétancourt al momento della sua liberazione, quello che Ingrid Bétancourt propone va nella direzione di quella distensione auspicata da Chavez e senza dubbio i cubani, anche se non sono abituati a rinunciare a una certa riserva nel trattare con un individuo molto discutibile come il presidente Uribe. L'articolo di Prensa latina offre in parte la loro opinione quando osserva che Ingrid Bétancourt, che gode ormai di grande prestigio in Colombia e sul piano internazionale, “almeno in due occasioni ha affermato che i presidenti Hugo Chavez, del Venezuela, e Rafael Correa, dell'Ecuador, sono gli alleati più importanti nella ricerca di una pace negoziata. Ha poi fatto riferimento alla necessità di amplificare la mediazione internazionale, menzionando in particolare la presidente dell'Argentina e la continuità del sostegno del governo francese a questa causa. Tuttavia le dichiarazioni del ministro della difesa non lasciano dubbi sulla posizione governativa: 'cercheremo di ottenere la liberazione degli ostaggi con qualsiasi mezzo'”.

Come ha dichiarato il settimanale del Partito Comunista venezuelano Tribuna popular, “bisogna tenere i piedi per terra e ragionare a mente fredda. Il popolo colombiano non può continuare ad appoggiare un terrorismo di stato cui si aggiunge quello atroce dei narcotrafficanti, strumento dell'imperialismo degli Stati Uniti che a partire dal 1964 ha moltiplicato gli omicidi, le sparizioni, le esecuzioni senza processo e che rivela quale sia la strada intrapresa dall'oligarchia colombiana, quella della guerra e del sangue innocente versato. Bisogna cogliere un'occasione storica e capire che il futuro della Colombia non può essere il conflitto armato”. Tutti gli amici del popolo colombiano, a partire dal partito comunista venezuelano, che ha esso stesso praticato i metodi della guerriglia, invitano al buon senso e all'apertura di uno spazio di pace e di giustizia perché la guerra non può che fare il gioco dell'imperialismo. Solo in questo contesto potrà essere estirpata la politica criminale dei narcotrafficanti e dei paramilitari di Uribe.

Mi sembra che la Francia e i progressisti debbano continuare a muoversi verso la distensione, che è la sola maniera per ostacolare il bellicismo degli Stati Uniti contro i paesi progressisti, in particolare il Venezuela, le cui enormi risorse petrolifere rappresentano un'attrattiva irresistibile per gli Stati Uniti, oltre alla volontà di porre fine al ruolo di Chavez sia in America Latina che a livello di OPEC.

Se Ingrid Bétancourt è disposta a intraprendere questa via, e se lo è anche Nicolas Sarkozy, quale che sia l'opinione che abbiamo su di lui e sul suo ministro Kouchner, quanto mai vicino al Mossad, dobbiamo essere capaci di spingere in questa direzione, senza illusioni ma consapevoli dei nostri obiettivi.


NOTA
(1) Analisi riportata da RFI.

Articolo originale pubblicato il 4 luglio 2008

Traduzione di Manuela Vittorelli, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica.
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