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No a basi statunitensi i America Latina

di Siro Asinelli - 11/07/2008

 

No a basi statunitensi i America Latina



La Bolivia ha formalmente chiesto ai trentaquattro Paesi integranti l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ed al suo segretario generale José Miguel Insulza di impedire l’istallazione di nuove basi militari statunitensi in Sudamerica.
Per il presidente boliviano Evo Morales, nei giorni scorsi in visita ufficiale nel dipartimento di Cochabamba, si tratta di salvaguardare non solo la sovranità dei Paesi continentali, ma anche la loro dignità: “Chiederò all’Osa ed a tutti i rappresentanti dei Paesi membri di difendere la dignità dei latinoamericani”, ha dichiarato il capo di Stato andino da Puerto Villareal spiegando che tanto l’OSA quanto le Nazioni Unite hanno l’obbligo di difendere l’integrità e la dignità dei loro membri. A Palacio Quemado, peraltro, hanno le idee ben chiare da tempo, al punto di aver ottenuto dall’Assemblea costituente che si inserisse nella nuova Carta Magna – cui manca solo l’approvazione referendaria – un articolo con cui si proibisce la installazione di basi militari straniere sul territorio nazionale. Un atto dovuto, a maggior ragione – ha ricordato Morales – quando si pensa che in dipartimenti come quello di Cochabamba nei decenni passati si è assistito a feroci repressioni dei movimenti sociali e dei lavoratori per opera delle forze armate e di polizia addestrate e comandate da ufficiali e sottoufficiali statunitensi di stanza nel Paese. La popolazione, ha aggiunto il presidente boliviano, ha la forza ed il diritto di rifiutare la presenza di soldati Usa in Bolivia perché di costoro “è stata vittima” per lungo tempo.
Le dichiarazioni di questi giorni riprendono il filo della polemica sorta a fine giugno tra autorità boliviane e peruviane. Il 28 giugno Morales aveva infatti esortato il popolo peruviano a rifiutare l’accordo in fase di definizione stipulato tra la Difesa nordamericana ed il presidente di Lima, Alan García, per la concessione di una base agli Stati Uniti. L’appello ha suscitato le ire delle autorità peruviane che hanno definito le parole di Morales una intromissione negli affari interni al Paese andino. Il presidente boliviano ha chiarito pubblicamente che le sue parole non interferiscono con l’amministrazione dello Stato peruviano, quanto piuttosto devono essere lette come un consiglio rivolto alla popolazione. Ieri la crisi tra La Paz e Lima è parzialmente rientrata; l’agenzia di stampa Andina, infatti, ha riportato la notizia secondo cui il ministro delle Relazioni estere del Perú, José Antonio García Belaunde, ha reso nota una telefonata avuta la notte precedente con il suo omologo boliviano, David Choquehuanca, in cui entrambi avrebbero dichiarato la volontà dei due Stati di riallacciare le relazioni e superare l’incidente diplomatico.
L’appello di ieri all’OSA giunge in un momento particolarmente teso all’interno dell’organismo americano che ha visto l’approvazione di una risoluzione con cui è stato formalmente espresso pieno sostegno all’operato del governo colombiano nella gestione del conflitto con le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia. L’appoggio dell’OSA coincide peraltro con l’annuncio da parte di Álvaro Uribe di aver disposto “l’intensificazione delle operazioni militari contro l’Esercito di Liberazione Nazionale”, altra sigla guerrigliera con cui Bogotá ha interrotto i negoziati di pace avviati nel 2005 a L’Avana. In sostanza, l’organismo guidato da Insulza svela definitivamente la sua attitudine ad assecondare le strategie Usa per il continente sudamericano. Appoggiare in questo momento le politiche guerrafondaie di Uribe, equivale infatti ad assecondare la sete di controllo sull’ex cortile di casa da parte di Washington. Una sete che gli statunitensi vorrebbero placare riattivando prima di tutto la loro rete militare nel continente resa inoffensiva dalla presenza di governi non allineati in Venezuela, Bolivia ed Ecuador in particolare.