Caro Totò,
oggi vorrei scriverti qualche riflessione sulla saggezza. No, non credere che mi sia montata la testa, non intendo parlare della mia idea di saggezza, perché ciò presupporrebbe che io ne possegga almeno un po’ e una donna di campagna come potrebbe pensarlo? Sì, ho studiato e continuo a farlo, perché ne sento il bisogno con la stessa intensità con cui sento il bisogno di dedicare il meglio di me alle persone che amo, a osservare la miriade di forme in cui si manifesta la vita nel microcosmo di questa valle alpina, a spiare, ogni volta come se fosse la prima, le variazioni impercettibili che annunciano il cambio delle stagioni. Ma vivendo così lontana dai luoghi in cui si elaborano le idee, vengono prese decisioni che coinvolgono le nostre vite, si stampano libri e giornali, si girano film e si registrano programmi televisivi, come potrei illudermi di portare un contributo attivo a tutto quel lavorio incessante? Io non posso che limitarmi a recepirne gli esiti. Le riflessioni di cui desidero farti partecipe si riferiscono a quegli esiti e alla saggezza che li genera. Alla saggezza altrui. Quella saggezza che i mezzi di comunicazione di massa irradiano dai luoghi in cui si elabora, così che, anche non volendo, anche inconsapevolmente, non si può fare a meno di respirarla insieme ai gas di scarico.
Ma in un periodo di crisi profonda come quello che stiamo vivendo, in cui uno dopo l’altro crollano attorno a noi i capisaldi della convivenza civile e il mondo sembra essersi messo a girare alla rovescia, e senti crescere dentro di te un senso di estraneità, un sentirti fuori posto perché non hai modificato il tuo modo di essere o i valori di riferimento che hai assimilato sin dalla prima infanzia mentre tutto intorno a te sta cambiando e nega, capovolge, ridicolizza ciò che aveva dato senso alla tua vita e ordine al mondo in cui vivevi, e pare che tutti passivamente si adeguino, come ti può bastare la saggezza che respiri nell’aria insieme ai gas di scarico, come fai a non sentire il bisogno di rivolgerti direttamente a una delle sue fonti per farti aiutare a capire se il disagio che senti crescere dentro di te lo sentono anche altri, o invece dipende da una tua incapacità di adattarti ai cambiamenti in corso? Lei che è «un uomo saggio», Corrado Augias, mi aiuti a capire. Non mi oriento più. Quello che vedo non mi piace, mi fa paura, una paura che cresce di giorno in giorno. Ne usciremo? Cosa dobbiamo fare per uscirne? Posso avere ancora fiducia o devo rassegnarmi all’inevitabile?
E il saggio, rassicurante: «sono decine di lettere di tono analogo che ricevo. Giovani precari che hanno perso fiducia nel futuro, insegnanti che non ce la fanno a risollevare le condizioni della propria scuola, donne che si sentono minacciate, persone anziane che non se la sentono più di prendere i mezzi pubblici temendo di essere derubate, persone che temono una ripresa del terrorismo dopo gli ultimi inquietanti segnali. A giudicare dallo stato d’animo prevalente da questa rubrica dovrei concludere che la sfiducia prevale». Ma non è così, donna di poca fede. Ne sono certo. C’è un segnale in controtendenza che da solo li controbilancia tutti: la crescita della produzione.
Non volevo credere ai miei occhi quando l’ho letto, eppure c’erano proprio scritte queste parole: «Sono però certo che così non è e lo dimostrano per esempio gli indici positivi della produzione». La scuola degenera? Non hai prospettive di lavoro se sei giovane, hai paura di essere derubato appena metti il naso fuori di casa se sei anziano, temi di essere stuprata se sei donna, ti allarma una possibile ripresa del terrorismo? Invece di preoccuparvi per queste sciocchezze, dovete avere fiducia perché la produzione aumenta.
Beh, in un’economia fondata sulla crescita della produzione la cosa più importante è che la produzione cresca. Se cresce, tutto il resto passa in secondo piano. Se invece non cresce allora sì che si può perdere ogni fiducia nel futuro. Ma c’è di più. Il rapporto causale tra crescita e fiducia è biunivoco. Vale anche nel senso opposto: senza fiducia nel futuro l’economia non cresce. «Secondo uno studio americano - riferisce un altro saggio in un altro quotidiano che irradia saggezza - un livello di fiducia che cresce del 10 per cento coinciderebbe con una crescita più alta, addirittura dello 0,8 per cento». Quindi, ragazzi, anziani, donne, professori, professionisti, operai, cittadini italiani, non fate scherzi! Su col morale se volete che cresca l’economia! E se l’economia crescerà vi ricambierà il favore tirandovi su il morale.
Qualche tempo fa, Totò, mi scrivevi che stanno ascendo tutti pazzi. Io credo che lo siano asciti da un pezzo. E adesso che l’economia non cresce, che i consumi a marzo del 2008 sono crollati dell’1,7 per cento rispetto al marzo dell’anno precedente, che il prezzo del petrolio è arrivato a 120 dollari al barile (ma salirà, salirà; entro la fine di quest’anno non sarà inferiore a 180 dollari) su cosa ci diranno i saggi di appoggiare la fiducia nel futuro? A me da questa valle appartata sembra che una buona alternativa possa essere la ricostruzione di rapporti di fiducia tra le persone. Però io non sono una saggia, lo so bene, e nessuno mi chiede di rendere pubblico il mio parere. Ma non possono impedirmi di dirlo in privato, come ho fatto in questa lettera che concludo con un grande abbraccio a te, Gennarino e Teresa.
la vostra Delfina

Gli articoli a cui si fa riferimento sono:
la rubrica Lettere, del quotidiano la Repubblica, curata da Corrado Augias, 20 maggio 2007
Carlo Bastasin, L’anno della fiducia, La Stampa, 31 dicembre 2007, pag. 9