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Iraq: prima le bombe, poi gli affari

di Giuseppe Zaccagni - 30/07/2008

 

Per Napoleone valeva il motto “l’intendenza seguirà”. Per gli americani vale invece quello del “Prima i bombardamenti” e poi arriveranno gli affari. Ed è quello che si sta realizzando nell’Iraq a partire dal 20 marzo 2003, inizio dell’aggressione-occupazione. Ora il grande capitale, che ha appoggiato tutte le iniziative americane, presenta il conto. E nella lista di chi parteciperà al grande banchetto della ricostruzione c’è anche l’Italia. Lo annuncia il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. E’ lui che parla della volontà di rilanciare la partecipazione delle imprese italiane alla ricostruzione dell'Iraq. E rende noto l'impegno di convocare per il prossimo autunno la prima riunione di una "Commissione mista" allargata alle aziende. Comincia il grande gioco economico e il giro è di miliardi. Una manovra ben congegnata.

"Le opportunità di partecipazione dell'industria italiana al processo di ricostruzione dell'Iraq sono notevoli anche alla luce del netto miglioramento delle condizioni di sicurezza del Paese - dichiara Scajola -. Abbiamo le carte in regola per giocare un ruolo da protagonisti in questa fase di rinascita dell'economia e della società irachena. Ci aiuta anche l'apprezzamento umano e culturale del popolo e del Governo iracheno nei nostri confronti". E così si apprende che l'Italia - bombe a parte - ha già stanziato per la ricostruzione civile dell'Iraq circa trecento milioni di euro e ha messo a disposizione una linea di credito di quattrocento milioni di euro.

Alla presenza in Iraq sono più che mai interessate aziende come la Turbocare di Torino, la Selex e l’Ansaldo (Finmeccanica) impegnate nella realizzazione di progetti nei settori della generazione elettrica, dell'estrazione petrolifera e dello sfruttamento del gas naturale. L'Italia, si legge in una nota della Farnesina, fornisce un importante contributo al consolidamento delle istituzioni in Iraq ed alla riattivazione del tessuto socio-economico in settori cruciali per lo sviluppo del Paese: patrimonio culturale, acque, elettricità, sanità, istruzione superiore, innovazione tecnologica, petrolio, interni, giustizia, finanze, trasporti e sicurezza.

Oltre a questo c’è un impegno italiano nelle attività dell’"International Compact with Iraq", che fissa gli obiettivi di sviluppo e riforma economica iracheni e detiene la presidenza del Comitato dei Donatori dell’”International Reconstruction Fund Facility for Iraq”, strumento finanziario multilaterale per la ricostruzione dell’Iraq che opera attraverso due fondi fiduciari amministrati dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale. È poi in vigore tra Italia e Iraq un Trattato bilaterale di "Amicizia, Partenariato e Cooperazione", che prevede la messa a disposizione di un credito d’aiuto fino a 400 milioni di euro in tre anni a partire dalla ratifica.

Ed è attualmente in corso di definizione anche l’utilizzo di una prima tranche di 100 milioni di euro per il sostegno allo sviluppo della piccola e media impresa irachena attraverso il meccanismo della retrocessione del credito. Dal 2003 ad oggi sono stati complessivamente stanziati oltre 290 milioni di euro per la ricostruzione civile dell’Iraq, e sono in corso di realizzazione, in particolare, iniziative nei settori della formazione, sanità, agricoltura, "capacity building" e sistema giudiziario, cultura e riabilitazione del patrimonio archeologico.

L’Italia ha anche condonato l’80% del debito sovrano iracheno per un ammontare di 2,4 miliardi di euro. E si sa che nel Governatorato del Dhi Qar (Nassiryia) l’Italia guida l'Unità di Sostegno alla Ricostruzione, che assolve al compito del miglioramento della capacità irachena di gestione delle proprie risorse di bilancio, ed è anche una piattaforma operativa a disposizione delle agenzie delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale per iniziative finanziate nella regione meridionale. L’Unità di sostegno, poi, dispone di una unità chirurgica, di un centro di formazione e di un centro per lo sviluppo del settore privato e si avvale di trenta risorse “umane” (italiane, americane, irachene, romene) su base permanente integrate da quelle addette a specifici progetti.

Ricostruzione a parte resta il fatto che la guerra continua e continua, quindi, la possibilità per fare nuovi affari. Ma sul campo dell’Iraq si fa anche il conto delle vittime. Per gli americani i morti dal giorno dell’aggressione sono oltre 4000 e i feriti più di 30.000. Ci sono poi 173 morti per le truppe inglesi, 33 per gli italiani, 23 per i polacchi, 18 per gli ucraini, 13 per i bulgari, 11 per gli spagnoli, ed altre 35 vittime per truppe di altri paesi impegnati nella guerra. Gli iracheni, per l’occidente, ovviamente, non rientrano nel conto…

Intanto gli ambienti dell’Ovest si mostrano sempre più interessati allo sviluppo del business: fanno sapere che l'Iraq sta progettando di incrementare la produzione giornaliera di petrolio, portandola a 6,5 milioni di barili nel 2016. Ed è chiaro, di conseguenza, che l’occupazione è destinata a continuare. Il risultato sarà sempre lo stesso: più bombe e più dollari nelle casse delle multinazionali.