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Kipling tra mito ed esoterismo

di Alessandro Zaccuri - 13/09/2008


 
 N ascere adulti è il privilegio degli eroi. La loro infanzia non ci interesserebbe, se le loro imprese non giustificassero e quasi imponessero il viaggio a ritroso nel tempo, fino al momento al momento della verità in cui l’eroe si ritrova, solo, davanti a se stesso. Il romanzo di formazione, in fondo, non avrebbe senso se non sapessimo che il personaggio di cui ci stiamo minutamente occupando è destinato a una qualche grandezza. Anche Mowgli, il proverbiale ragazzo-lupo protagonista dei Libri della giungla
 di Rudyard Kipling nasce adulto per poi regredire all’infanzia. Il primo racconto in cui appare, «Nel rukh», è datato 1892, e viene scritto pressoché contemporaneamente a «I fratelli di Mowgli», che sarà poi il primo capitolo del primo
Jungle Book. La differenza sta nel fatto che la prima storia ci presenta l’eroe al termine del proprio percorso, pronto a mettersi al servizio dell’Impero britannico e ad accasarsi, senza per questo rinunciare alla compagnia delle belve al cui fianco è cresciuto. Ha imparato a correre prima di camminare e porta sul corpo, sulle gambe e sulla braccia, i segni di questo apprendistato selvaggio.
  Ma nel frattempo ha imparato a parlare, a essere astuto nel linguaggio non meno che nell’azione. Se soltanto volesse, potrebbe essere lui a raccontare la propria storia.
  «Nel rukh» (ossia «nella riserva») è uno dei dieci testi del periodo 1890-1912 che l’anglista Ottavio Fatica ha scelto per
I figli dello Zodiaco, il volume che viene ad aggiungersi alla sua impresa, ormai decennale, di una nuova traduzione italiana dell’opera di Kipling, nella prospettiva di una diversa e più circostanziata collocazione critica di un autore su cui, per troppo tempo, ha pesato un interdetto di natura politica o, meglio, politicamente corretta.
  Kipling cantore del colonialismo?
  Basterebbe leggere un altro dei racconti presenti in questa raccolta, «La guerra dei Sahib», per rendersi conto che, anche quando costeggia i terreni della propaganda (la vicenda è ambientata nel contesto della guerra anglo-boera), Kipling è interessato anzitutto all’esplorazione delle psicologie e dei sentimenti, in particolare di quelli maschili. Ne escono ritratti
memorabili, come i soldati di «Sulla collina di Greenhow» o «Sciupafemmine», ma anche il farmacista Shaynor, che senza accorgersene riscrive, in preda a una misteriosa ispirazione, una celebre poesia di Keats (il racconto si intitola «Via etere», ma l’originale Wireless suona più attuale e, per molti aspetti, più inquietante). Spicca, su tutti, il modesto contabile Charlie Mears, che ne «La storia più bella del mondo» cerca disperatamente di soddisfare le proprie ambizioni letterarie, ma non riesce a rendersi conto che dalla sua memoria stanno riaffiorando i reperti prodigiosi di epiche esistenze passate.
  Più ancora dei racconti presenti nelle precedenti raccolte curate da Fatica per Adelphi (in particolare

 Loro
del 2001 e La Città della tremenda notte, apparso nel 2007), dalle pagine de I figli dello Zodiaco
 emerge infatti con insistenza l’interesse di Kipling - che del resto fu massone dichiarato - per i temi
del mito nella sua accezione più esoterica. La misteriosa fiaba eponima rappresenta addirittura un unicum nella sua produzione: un serissimo gioco combinatorio giocato con il bestiario dell’astrologia, in perfetta coerenza con il politeismo presente, in modo tutt’altro che velato, anche ne «I costruttori di ponti». Ma il Kipling migliore va forse ricercato altrove, per esempio nello smaliziato reporter di «Un dato di fatto», testimone di una straordinaria apparizione marina e perfettamente consapevole che, già alla fine del Novecento, il sistema dei media non è abbastanza grande per accogliere e restituire la verità. Un compito che spetta, semmai, alla narrativa. Per essere più precisi, alla letteratura.
 Rudyard Kipling

 I FIGLI DELLO ZODIACO

 Adelphi. Pagine 287. Euro 19,00