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Come e perché sta cambiando la Russia

di Giulietto Chiesa - 20/09/2008



  
L'Occidente nel suo complesso, tanto la sua componente americana, quanto
quella europea, fanno fatica a rendersi conto della profondità del
cambiamento provocato in Russia dalla cosiddetta “crisi georgiana”.
Cosiddetta perchè il termine giusto per definire l'accaduto è invece un
altro: “attacco georgiano contro la Russia”.

Non che io voglia dire che tutto si racchiude in quella forsennata
aggressione. Al contrario mi pare di poter dire che Tzkhinvali è stata
la classica goccia che fa traboccare il vaso. Un momento topico, a suo
modo fatale, in cui tante cose che giacevano appena sotto la superficie,
sono state violentemente evidenziate. Un momento che spezza la
continuità e espone lo stato delle cose con cruda brutalità.

Ricavo molte di queste impressioni dalla privilegiata posizione di
partecipante al Valdai Forum, un gruppo di discussione che esiste da
qualche anno e che consente a un certo numero di esperti internazionali,
di “sovietologi” di antica e fresca data, di politologi, di giornalisti,
di andare a diretto contatto con i maggiori leader della Russia, con uno
scambio di idee molto franco (garantito dalle condizioni di “off the
record”) e a tutto campo.

Tre ore con Vladimir Putin, il Premier, a Sochi, sul Mar Nero, il 10
settembre, e quasi tre ore con Dmitrij Medvedev , il Presidente l'11, a
Mosca, in un grande salone del GUM, proprio di fronte al Cremlino. Con
un intermezzo assai denso, tra il primo e il secondo, insieme al
ministro degli esteri Lavrov.

Due uomini su cui il mondo intero si interroga, due stili sicuramente.
Ma - per quanti sforzi i colleghi, specie quelli inglesi e americani,
abbiano fatto per evidenziare le differenze, per verificare “chi comanda
al Cremlino” - una linea unica, molto chiara, molto netta, molto nuova.
Del resto c'era poco da aspettarsi in questo senso, visto che Putin e
Medvedev, pur sapendo perfettamente cosa avrebbero voluto tirare fuori
gli ospiti stranieri, pur essendo ben chiaro che si sarebbe scatenata la
caccia all'errore dell'uno o dell'altro, delle differenze di accenti, di
toni, si sono sottoposti alla prova, in rapida successione,
apparentemente molto sicuri del fatto loro.

Riassumo alcuni dei passaggi cruciali, restando fedele alla norma
concordata della citazione non letterale, cioè dell'uso delle cose
ascoltate “in forma di background”.

Eccone uno, di Dmitrij Medvedev: “l'8 agosto è stato per noi la fine
delle illusioni a proposito dell'Occidente”. Lo spirito delle cose dette
da Putin, poche ore prima, era stato identico. E l'argomentazione non
poteva essere più chiara. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica – così
entrambi - per molte ragioni che conosciamo, la Russia fu debole,
incerta. L'11 settembre e negli anni successivi, abbiamo sopportato con
fatica la pressione che è stata esercitata, su di noi e contro di noi,
dai vincitori della Guerra Fredda. L'abbiamo subita non solo perchè
eravamo deboli, ma anche perchè coltivavamo delle illusioni a proposito
dell'occidente, delle sue libertà, della sua sincerità nei nostri
confronti. Così abbiamo dovuto subire l'incomprensibile, per noi,
continua estensione dei confini della Nato. Ce l'avete portata fin sotto
il naso, fino all'interno dei confini che furono dell'URSS ma anche
della Russia pre-rivoluzionaria. Abbiamo protestato ma non reagito. Non
avremmo potuto. Poi ci fu l'11 settembre, e demmo una mano per aiutarvi
nella lotta contro il terrorismo internazionale, per poi scoprire che
gli Stati Uniti piazzavano basi militari e contingenti in diversi paesi
dell'Asia Centrale. Il tutto mentre procedeva l'estensione dell'area di
influenza americana in Georgia, e in Ucraina, cioè molto lontano dai
confini degli Stati Uniti e molto vicino ai nostri. Due guerre, in
Afghanistan e Irak, sono state scatenate e noi non abbiamo messo il
naso. Con l'Iran abbiamo dato una mano. Ma in Serbia l'occidente ha
fatto quello che ha voluto, contro Belgrado ma anche contro di noi e le
nostre rimostranze, fino alla violazione dei patti che la sovranità
serba sul Kosovo non sarebbe stata messa in discussione. Questa storia
dei patti che non si rispettano – ha detto Medvedev - ricorre troppe
volte dalla fine della guerra fredda. Fossero stati più esigenti i
leader sovietici che trattarono la ritirata dell'89 (allusione molto
critica a Gorbaciov, pur senza nominarlo) , avrebbero chiesto che fosse
firmato l'impegno a non allargare la Nato. E questo impegno, sebbene non
scritto, ci fu. Ma anche dopo la guerra della Nato contro la Jugoslavia
era rimasto l'impegno a non riconoscere unilateralmente l'uscita del
Kosovo dalla Serbia. Poi, insieme alle provocazioni della dirigenza
ucraina e georgiana, ecco arrivare i nuovi missili in Polonia e il radar
in Repubblica Ceca, che ficcherà il naso, del tutto indebitamente, in
profondità nei confini russi. Fino all'offensiva di Saakashvili contro
le nostre forze d'interposizione che si trovavano del tutto legalmente
in Ossetia del Sud.

Cosa ci si aspettava a Washington – ha esclamato Putin a un certo
momento – che non reagissimo? Che non difendessimo i nostri soldati,
alcuni dei quali erano già caduti sotto i primi attacchi della notte tra
il 7 e l'8 agosto? Ci dite che abbiamo esagerato nella risposta. Ma non
ci si può difendere da un attacco di quelle dimensioni senza colpire i
centri di comando, quelli di comunicazione, gli aeroporti da dove
partivano gli aerei che bombardavano l'Ossetia e le nostre truppe. Avete
scritto e ripetuto che la Russia stava invadendo la Georgia.
Completamente falso: questo non era nelle nostre intenzioni e non è
avvenuto. Ogni parallelo con il '68 cecoslovacco era ed è senza alcun senso.

Questo il quadro. E questo quadro “ha modificato le nostre priorità”
(Medvedev)

Fine del dialogo? Niente affatto, ma attenzione (Putin) che la nostra
ritirata è finita. Noi “non vogliamo tornare al clima bipolare”
(Medvedev), ma “ci vuole una nuova architettura della sicurezza
internazionale” (Putin) perchè quella attuale non ci soddisfa per
niente. Il sistema bipolare non ha prospettiva, ma anche l'idea
unipolare è morta e defunta.

La Russia non è l'URSS. Smettetela di prolungare questo equivoco.

Smettetela di allargare la Nato includendo paesi divisi al loro interno,
elites impreparate e piagate dai ricordi del passato, sistemi
istituzionali instabili. Questo aumenta l'insicurezza di tutti.

Pensate cosa sarebbe successo in agosto se la Georgia avesse già avuto
accesso alla Nato. “io – ha detto Medvedev – non avrei comunque esitato
un secondo a prendere le decisioni che ho preso quella notte, ma le
conseguenze sarebbero state di un ordine di grandezza superiore”.

Insomma, la crisi è stata un catalizzatore che “ha modificato tutto il
quadro delle relazioni esterne della Russia”. Adesso si cambia. Meglio
che gli Stati Uniti e l'Europa se ne rendano conto.

Ad ogni azione seguirà una reazione, anche se non uguale e contraria,
anche se non simmetrica, di analoga forza.

Sanzioni contro la Russia? Putin più sferzante, Medvedev più pacato,
hanno detto “non provateci”. Bisogna ancora vedere chi pagherebbe
maggiori prezzi. I vostri uomini d'affari sarebbero i primi a non
gradire tali decisioni. Ed è stato Putin, propriamente nella sua
posizione di capo del governo, a illustrare puntigliosamente la
situazione economica della Russia, i suoi vantaggi strategici di
risorse, prima di tutto energetiche, ma anche finanziarie, naturali,
tecnologiche, umane. “Noi non abbiamo ambizioni espansionistiche in
nessuna direzione“ (Medvedev) e siamo interessati a vendere le nostre
risorse come abbiamo fatto, senza problemi, in tutti questi anni. Ma se
l'Occidente “continua a spintonarci” (Putin), allora sappiate che noi,
in primo luogo, non ci faremo più spintonare e, in secondo luogo, che
abbiamo molto spazio per volgerci altrove. “Noi non dimentichiamo le
nostre profonde radici europee” - ancora Medvedev – ma possiamo (in una
certa misura dovremo) muovere il baricentro del nostro interesse verso
l'oriente, altrimenti le nostre immense regioni a est non potranno
svilupparsi”.

Il segnale è chiaro e Putin non ha mancato di ricordare che il primo
terminale di un nuovo gasdotto è stato inaugurato ai confini con la
Cina. Vale in primo luogo per l'Europa, la cui posizione realista ,
interpretata da Sarkozy, presidente di turno, non è dispiaciuta a Mosca.
Ma all'Europa, divisa tra l'opzione americana e quella “europea”, sono
andati anche rimbrotti pesanti. Chi vuole l'Ucraina nella Nato si rende
conto di cosa potrebbe accadere? Avete valutato l'eventualità di un
paese che si spacca in due? Avete chiaro che la maggioranza degli
ucraini non vuole entrare nella Nato? Avete ben chiaro che la flotta
russa è dislocata a Sebastopoli, in Crimea, e che esiste un accordo con
il governo di Kiev per mantenervela fino al 2017? E che navi russe e
navi Nato si troverebbero a stretto contatto in un'area altamente
sensibile per la sicurezza russa?

E' ovvio che faremo tutto ciò che è possibile per impedire una tale
soluzione. Qualcuno s'indigna perchè lo diciamo? Qualcuno strilla che
noi poniamo veti, che noi vogliamo limitare le scelte di un paese
sovrano ai nostri confini? Allora (Medvedev e Putin, all'unisono) noi vi
chiediamo: perchè mai gli Stati Uniti possono premere su Kiev per farla
entrare nella Nato, loro che stanno a migliaia di miglia distanza,
mentre noi non potremmo esercitare i nostri diritti di sicurezza?

Parole chiare e dure. E anche difficilmente contestabili. Sottovalutarle
significa accrescere a dismisura l'eventualità di un innalzamento del
pericolo di guerra al centro dell'Europa. E' giunto il momento della
massima responsabilità e del massimo realismo. In questo frangente
coincidono.