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Una vita da speculatori: dai mercanti del Tempio alla crisi dei «subprime»

di Marco Ventura - 20/09/2008

  
Leggendo i libri di Massimo Amato e di Larry Elliott e Dan Atkinson, Marco Ventura ricostruisce il passaggio, avvenuto in età moderna, fra la concezione della moneta come mezzo per pagare un debito acquistando un bene concreto alla moneta come merce, comprata e venduta nei mercati finanziari contemporanei. Nel libro Le radici di una fede Amato spiega che nel XVI secolo è necessaria una fede pubblica, nel rapporto fra sovrano e suddito o nelle relazioni economiche internazionali, perché il sistema monetario funzioni. Alla fine del XVII secolo la riforma monetaria inglese sancisce una nuova realtà: la moneta è pienamente merce, il cui valore è legato alla parità aurea. In The Gods that failed Elliott e Atkinson propongono di vedere le origini della crisi finanziaria attuale nella decisione di Nixon che nel 1971 dichiarò il dollaro non più convertibile in oro, parificando il mercato della moneta a quello dei derivati e dei collaterali.

Non si potevano offrire monete greche o romane, al Tempio di Gerusalemme. Profane e impure, andavano cambiate in soldi degni del rito. Quando Gesù entra nel cortile del Tempio, vede gente intorno ai banchi dei cambiavalute. Allora lega insieme delle cordicelle, ne fa una sferza. Getta a terra il denaro, rovescia i tavoli, caccia i mercanti.
Duemila anni dopo, 9 agosto 2007. Sui computer di tutto il mondo rimbalza la notizia, apparentemente solo una news qualunque. Il gruppo francese Bnp Paribas annuncia forti perdite sul mercato americano dei subprime. È l’inizio della grande crisi. Duemila anni separano le due scene. La caduta dei cambiavalute di Gerusalemme, la caduta degli speculatori di Wall Street. C’è qualcosa nei due fatti che li può legare e farci capire cosa sta succedendo? Due volumi usciti a un anno dallo scoppio della crisi creditizia suggeriscono di sì.
Nella sua storia della moneta, Le radici di una fede. Per una storia del rapporto fra moneta e credito in Occidente, [...] il docente della Bocconi Massimo Amato usa il parametro della fede per spiegare il passaggio dalla moneta rinascimentale alla nostra, ormai puramente finanziaria e sganciata da ogni parità con il metallo. La moneta cinquecentesca è il mezzo con cui il debitore si libera nei confronti del creditore. Serve allo scambio di merci, non è una merce in sé. Si può lucrare sul cambio, come al Tempio di Gerusalemme, ma resta inconcepibile un mercato del denaro. Nelle piazze europee la moneta è degna di fede per quanto vale il metallo che la incorpora; sui mercati locali vale la fiducia nel principe che la conia e ne fissa la parità rispetto alla cosiddetta «moneta immaginaria », moneta di riferimento ideale. C’è bisogno di una fede pubblica perché la moneta funzioni: fede nel rapporto tra principe e suddito, fede nelle relazioni economiche. [...] Ma il Seicento rimescola le carte. La politica di potenza degli Stati nazionali, l’afflusso dei metalli dalle colonie, l’indebitamento pubblico e le guerre rompono la tradizione. Si apre un mercato del credito e della moneta dove circolano, si lamenta Bernardo Davanzati, erudito del 1500, «arbìtri, rivolture e girandole, e non vivi debiti o crediti effettivi»; è un circuito che «non serve al comodo della mercanzia ma solamente all’utile del danajo» [...]. A fine Seicento l’Inghilterra recepisce la riforma monetaria ispirata da Locke e Newton. La nuova moneta, ormai anche cartamoneta, è pienamente merce: mezzo di scambio e misura dello scambio al tempo stesso. Agganciata alla parità aurea, ma libera di fissarsi di volta in volta sul mercato; nel prezzo, nell’interesse. Quello che Gesù voleva impedire ai cambiavalute del Tempio è oggi banale realtà per i mercanti di Wall Street: la moneta si è fatta merce essa stessa. Riposa su una fiducia slegata dalla vicenda reale di un debitore e di un creditore; fiducia non più «pubblica» perché non più collante di una collettività, ma «privata» poiché scommette individualmente sul tempo, sul calcolo, sul rischio: poiché è tutta nelle «mutevoli aspettative private riguardo al potere d’acquisto » della moneta medesima. Qui entra in gioco lo studio dei giornalisti economici britannici Larry Elliott del “Guardian” e Dan Atkinson del “Mail on Sunday”, The Gods that failed. How blind faith in markets has cost us our future, [...]. La loro storia dell’attuale caos finanziario parte dal 15 agosto 1971, quando Nixon chiude duemilacinquecento anni di aggancio della moneta al metallo dichiarando il dollaro non più convertibile in oro. La concezione della moneta si allinea al mercato finanziario postmoderno dei derivati e dei collaterali; mercato liquido e spregiudicato, regolato nei termini preferiti dalla finanza globale, con «discrezione e permissività». Sono lontani i tempi in cui Franklin Roosevelt si rallegrava che i cambiavalute fossero finalmente «fuggiti dai loro alti seggi nel tempio della nostra civiltà». Questa è l’ora di una nuova fede nei protagonisti della finanza. [...] La loro religione è astuta: implica uno smontaggio delle responsabilità per cui «quando arriva la polizia non c’è nessuno in casa»; uno spezzettamento del prodotto finanziario che occulti il rischio reale; e l’arrogante ritorno «alla mammella dello Stato», come nel caso della Northern Rock, la banca inglese salva perché nazionalizzata. Sia Amato sia Elliott e Atkinson raccontano il passaggio da una moneta che paga un debito celebrando il rito dello scambio a una finanza che è pura fede in se stessa. La storia però non è finita. Per gli autori inglesi la fede nella nuova finanza non è invincibile; «gli Dei hanno fallito » e la gente sta smettendo di credere nella religione degli analisti, dei manager di hedge fund, di chi sposta denaro con un mouse. Gesù cacciò i cambiavalute dal Tempio perché non concorressero con Dio. Chi caccerà dai loro Templi i postmoderni Dei della finanza?

Massimo Amato, Le radici di una fede. Per una storia del rapporto fra moneta e credito in Occidente, Bruno Mondadori 2008, pp. 275, € 23.
Larry Elliott e Dan Atkinson, The Gods that failed. How blind faith in markets has cost us our future, The Bodley Head 2008, £ 12,99.