 Quello che Saviano non dice. Perché non lo sa, o fa finta di non saperlo, o perché offenderebbe gli amici del bottone che gli stanno organizzando un girotondo planetario con Eugenio Scalfari, Dario Fo, Nelson Mandela, El Pais, Barak Obama, Veltroni, Agnoletto, Alemanno e la cittadinanza onoraria, manca solo la solidarietà della Cina (che stermina mille volte più dei delinquenti casalesi, martirizza i tibetani, opprime il proprio popolo con una spietata dittatura capital-marxista, ma è in buoni rapporti con tutti gli Stati e tutti i partiti occidentali… gli amici di Saviano…) Saviano ha scritto un ennesimo quanto inutile libro denuncia, nel quale si elencano misfatti criminali noti e diffusi. Un titolo indovinato, un’adeguata campagna di stampa, e poi la minaccia di morte ne hanno sancito il successo. Ma l’opera in sé vale poco, e la sua “cifra” non può e non deve essere riassunta nelle parole “denuncia” o “rivelazione” quanto nelle più adeguate “omissione” e “censura”. Perché se Saviano avesse quel coraggio che non ha, perché il coraggio non te lo dà una minaccia di morte, ma la forza di scrivere verità assolute, forti, rivelatrici, ebbene Saviano scriverebbe dell’origine delle camorre e delle mafie e non dei resoconti giudiziari e delle analisi sociologiche fatte ormai decine di volte e decine di anni prima di lui. A Casal di Principe accade quello che in centinaia di piccoli paesi della Sicilia, Calabria e Campania avviene nella stessa feroce ed impunita gravità. Lo Stato complice, quello che ha creato le mafie e le camorre, con i decenni di collusioni, connivenze, speculazioni edilizie, ecodevastazioni, attraverso le facce di bronzo di destra e di sinistra mostra solidarietà a Saviano che, paradossalmente, corre rischi per quello che lo stesso Stato italiano ha creato e tenuto in vita. La mafia e la camorra non fanno parte del corredo genetico delle popolazioni del sud Italia, diversamente da quello che dei novelli Lombroso vorrebbero farci credere, né tantomeno appartiene alla gloriosa storia della Magna Grecia, dei ducati longobardi e bizantini del Sud, o del Regno di Napoli e delle due Sicilie. Le mafie e le camorre sono uno dei bei regali che un sogno chiamato Italia, rivelatosi un incubo chiamato prima Regno d’Italia e poi Repubblica italiana, ha fatto alle popolazioni meridionali. La sistematica spoliazioni di ogni ricchezza, la accurata politica di impoverimento economico, culturale e sociale, la ricercata complicità tra le istituzione e la delinquenza, ha reso il Sud d’Italia una terra di nessuno dove hanno imperato delle figure ora corrotte ora ingenue ed irritanti, impersonate dai funzionari di Stato, dai parlamentari e dai ministri, dagli amici degli amici, dagli imprenditori collusi, dai giornalisti compiacenti, dagli intellettuali a libro paga, ed infine dai delinquenti garanti del controllo del territorio. Un sistema di potere e di controllo della società che al vertice ha visto le alte gerarchie politiche ed economiche del Sud soggiacere alla volontà di elites economiche e finanziarie nazionali e transnazionali che ancora oggi non prevedono per il Sud d’Italia nient’altro che miseria e disperazione. A niente varrà citare i Borsellino ed i Falcone, anch’essi vittime dello Stato che con coraggio vollero servire fino alla prevedibile ed annunciata morte. Non sarà inutile ricordare le urla violente di una folla disperata ed inferocita ai loro funerali, che insultò il Presidente della Repubblica Scalfaro e ministri, funzionari dello Stato. La folla di quelle chiese e quei funerali sapeva bene contro chi scagliarsi. Infine, i camorristi di Casal di Principe sono gente efficace, concreta, essenziale: se avessero voluto uccidere Saviano lo avrebbero fatto e basta. Chi ti vuole ammazzare non ti avvisa. Ci tocca essere d’accordo con Vittorio Sgarbi. Caro Saviano, il tuo Sistema, il tuo Stato, i tuoi amici politici ed intellettuali, sono gli eredi di coloro i quali vollero per il Sud il destino tragico che previde le mafie, le camorre, le ndranghete e le sacre corone unite. Il prossimo best seller scrivilo sui pastori, non sulle pecore. Ammesso che te lo pubblichino.
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