La "transizione" verso un nuovo ordine mondiale è al di là delle possibilità della maggior parte degli occidentali
di Alastair Crooke - 16/05/2025
Fonte: Giubbe rosse
Anche la necessità di una transizione, tanto per essere chiari, ha appena iniziato a essere riconosciuta negli Stati Uniti.
Per la leadership europea, tuttavia, e per i beneficiari della finanziarizzazione che lamentano altezzosamente la “tempesta” di Trump incautamente scatenata sul mondo, le sue tesi economiche di base sono ridicolizzate come bizzarre nozioni completamente avulse dalla “realtà” economica.
Questo è completamente falso.
Infatti, come sottolinea l’economista greco Yanis Varoufakis, la realtà della situazione occidentale e la necessità di una transizione sono state chiaramente indicate da Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve, già nel 2005.
La dura “realtà” del paradigma economico liberale e globalista era evidente già allora:
“Ciò che tiene insieme il sistema globalista è un massiccio e crescente flusso di capitali dall’estero, che ammonta a più di 2 miliardi di dollari ogni giorno lavorativo – e cresce. Non c’è alcun senso di tensione. Come nazione non chiediamo consapevolmente prestiti o elemosine. Non offriamo nemmeno tassi di interesse interessanti, né dobbiamo offrire ai nostri creditori protezione contro il rischio di un dollaro in declino”.
“Per noi è tutto abbastanza comodo. Riempiamo i nostri negozi e garage di merci provenienti dall’estero, e la concorrenza è stata un potente freno ai nostri prezzi interni. Ha sicuramente contribuito a mantenere i tassi di interesse eccezionalmente bassi, nonostante la scomparsa dei nostri risparmi e la rapida crescita”.
“Ed è stato comodo anche per i nostri partner commerciali e per coloro che forniscono i capitali. Alcuni, come la Cina [e l’Europa, in particolare la Germania], sono dipesi fortemente dall’espansione dei nostri mercati interni. E per la maggior parte, le banche centrali dei paesi emergenti sono state disposte a detenere sempre più dollari, che sono, dopo tutto, la cosa più vicina a una valuta veramente internazionale”.
“Il problema è che questo modello apparentemente confortevole non può continuare all’infinito”.
Esattamente. E Trump è in procinto di far saltare il sistema commerciale mondiale per poi ripristinarlo. I liberali occidentali, che oggi digrignano i denti e lamentano l’avvento dell'”economia trumpiana”, stanno semplicemente negando che Trump abbia almeno riconosciuto la più importante realtà americana, ossia che questo sistema non può andare avanti all’infinito e che il consumismo guidato dal debito è ben oltre la sua data di scadenza.
Ricordiamo che la maggior parte dei partecipanti al sistema finanziario occidentale non ha conosciuto altro che il “mondo confortevole” di Volcker per tutta la vita. Non c’è da stupirsi che abbiano difficoltà a pensare al di fuori della loro replica sigillata.
Ciò non significa, ovviamente, che la soluzione di Trump al problema funzionerà. Forse la particolare forma di riequilibrio strutturale di Trump potrebbe addirittura peggiorare la situazione.
Ciononostante, una qualche forma di ristrutturazione è chiaramente inevitabile. Si tratta altrimenti di scegliere tra una bancarotta lenta oppure veloce e disordinata.
Il sistema globalista guidato dal dollaro ha funzionato bene all’inizio, almeno dal punto di vista degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno esportato la loro sovraccapacità produttiva del secondo dopoguerra verso un’Europa appena dollarizzata, che ha consumato quel surplus. E anche l’Europa ha goduto del vantaggio di avere il suo ambiente macroeconomico (modelli guidati dalle esportazioni, garantiti dal mercato statunitense).
La crisi attuale, tuttavia, è iniziata quando il paradigma si è invertito: quando gli Stati Uniti sono entrati nell’era dei deficit di bilancio strutturali insostenibili e quando la finanziarizzazione ha portato Wall Street a costruire la sua piramide rovesciata di “attività” derivate, che poggia su un minuscolo perno di attività reali.
La crisi degli squilibri strutturali è già abbastanza grave. Ma la crisi geostrategica dell’Occidente è molto più profonda della semplice contraddizione strutturale dei flussi di capitale in entrata e di un dollaro “forte” che sta divorando il cuore del settore manifatturiero statunitense. Perché è legata anche al concomitante crollo delle ideologie di base del globalismo liberale.
È a causa di questa profonda devozione occidentale all’ideologia (oltre che al “confort” di Volker fornito dal sistema) che si è scatenato un tale fiume di rabbia e di vera e propria derisione nei confronti dei piani di “riequilibrio” di Trump. Quasi nessun economista occidentale ha una parola buona da dire, eppure non viene offerto alcun quadro alternativo plausibile. La loro passione nei confronti di Trump sottolinea semplicemente che anche la teoria economica occidentale è fallita.
Il che significa che la crisi geostrategica più profonda dell’Occidente consiste sia nel collasso dell’ideologia archetipica sia in quello di un ordine di élite paralitico.
Per trent’anni Wall Street ha venduto una fantasia (il debito non contava)… e quell’illusione è appena andata in frantumi.
Sì, alcuni capiscono che il paradigma economico occidentale del consumismo iperfinanziarizzato e guidato dal debito ha fatto il suo corso e che il cambiamento è inevitabile. Ma l’Occidente è così fortemente investito nel modello economico “anglosassone” che, per la maggior parte, gli economisti rimangono paralizzati nella ragnatela. Non c’è alternativa (TINA) è la frase d’ordinanza.
La spina dorsale ideologica del modello economico statunitense risiede in primo luogo ne La via della servitù di Friedrich von Hayek, che intendeva che qualsiasi coinvolgimento del governo nella gestione dell’economia era una violazione della “libertà” ed equivaleva al socialismo. E poi, in seguito all’unione hayekiana con la Scuola di Chicago del Monetarismo nella persona di Milton Friedman, che avrebbe scritto l'”edizione americana” de La via della servitù (che – ironia della sorte – si sarebbe chiamata Capitalismo e libertà), e l’archetipo fu stabilito.
L’economista Philip Pilkington scrive che l’illusione di Hayek che i mercati equivalgano a “libertà” e siano quindi in linea con la corrente libertaria americana profondamente radicata “si è diffusa al punto da saturare completamente ogni discorso“:
“In una compagnia educata, e in pubblico, si può certamente essere di destra o di sinistra, ma si dovrà sempre essere, in qualche forma, neoliberisti; altrimenti non si potrà semplicemente accedere al dibattito”.
“Ogni Paese può avere le sue peculiarità… ma in linea di massima seguono uno schema simile: il neoliberismo del debito è, prima di tutto, una teoria su come riprogettare lo Stato per garantire il successo dei mercati – e del suo partecipante più importante: le moderne imprese”.
Ecco quindi il punto fondamentale: la crisi del globalismo liberale non è solo una questione di riequilibrio di una struttura in crisi. Lo squilibrio è comunque inevitabile se tutte le economie perseguono in modo simile, tutte insieme, tutte insieme, il modello anglosassone “aperto” orientato alle esportazioni.
No, il problema più grande è che è crollato anche il mito archetipico degli individui (e degli oligarchi) che perseguono la massimizzazione della propria utilità individuale e separata – grazie alla mano nascosta della magia del mercato – secondo cui, nel complesso, i loro sforzi congiunti andranno a beneficio della comunità nel suo complesso (Adam Smith).
In effetti, l’ideologia a cui l’Occidente si aggrappa così tenacemente – ovvero che la motivazione umana sia utilitaristica (e solo utilitaristica) – è un’illusione. Come hanno sottolineato filosofi della scienza come Hans Albert, la teoria della massimizzazione dell’utilità esclude a priori la mappatura del mondo reale, rendendo così la teoria non verificabile.
Paradossalmente, Trump è tuttavia il capo di tutti i massimizzatori utilitaristi! È dunque il profeta di un ritorno all’epoca dei magnati americani spavaldi del XIX secolo o è l’adepto di un ripensamento più radicale?
In parole povere, l’Occidente non può passare a una struttura economica alternativa (come un modello “chiuso”, a circolazione interna) proprio perché è così fortemente coinvolto ideologicamente nei fondamenti filosofici di quella attuale, che mettere in discussione quelle radici sembra equivalere a un tradimento dei valori europei e dei valori libertari fondamentali dell’America (tratti dalla Rivoluzione francese).
La realtà è che oggi la visione occidentale dei suoi pretesi “valori” ateniesi è screditata quanto la sua teoria economica nel resto del mondo, così come tra una fetta significativa della sua popolazione arrabbiata e scontenta!
La conclusione è quindi questa: non cercate nelle élite europee per avere una visione coerente dell’ordine mondiale emergente. Sono al collasso e sono occupate a cercare di salvare sé stesse in mezzo al crollo della sfera occidentale e alla paura di ritorsioni da parte dei loro elettori.
Questa nuova era segna tuttavia anche la fine della “vecchia politica”: le etichette rosso/blu, destra/sinistra perdono di importanza. Si stanno già formando nuove identità e raggruppamenti politici, anche se i loro contorni non sono ancora definiti.
substack.com — Traduzione a cura di Old Hunter