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È possibile che una ideologia vera e convincente produca delle brutte persone?

di Francesco Lamendola - 02/11/2008


Ci siamo sempre domandati se, nell'ambito dell'ideologia - e specialmente dell'ideologia per eccellenza, quella politica - si possa dare una discrepanza radicale fra la verità e la bontà della teoria e la meschinità e cattiveria delle persone in carne e ossa che ad essa si ispirano, o alla quale dicono di ispirare la propria vita.
L'albero buono può dare frutti cattivi, o l'albero cattivo può dare frutti buoni? Questo è un genere di interrogativi che desta pochissimo interesse in coloro che amano vedere il mondo attraverso le lenti delle teorie astratte; ma che ha un preciso significato per quanti, al contrario, non possono concepire le teorie, se non passando attraverso la prova delle situazioni concrete, a partire dalle persone che in quelle teorie si riconoscono.
È nota l'affermazione di Gandhi, secondo cui l'unica cosa che gli impediva di abbracciare il cristianesimo era la vista del comportamento dei cosiddetti cristiani. Da un punto di vista razionalista e materialista, una obiezione del genere ha poco valore, perché quello che conta sono le idee, grazie alle quali si potrà cambiare il mondo. Dal nostro punto di vista, invece, si tratta di una obiezione capitale, rispetto alla quale tutte le altre passano in secondo piano: perché siamo convinti - per usare il linguaggio evangelico -  che un albero si riconosca dai frutti, e che in nessun caso un servo possa essere migliore del padrone.
Nutrire un interesse filosofico sulla natura dell'uomo, infatti, non significa - a nostro avviso - circondare quest'ultimo di interpretazioni scientifiche, sociologiche, economiche  e politiche, grazie alle quali sarebbe possibile spiegare il fenomeno umano nella sua concretezza; bensì, all'opposto, partire dall'osservazione diretta e personale del fenomeno umano, per poi dedurre da essa delle teorie di carattere generale.
In effetti, questo è un classico esempio di ragionamento induttivo: partire dal particolare per giungere al generale; il ragionamento caratteristico della scienza moderna. Con una differenza, però, rispetto alle prospettive di quest'ultima: che qui l'oggetto da studiare non è altro da colui che osserva, ma è l'altro lato di se stesso, quello visibile dall'esterno.
Noi, per gli altri, siamo quello che essi vedono di noi, né più, né meno; come diceva il buon vecchio Berkeley: «esse est percipi», essere è l'essere percepito. Se vogliamo sapere quel che gli altri vedono di noi, basta che noi guardiamo gli altri: e vedremo, nei loro volti, il nostro stesso volto, così come lo vedono loro; nelle loro parole, nelle loro azioni, le nostre stesse parole ed azioni, così come appaiono ad essi.
Il materialismo comune ha questo di ridicolo: che esso ipotizza una "realtà" materiale in sé e per sé, indipendente da noi che la osserviamo. La materia, dicono i suoi seguaci, esiste da sempre, ed è la base di tutta la realtà: i nostri pensieri, sentimenti, ecc., non ne sarebbero che un prodotto secondario e derivato. Così, ad esempio, il professor Galimberti sostiene che la mente è corpo, e che non c'è altra realtà nell'essere umano, all'infuori del corpo.
Ma chi l'ha mai vista, questa supposta materia originaria, in sé e per sé? Non occorre aver studiato la distinzione kantiana tra fenomeno (o cosa percepita), e noumeno (o cosa in sé), per rendersi conto che il materialismo, pur con tutte le sue pretese di essere l'unica forma coerente e integrale di realismo, è, invece, una dottrina iper-metafisica.
Nessuno ha mai visto la materia in quanto tale; nessuno ha mai visto dei corpi e basta: quello che noi possiamo vedere ed esperire con gli altri sensi è sempre e soltanto quel determinato corpo, quella limitata e ben precisa porzione di materia. E, nel momento in cui l'osserviamo, essa non è più quella che era: per il solo fatto di essere oggetto d'osservazione - ce lo insegna la fisica delle particelle subatomiche - essa si modifica, si trasforma, muta il suo aspetto originario.
Non c'è una materia assoluta e primordiale, dunque: ci sono soltanto enti: alcuni fisici, altri mentali; ma anche quelli fisici possono essere ridotti al livello della percezione puramente mentale - nel sogno, per esempio -, mentre non potrà mai accadere il contrario.
E già questo solo e semplice fatto ci suggerisce che la materia non può essere quella base originaria, quel substrato ontologico dal quale prenderebbero origine gli enti non fisici (come proiezioni immaginarie e illusorie di quelli fisici).

Ma torniamo alle ideologie.
Abbiamo avuto occasione di conoscere persone che professavano ideologie di ogni tipo -  religiose, filosofiche, politiche, artistiche, scientifiche. Così, prendendo l'abitudine di osservarne i caratteri, i comportamenti, le parole e i silenzi, abbiamo cominciato ad istituire delle relazioni fra le loro ideologie e il tipo di persone che esse erano - o, per meglio dire, che apparivano (chi mai potrebbe dire di sapere realmente come è fatta un'altra persona?).
E ne abbiamo tratto delle conclusioni che ci sono parse interessanti.
Fra tutte le ideologie professate, ci è parso che quelle in cui meglio si poteva osservare se e quanto fossero in sintonia con i comportamenti delle persone, fossero appunto quelle politiche: perché non è compito specifico della filosofia o della religione o della scienza o dell'arte, quello di modificare visibilmente le parole e le azioni degli esseri umani (benché ciò possa avvenire e, in genere, avvenga); mentre lo è, dichiaratamente ed esplicitamente, nel caso della politica.
L'ideologia politica vuole creare, attraverso determinate pratiche, una nuova società, che sia fatta di uomini nuovi (e migliori, ovviamente): pertanto, ogni ideologia politica nasce da un'idea di perfettibilità dell'essere umano e dalla convinzione che sia possibile guidarlo, instradarlo e condurlo a compimento, almeno in termini relativi.
Ecco perché i popoli nativi e le civiltà agricole pre-moderne non possedevano la nozione di ideologia politica: perché non desideravano il cambiamento, né credevano nella perfettibilità dell'uomo. Il loro obiettivo principale, nella vita comunitaria, era il mantenimento della stabilità:  cosa che si poteva perseguire solo attraverso la scrupolosa trasmissione della tradizione, di generazione in generazione, attraverso appositi simboli e riti.
Noi moderni, invece, siamo ossessionati da un'esigenza di cambiamento e non possiamo neanche immaginare che si possa preferire la stabilità alla continua trasformazione; di conseguenza, abbiamo elaborato una serie di ricette ideologiche grazie alle quali la società, nel suo complesso, dovrebbe migliorare e, pertanto, anche le persone dovrebbero raggiungere un più alto grado di armonia, benessere e felicità.
La via di colui che possiede uno spirito religioso, e particolarmente la via del mistico, segue il cammino inverso: ritiene che solo un individuo interiormente trasformato possa apportare un benefico cambiamento nella società in cui vive, perché la società è fatta di esseri umani, così come il mare è fatto di gocce d'acqua.
Contrariamente a ciò che potrebbe sembrare, è il mistico colui che ha un approccio di tipo realista, perché agisce sulla concretezza del proprio io ed è convinto che, così facendo, un effetto positivo finirà per riverberarsi anche sugli altri. Invece il pensatore o il militante politico partono da un'idea astratta dell'uomo - sia dell'uomo come effettivamente è, sia di come, per loro, potrebbe o dovrebbe essere - e si propongono di realizzarla, agendo non sui singoli individui, ma sulla società nel suo complesso.
La conseguenza di questo approccio è che delle persone molto imperfette a livello interiore, e magari inconsapevoli della propria imperfezione, aspirano a influenzare positivamente l'intera società, mediante delle "ricette" politiche nelle quali ripongono la massima fiducia, indipendentemente da chi le prenderà in mano per operare il cambiamento.
In ciò, l'uomo politico somiglia allo scienziato moderno (molto meno a quello antico, ad esempio al sacerdote-astrologo-mago-scienziato dell'antico Egitto o dell'antica Mesopotamia), perché condivide con lui la convinzione che, in un determinato esperimento, quello che conta non è la persona di colui che lo esegue, ma la corretta procedura da seguire nella tecnica mediante cui viene realizzato.

E qui i nodi giungono al pettine.
Sul terreno della teoria, tutte le ideologie possono apparire equivalenti e tutte, o quasi tutte, possono presentare un sufficiente grado di credibilità, quando affermano di essere portatrici di una "ricetta" infallibile di miglioramento per il corpo sociale (e, indirettamente, per la qualità della vita, anche interiore, dei singoli individui).
Ecco perché le tavole rotonde televisive, cui sono chiamati a partecipare i rappresentanti dei diversi partiti politici per confrontarsi intorno a determinate questioni, hanno sempre qualche cosa di surreale, e più di qualche cosa di profondamente ingannevole. A parole, si può dire tutto e il contrario di tutto; si può essere talmente pragmatici, da venire incontro - volta a volta - alle diverse esigenze di un pubblico diversificato, riuscendo a far credere a ciascuno di parlare proprio nel suo interesse - anche quando sono in gioco interessi assolutamente contrastanti e non negoziabili (almeno in maniera onesta).
Ma, nella concretezza delle persone che incarnano le differenti ideologie, quello che viene fuori è la natura umana che non può nascondersi dietro alcuna maschera, senza lasciar trasparire almeno in parte ciò che realmente la caratterizza. E ciò che la caratterizza può anche essere in contrasto con l'ideologia a parole professata; ma, nella grande maggioranza dei casi, la rispecchia fedelmente: non perché i politici siano persone particolarmente coerenti, ma perché hanno la tendenza ad abbracciare quelle ideologie e a militare in quei partiti politici ove si sentono più a proprio agio, ove possono meglio essere se stesse.
Vogliamo dire che gli individui interessati alla politica tendono, istintivamente, ad abbracciare quelle ideologie e ad aderire a quelle forze politiche nelle quali riconoscono i tratti fondamentali della loro stessa personalità (il simile, per la nota legge di attrazione, cerca il suo simile); e che, pertanto, un sistema empirico, ma abbastanza efficace, per valutare la reale natura di una determinata ideologia politica, è osservare la natura delle persone che la professano; e ciò con tanta maggior precisione, quante più sono le persone osservate, specialmente quelle che vi militano con più trasporto.

Il risultato di queste lunghe osservazioni (lungo l'arco di tutta una vita) non è stato precisamente quello che ci saremmo aspettati a suo tempo, allorché noi stessi credevamo - ingenuamente - che fossero le ideologie a poter cambiare il mondo; senza pensare che chi non è stato capace di cambiare se stesso, tanto meno sarà capace di cambiare il mondo, quand'anche riuscisse a impadronirsi del potere mondiale.
Ci saremmo aspettati di trovare che le persone più belle erano, mediamente, quelle che si identificavano con le ideologie del cambiamento per eccellenza, ossia quelle rivoluzionarie: invece non è stato così. Al contrario, ci siamo resi conto che - mediamente - proprio coloro che professano delle ideologie accesamente rivoluzionarie sono degli individui molto mediocri sul piano umano: dogmatici, scostanti, presuntuosi e arroganti. Si potrà dire che questa è una semplificazione eccessiva, e che il metodo d'indagine era troppo empirico e troppo soggettivo, mancando dei parametri oggettivi in base ai quali stabilire cosa sia una bella persona (e anche su come dovrebbe essere la persona che osserva le altre).
Ebbene, a ciò rispondiamo: al diavolo i parametri; al diavolo le teorie; al diavolo le chiacchiere. Una bella persona non la si dimostra a tavolino, la si percepisce di primo acchito. E, anche se è vero (come già abbiamo detto) che noi non possiamo capire come le persone siano realmente, ma solo dire come ci appaiono, è altrettanto vero che una brutta persona può tentare di imitare una bella persona, ma non potrà mai riuscirvi: perché una bella persona emana un fascino particolare (un fascino discreto e silenzioso, s'intende), che una brutta persona non potrà mai contraffare in maniera verosimile; né una bella persona potrà apparire brutta, se non agli occhi di un osservatore estremamente superficiale e in mala fede.
Una bella persona ci appare tale, indipendentemente dal contesto storico-culturale: si pensi al capitano Arsen'ev, rappresentante della civiltà europea, che riconosce subito la bellezza interiore del cacciatore Dersu Uzala, nel film omonimo di Akyra Kurosawa, benché i due appartengano a mondi completamente diversi.
Allo stesso modo, una bella persona (come anche, del resto, una brutta persona) si rivela tale indipendentemente dalle ideologie che professa: perché l'uomo concreto viene prima delle teorie, ed è giusto, quindi, giudicare queste sul metro di quello.
Ebbene, le persone più belle che abbiamo conosciuto venivano proprio da quelle ideologie che, nel politichese contemporaneo, vengono solitamente giudicate moderate e, quindi, insipide e grigie. Si pensi al linguaggio della Convenzione durante la Rivoluzione francese, che parlava, per indicare il centro, di "palude"; mentre i rivoluzionari, depositari di tutte le virtù civiche, erano i montagnardi o cordiglieri, ossia "la montagna", che dà l'idea delle altezze e dell'aria pura e frizzante.
Non vogliamo dire, con ciò, che le  ideologie centriste siano intrinsecamente "migliori" di quelle estreme; niente affatto. Vogliamo dire che le persone, nonostante tutto, sono più vere delle idee che professano; e, pertanto, sono mediamente migliori quelle persone che non aderiscono a ideologie del cambiamento immediato e radicale, ma si riconoscono, semmai, in valori più legati al concetto di stabilità, di cui parlavamo poc'anzi.
E, a scanso di ogni equivoco, aggiungiamo subito che una persona è migliore di un'altra, secondo noi, quando mostra un più alto grado di benevolenza disinteressata, di capacità di ascolto, di compassione e di generosità, specialmente nei confronti di coloro dai quali sa che non potrà ricevere nulla in cambio delle sue attenzioni.
La nostra esperienza è stata di trovare più spesso tali qualità umane in persone professanti ideologie moderate, o, al limite, non professanti alcuna ideologia, che non fra persone le quali professano ideologie d'ispirazione rivoluzionaria. Anzi, possiamo aggiungere che, fra queste ultime, il tipo umano medio ci è sempre apparso molto al di sotto delle idee teoricamente professate, nonché poco gradevole nei rapporti umani, anche al di fuori del contesto ideologico. Un tipo di persona che non si vorrebbe come collega di ufficio o come vicino di casa, per intenderci: ottuso, intollerante, polemico e aggressivo. Eppure, guarda un po', un tipo di persona convinto di rappresentare quanto esiste di meglio nel campo delle idee politiche, e quindi di costituire - insieme ad altri, simili a lui - una possibilità di cambiamento positivo per l'intera società.
Queste conclusioni - frutto, lo ripetiamo, di alcuni decenni di una costante osservazione e comparazione fra persone e persone, nonché fra persone e ideologie -  ci hanno dato parecchio da riflettere, perché non erano quelle che ci saremmo aspettati e nemmeno quelle che avremmo desiderato. Ma non è onesto dare torto ai fatti per non dover dare torto alle teorie: sono queste ultime, al contrario, che devono inchinarsi davanti ai fatti.
E i fatti, in base alla nostra esperienza, sono questi.
Le persone che si mostrano impazienti di cambiare il mondo, sono proprio quelle che maggiormente avrebbero bisogno di cambiare se stesse: ma non ci hanno mai provato, o perché giudicano di non averne bisogno (essendo già perfette), o perché ritengono che, per loro e per tutti, un positivo cambiamento individuale sarà una conseguenza inevitabile del cambiamento sociale. Viceversa, le persone che meno manifestano una simile impazienza ci sono apparse proprio quelle che hanno saputo operare una rivoluzione interiore, divenendo delle belle persone.
Lenin ebbe a dire, una volta, che noi tutti ci portiamo dietro "il puzzo della borghesia"; lasciando intendere che quel puzzo sarebbe scomparso solo a poco a poco, dopo la presa del potere da parte del proletariato e l'instaurazione della società nuova, coi suoi valori nuovi.
Ma Lenin sbagliava.
Il puzzo e il profumo che ci portiamo dietro, e che sempre ci accompagneranno, sono quelli della nostra miseria e della nostra grandezza umana, che non derivano primariamente dalla nostra appartenenza di classe, ma dalle nostre qualità intime, individuali: che sono uniche, così come ciascuno di noi è una persona unica (perfino nella società di massa, che tende a omologarci il più possibile).
E, in linea di massima, crediamo sia buona norma ricordare che ciascuno di noi ha la spiacevole tendenza a ignorare il proprio puzzo; e, viceversa, a trovare insopportabile quello altrui, che magari é un profumo. Tuttavia, per riconoscerlo bisogna essere a propria volta profumati, come ci insegna  la fiaba di Andersen del brutto anatroccolo.

Che altro dire?
Quando incontriamo, sui sentieri della vita, un altro essere umano, non dovremmo avere fretta di giudicarlo in base alla sua appartenenza ideologica, perché potremmo farcene un'idea molto lontana dal vero (sia in male che in bene).
Le belle persone non hanno tesserini ideologici, così come non li domandano agli altri. Ciò non significa che non abbiano le loro idee; ma, per loro, esse non prendono mai il sopravvento sulla concretezza del rapporto umano, che è un incontro (ed, eventualmente, un confronto) fra due individui, con i loro pregi e difetti di esseri umani.

Però, non vogliamo nasconderci dietro una conclusione generica, né tentare di eludere la domanda che per forza di cose scaturisce da quanto abbiamo fin qui detto.
Dobbiamo dire quale sia il tipo umano più brutto che ci sia capitato di conoscere, parlando della media degli appartenenti alle diverse ideologie politiche?
Quello marxista, senza dubbio.
Qualcuno ha detto che le due ideologie più brutte della storia occidentale moderna sono state il puritanesimo inglese e il militarismo prussiano; ed è un'osservazione che ci sentiamo di condividere, sulla base dei danni che esse hanno prodotto all'umanità.
Ebbene, nel marxismo si trovano entrambe queste componenti: il puritanesimo ipocrita e bacchettone e il dogmatismo e l'autoritarismo da caserma.
E queste persone avrebbero la pretesa di cambiare il mondo in meglio?
Come lo potrebbero, se non si rendono nemmeno conto della propria bruttezza sul piano puramente umano?