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Una mattina di un tranquillo giorno di crisi

di Eugenio Orso - 04/11/2008

 

 

 28 di ottobre del 2008, fuori è ancora buio e mia moglie dorme. Me ne vado in cucina caracollando, con gli occhi cisposi e ancora chiusi, a bere una tazza di caffè del giorno prima, ormai drammaticamente freddo. Molto zucchero, per avere un po’ di energia e affrontare l’ennesima giornata, fra l'altro piovosa, di un periodo di crisi che dicono essere “sistemica” ma che inevitabilmente diventa anche personale, addirittura esistenziale, con possibili e maggiori ritardi dei treni, con sgradite sorprese che ti attendono dietro l’angolo, come il rincaro delle sigarette o della colazione, con disagi dovuti a qualche corteo di studenti fra il festoso e l’incazzato, con il solito codazzo di notizie non propriamente positive apprese dall’autoradio, sui giornali, esplorando il mare magno di internet o in ufficio direttamente dai colleghi. Se poi non si metterà più in moto la vecchia automobile, che ha diciassette anni e che uso con estrema parsimonia dato il consumo spropositato di benzina, dovrò prendere l’autobus di volata, per raggiungere la stazione ferroviaria e attendere il treno, arrivare a destinazione, prendere un altro autobus, eccetera.Il tutto condito con ritardi, inefficienze diffuse e un degrado ormai irreversibile del trasporto locale, in particolare di quello ferroviario, che si fanno sentire almeno un giorno su tre e che implicano ritardi di mezz’ora, su percorrenze di qualche decina di chilometri.L’automobile si accende al primo colpo ed anche per questa mattina posso tirare un sospiro di sollievo.Accendo anche l’autoradio, perennemente sintonizzata sul notiziario della RAI regionale, per ascoltare le novità della giornata in regione – il Friuli Venezia Giulia – e mi avvio verso la stazione ferroviaria di Monfalcone, essendo la mia meta finale Trieste.Fuori è ancora buio e quando tornerò indietro sarà gia buio, naturalmente …Anche questa mattina la mappa della crisi, ormai estesa a tutta la regione, si precisa di un altro po’: dal polo chimico di Torviscosa con la Caffaro appartenente al Gruppo SNIA, che ha duecento e settanta dipendenti e un indotto in cui lavorano altri mille, al negozio di abbigliamento Coin nella Città Fiera di Torreano di Matignacco, vicino a Udine, la cui chiusura annunciata lascerà senza lavoro una trentina di addetti.Non si parla per oggi di altri casi, quali il triangolo della sedia di Manzano, San Giovanni al Natisone e Corno di Rosazzo, in provincia di Udine, che in alcuni anni ha visto la chiusura o l’entrata in crisi di almeno metà delle aziende, la Ferriera di Servola, in Trieste, minacciata di cessazione delle attività per questioni ambientali e attualmente nelle mani del gruppo Lucchini-Severstal, che ha in Russia la casa madre, oppure dei distretti nel Pordenonese – il vero confine orientale di quel Nord Est che è diventato un simbolo della mitologia industriale italiana – un tempo fiorenti, nei quali un numero sempre più grande di imprese piccole e medie sta vistosamente arrancando.Credo che bastino, comunque, per questa mattina mille posti di lavoro a rischio, in una regione che ha circa un milione e duecento mila abitanti e che dovrebbe rappresentare – bontà dei media mainstream – una delle aree a maggior sviluppo del paese.Ascoltando questo “bollettino di guerra”, in una tranquilla e piovosa mattinata di un giorno di crisi, mi viene in mente che anche l’azienda per la quale da anni lavoro sta subendo un processo di scissione, volto a generare una nuova entità che servirà il Mercato, esito funesto dell’articolo 13 della legge Bersani ancora in vigore, e improvvisamente mi sovvien che nella pubblica amministrazione impazzano Brunetta e Gelmini, l’uno, sembrerebbe, a tutto campo con lo scopo di ridurre costi e posti di lavoro nel pubblico impiego, e l’altra limitatamente alla riforma della scuola e dell’università pubbliche, attraverso una riforma coerente con la finanziaria tremontiana, che significherà tagli di risorse al settore, perdita secca di posti di lavoro e profonde ineguaglianze nella formazione delle nuove generazioni.Infatti, sono nell’aria scioperi nella P.A. e sono in corso le manifestazioni di studenti e insegnanti in tutta Italia, Trieste compresa, con esiti che oggi non sono prevedibili.La direzione e il successo della protesta dipenderanno dal grado di consapevolezza di chi partecipa, dall’ampiezza della partecipazione, dalla capacità di evitare strumentalizzazioni – soprattutto da parte dell’opposizione “sistemica”, rappresentata dal penosissimo Pd veltroniano – e dalla reazione più o meno “poliziesca” e repressiva del governo in carica. Sorrido, ricordando che alla presenza di una “congiuntura” decisamente sfavorevole sarebbe compito dello stato, quanto meno manovrando in modo opportuno le leve dell’imposizione fiscale e della spesa e attuando di conseguenza la sua funzione redistributiva, sostenere l’occupazione e i redditi per favorire una ripresa ed evitare conseguenze sociali drammatiche, ma questo sarebbe potuto accadere prima della globalizzazione e dell’imperio assoluto delle condizioni capestro di Maastricht, mentre ora ciò che si deve difendere – anche davanti all’evidenza del suo fallimento – è soltanto il Libero Mercato, senza regole o con poche, inefficaci regolette …Se si concepiscono gli stati come aziende, anche questi possono fallire, e forse ancor prima delle banche.Sorrido ancora, cercando di immaginare l’ampiezza dirompente dei moti futuri, scatenati nel vasto Occidente da un ceto medio a rischio di scomparsa dalla mappa sociale, che finalmente, stretto dai rigori dell’impoverimento e scopertosi capace di mettere a frutto la sua conoscenza del sistema, le sue abilità nella comunicazione e nell’organizzazione, si pone alla guida della riscossa di tutta la Pauper Class, per abbattere una dopo l’altra le figurette di cartone del potere politico liberaldemocratico, dietro le quali si nascondono i veri dominatori – i membri della quasi invisibile Global Class – che manovrano le leve della finanza, della comunicazione, dei mercati energetici e alimentari e che vorrebbero tenere saldamente in pugno anche i popoli, gli stati e le nazioni, modellandoli secondo i loro interessi neo feudali.Ma poi il pensiero sbanda, fino ad incrociare lo sguardo stolido dei bottegai del nord, con tanto di camicia verde e gadgets dello stesso colore, riuniti a Pontida per ascoltare le parole dell’invalido Bossi, oppure l’espressione indecifrabile delle hostess di Alitalia, legate con ostinazione ai loro piccoli, miserabili privilegi, e la prospettiva rivoluzionaria si allontana inesorabilmente: anch’essi, come del resto il sottoscritto, fanno parte del famigerato ceto medio …Il mio è un sorriso amaro e lo diventa ancor di più, quando ripenso alle parole di un giovane sindacalista della FIOM, molto attivo e intellettualmente onesto, che mi raccontava di trentamila richieste di cassa integrazione in uno dei capi saldi dell’industrializzazione italiana d’altra epoca, la vecchia Torino, dei segnali di catafascio imminente e del fatto che spesso, nell’emergenza che avanza, le stesse dirigenze sindacali si perdono in interminabili discussioni sul “sesso degli angeli”.Mi sembra di essere davanti ad un grande cimitero, in cui ogni giorno spuntano nuove lapidi – duecento lavoratori in meno qua, trecento là, mille dall’altra parte – a rappresentare i caduti di una guerra silenziosa, e la speranza assomiglia sempre di più a quella tortora superstite, che proprio ora si alza in volo da una striminzita isola verde, per sparire subito dopo alla vista, in un cielo plumbeo e carico di pioggia.Quando arrivo al parcheggio comunale, nei pressi della stazione ferroviaria di Monfalcone, mi ricordo che devo fare la scorta di sigarette e pagare, in giornata, una bolletta dell’Enel che sta giungendo a scadenza … e già questo rappresenta, ormai, un vero salasso per le mie provate finanze.D’altra parte, non servono ulteriori prove per capire che tutto o quasi deve andare nelle tasche del capitale, per l’occasione internazionalizzato, e poco più di niente in quelle del lavoro, specie se dipendente.Si ritorna ad ampie falcate alla bronzea legge dei salari di David Ricardo, economista classico che ha vissuto l’infanzia del capitalismo, secondo il quale bisogna dare al lavoratore soltanto il minimo indispensabile per la sua sopravvivenza e quella del suo nucleo familiare.E se Berlusconi fosse d’accordo con David Ricardo, o ancor peggio con la confindustriale Marcegaglia, come saremo conciati fra un paio d’anni?Se avessero l’occasione di vedere e comprendere questa realtà uomini come Talete di Mileto – che si è arricchito per scommessa e non per avidità, fidando sulle sue conoscenze astronomiche e facendo man bassa di frantoi, in previsione di un’ottima stagione per la raccolta delle olive – oppure il Platone della repubblica dei filosofi, o lo stesso Aristotele dell’Etica Nicomachea, i quali disprezzavano la crematistica e chi la praticava, chissà a quali conclusioni potrebbero giungere … visto che l’economia dei servizi, soggetta ad ampie distorsioni finanziarie, esalta proprio la moderna pratica crematistica, la speculazione pura a scapito della buona amministrazione.Arricchimento di rapina, dunque, e su scala planetaria, senza neppure la giustificazione dovuta all’applicazione del lavoro umano, a meno che non si consideri lavoro l’impacchettare abilmente crediti inesigibili – la famosa cartolarizzazione di mutui subprime e crediti al consumo, la truffa delle garanzie collaterali – creando nuovi e sofisticati prodotti finanziari, inintelleggibili ai più e con perdite incorporate, in certi casi fin dalla nascita … Scopro che non vorrei essere un “quant” indiano ingaggiato sulla piazza di Londra, dall’indubitabile creatività sprecata nel costruire illusioni finanziarie, avendo io una fastidiosa coscienza che fa sempre capolino e la consapevolezza che si tratta, appunto, soltanto di illusioni.Il treno parte all’incirca in orario e siccome il percorso pur essendo breve non è brevissimo, riesco a leggere qualcosa in mezzo ai rumori della calca.A parte qualche trenino recente, di piccole dimensioni e acquistato con soldi regionali, per i pendolari di questo sperduto limes italiano riservano vagoni che mi ricordano i tempi dell’adolescenza e della gioventù … ed io ho già cinquant’anni.Giunto in stazione a Trieste, vado verso la fermata dell’autobus, controllo il “bigliettone” – dieci corse alla bellezza di nove euro, ciascuna timbratura valida per una sola ora – e non noto fra la gente i soliti accattoni, che normalmente spuntano sempre più numerosi la sera, quando sono sulla via del ritorno, i quali ti fermano per chiederti un euro [i più temerari anche cinque], una sigaretta o addirittura si accontentano di qualche genere alimentare, se porti con te il sacchetto della spesa.Ogni tanto, qualcuno di loro ti ferma anche soltanto per parlare, data la solitudine e l’abbandono in cui sono costretti, in cui siamo costretti tutti noi, niente altro che poveri atomi dispersi nello spazio globale …Credo che molti fra quegli sfortunati dormano nelle sale d’aspetto o in qualche ricovero improvvisato dietro alla stazione, ma sono certo che la crisi, rincrudendo ed estendendosi, oltre a privarli di qualsiasi possibilità di riscatto gli procurerà buona e numerosa compagnia, per il prossimo futuro. Il percorso non è interrotto da cortei studenteschi o da piccoli incidenti e arrivo indenne in ufficio – dopo una breve sosta per caffè e brioche, dato che posso ancora permettermeli, con rapida lettura dei quotidiani compresa nel prezzo – tossicchiando per le molte sigarette e la fastidiosa umidità.I miei colleghi, due valenti progettisti già al loro posto, stanno parlando di questioni tecniche e organizzative, in rapporto all’imminente scorporo di una costola dell’azienda, la società di mercato nuova di zecca, che dovrà rilevare il pacchetto di clienti non in convenzione sparsi per tutta la penisola e confrontarsi duramente con la concorrenza, dividendo con questa una “torta” sempre più piccola e insufficiente.Io, fortunatamente, sono destinato a restare dove mi trovo …Improvvisamente mi immagino come una sorta di Fantozzi postmoderno, molto più drammatico e consapevole della sgraziata creatura di Paolo Villaggio, senza mutandoni ascellari e particolari complessi di inferiorità, ma anche privo della certezza di un’agognata e meritata pensione – che Fantozzi sognava fin dal primo giorno di lavoro – dubbioso dello stesso futuro.Solita routine: attivo il portatile, mi connetto alla rete e intervenendo di tanto in tanto nella discussione fra colleghi, con osservazioni sperabilmente intelligenti, consulto la posta aziendale, cercando fra le mail qualche lavoro urgente che mi impegni per alcune ore e che mi faccia passare al meglio – nessuna nuova, buona nuova! – questa mattina uggiosa di un tranquillo giorno di crisi.