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Sfida dietro le sbarre

di Alessandro Ursic - 12/02/2006

Fonte: peacereporter.net

Le lotte tra gang di neri e latinos si spostano nelle carceri di Los Angeles
Dalla strada al carcere, senza esclusione di colpi. Da una settimana nelle prigioni di Los Angeles scoppiano ogni giorno risse collettive tra detenuti, che hanno provocato un morto e decine di ricoverati in ospedale. A venire alle mani sono centinaia di detenuti neri e latinoamericani, che portano dietro le sbarre le vendette tra le gang della metropoli californiana.
 
Detenuti latinos e afro-americani in un carcere californianoGli scontri. Tutto è cominciato sabato 4 febbraio, con una rivolta che ha coinvolto circa 2.000 persone nel carcere di Pitchess e che la polizia ha faticato a domare. Un detenuto afro-americano di 45 anni è morto per le percosse ricevute. Da lì, ogni giorno c’è qualcuno che vuole farla pagare all’altra parte. Nuove rivolte sono scoppiate a Pitchess, che con 21mila detenuti è il più grande centro di detenzione della contea di Los Angeles, e in altre prigioni cittadine. Mercoledì le guardie penitenziarie sono dovute intervenire sparando proiettili di gomma per dividere 300 detenuti, giovedì hanno dovuto usare i gas lacrimogeni per rimettere ordine in una rissa che ha coinvolto 200 prigionieri. In totale, 28 detenuti sono stati ricoverati e almeno 90 hanno riportato ferite di una certa entità.
 
I tatuaggi sulla schiena di due membri di una gang latinoamericanaLe motivazioni. La tesi che viene comunemente accettata è che a iniziare i disordini siano stati i membri di gang latinoamericane dopo il via libera arrivato dalla mafia messicana, che ha voluto vendicarsi per l’aggressione da parte di una banda afro-americana nel sud di Los Angeles. Sono gang che si contendono il traffico di droga e lottano per il territorio. “Siamo convinti che tutto nasca da lì”, ha detto un portavoce dello sceriffo. “E’ un piccolo gruppo di persone, la maggior parte dei detenuti non vuole immischiarsi”. Per cercare di dividere le due comunità in carcere, i responsabili del centro di Pitchess sono ricorsi – la legge lo vieta, si fa solo in casi di emergenza – alla separazione razziale dei detenuti. Neri da una parte, latinos dall’altra. E le celle sono rimaste chiuse a chiave per due giorni, con detenuti di entrambe le comunità a lamentarsi di vestire da giorni gli stessi indumenti, senza poter fare la doccia o chiamare a casa. Giovedì una settantina di leader religiosi – cristiani e musulmani – hanno visitato le carceri delle rivolte, nella speranza di calmare le acque. Una rivolta è comunque scoppiata anche dopo la loro visita.
 
Le reazioni. Secondo lo sceriffo Lee Baca, la situazione sta lentamente tornando alla normalità. “Negli ultimi episodi gli scontri sono stati quasi simbolici”, ha detto. “I detenuti latinoamericani seguono il codice razziale delle carceri, secondo il quale devi combattere ma senza ferire il nemico”. Ciononostante, le autorità ora promettono sanzioni esemplari, per far passare la voglia di regolare i conti in futuro. “Quelli che hanno iniziato tutto verranno identificati e isolati. Perderanno tutti i loro privilegi e saranno accusati di nuovi crimini”, ha giurato lo sceriffo.
 
Due latinos in carcere mostrano i loro tatuaggiIl risentimento tra comunità. Le carceri statunitensi sono le più affollate del mondo. Gli Usa hanno 2 milioni di detenuti, nessun altro Paese li supera: ogni 100mila abitanti, 715 sono in carcere. Le rivolte di questi giorni, più che per sovraffollamento, potrebbero però spiegarsi con un astio tra le due comunità che va oltre la rivalità tra gang. La pensa così Earl Ofari Hutchinson, un attivista afro-americano che conduce un talk-show su una radio di Los Angeles. “Quello che succede in carcere è sintomatico di un malessere più ampio”, spiega. I latinos, in California e nel resto degli States, grazie all’immigrazione stanno aumentando di numero e hanno recentemente superato di numero gli afro-americani. “I neri e i latinos si scontrano nelle scuole, sulla strada, sul posto di lavoro, negli ospedali. Non intendo scontri fisici, ma lotte per il territorio nelle aree che stanno cambiando demograficamente, diventando prevalentemente latinoamericane”.