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Separati e infelici

di Alberto Cossu - 11/11/2008

Tra divorzi e separazioni in Italia vengono emesse 352 sentenze al giorno: circa una ogni 4 minuti. Tutto ciò accade mentre i nostri politicanti pontificano ipocritamente sul valore della famiglia. Ipocritamente perché la maggior parte di questi alfieri dei sacri valori sono divorziati o separati: Casini, La Russa, Fini, Follini, e l’elenco potrebbe continuare ancora.
Tutti sanno come siano gravi i problemi legati alle cause di divorzio o separazione, specie riguardo alla lentezza dei processi (come dichiara Piercamillo Davigo: «È più facile uccidere la moglie che venire a capo di un divorzio difficile, i tempi per una separazione spesso superano quelli di una pena infliggibile per omicidio») e ai problemi legati ai figli, che in molti casi sono usati come strumenti di una guerra senza quartiere tra madre e padre. Solo da poco invece si discute, dopo anni in cui il riflettore era puntato solo sul problema dei figli e delle donne, sul fatto che spesso i più penalizzati sono gli uomini, i padri.
Gli uomini, oltre a dover lasciare la casa coniugale, anche se di loro proprietà, nella maggior parte dei casi di separazione con figli devono pagare anche l’assegno di mantenimento. Fino all’anno scorso nell’83 % dei casi i figli venivano affidati alle madri. Per di più, in tempi come questi di caccia al pedofilo e al maniaco (presunto), un padre su tre viene accusato dalla moglie di violenze o molestie al momento della separazione. Nel 99% dei casi le accuse si rilevano infondate (fonte: Ass. Genitori Separati dai figli).
Uno dei problemi più grossi è soprattutto quello della casa. L'alloggio viene assegnato alla moglie nel 54,4% dei casi, al marito solo nel 22%. Per vivere degnamente dopo una separazione bisognerebbe essere ricchi, altrimenti è davvero dura. Facciamo un esempio concreto e prendiamo una famiglia in cui marito e moglie lavorano entrambi: 1.300 euro al mese lui e altrettanti lei. I due coniugi riescono a pagare la rata mensile del mutuo di 600 euro. Con la separazione la rata viene divisa a metà, ma l'appartamento rimane alla donna, cui va anche un assegno di 500 euro per il mantenimento dei figli. L'uomo si ritrova così a dover pagare un nuovo affitto e a vivere con 500 euro al mese. Non ce la fa, ovviamente, e ciascuno si arrangia come può.
C'è chi per dividere le spese va a vivere con altri padri divorziati, chi si vede costretto a tornare dai genitori o a chiedere ospitalità a qualche conoscente, e a volte ci si accontenta anche di una branda in cantina. Molti si vergognano e capita che alcuni padri preferiscano così incontrare i figli al bar.
Da quest’anno si blatera della nuova legge varata, l’affido condiviso, che prevede due novità: la potestà che rimane a entrambi i genitori e la soppressione del vecchio assegno di mantenimento. Entrambi i genitori dovrebbero quindi contribuire alle spese in maniera proporzionale al proprio reddito.
Noi però, da buoni agenti di sfiducia quali siamo, andiamo molto cauti prima di dire che il problema sia stato risolto. Sappiamo bene, infatti, che il problema in questo caso, non è tanto nelle leggi, quanto nella loro applicazione. Che a causa della discrezionalità dei giudici, continuano spesso a essere inique per gli uomini. Che le cose stiano davvero così, lo si evince anche da quanto dichiara Marino Maglietta presidente dell’associazione Crescere Insieme: «La colpa è molto spesso della magistratura che insiste sul modello monogenitoriale, anche se la nuova legge sull’affidamento condiviso dà indicazioni diverse». Insomma, i figli alla madre e le spese al padre. Non è difficile immaginare come molte donne sfruttino queste situazioni a loro vantaggio. Immaginiamoci ad esempio una donna che si sia rotta le balle del marito per i motivi più frivoli: potrebbe benissimo chiedere una separazione con addebito di colpa al marito, magari per presunti tradimenti e vedersi così libera dagli obblighi matrimoniali ed economicamente sistemata.
Questo se le corna ci sono. Ma capita spesso che i motivi addotti siano molto più frivoli, con ritornelli del tipo “non ci amiamo più” (come se fosse fisiologicamente possibile che una coppia dopo molti anni provi la spinta emotiva e sessuale dei primi periodi della relazione). Logicamente tutto questo discorso è valido anche per gli uomini che utilizzano tali pretesti. Che poi, anche se le corna fossero vere, davvero è giusto distruggere una famiglia per questi motivi? La risposta sarebbe la seguente: “Sì, se due si tradiscono, meglio la separazione dell’ipocrisia”. Ma è forse ipocrisia agire come agivano le donne senza andare lontano fino agli anni ’50-’60, che pur sapendo delle scappatelle del marito chiudevano un occhio? No, è solo senso di responsabilità verso quei legami naturali fondamentali e capacità di comprensione verso l’uomo: queste donne, ben prima del ’68, del femminismo e senza bisogno di bruciare reggi seni, sapevano che sesso e amore (coniugale e familiare) sono due cose distinte.  
Venne poi la ventata del femminismo massimalista degli anni’70, che lungi dall’essersi spenta, è penetrata in modo subdolo in ogni dove, legandosi con gli effetti sociali disgregatori causati dall’economia moderna. Ed ecco così un altro bell’esempio di progressismo e capitalismo, che a parole si combattono ma che nei fatti vanno a braccetto quando si tratta di distruggere i legami naturali.