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Un attacco imminente all'Iran

di Danielle Bleitrach - 15/02/2006

Fonte: Comedonchisciotte

    
 Alcune riflessioni sul discorso di Jacques Chirac e l’approvazione di Laurent Fabius

 

Al contrario di Fabius [1], si può anche non apprezzare questa chiamata “alle armi” di Jacques Chirac. [2]

Se c’è una minaccia reale, concreta, di fronte alla quale il capo di stato deve adottare delle misure il suo dovere è di fornire chiarimenti ai cittadini francesi.

Certamente, ci sono dei dati rivelatori di una strategia di cui non si può esporre tutto, ma in quel caso è la confusione più totale. Alla prima lettura, quest’intervento sembra un colpo di scena con cui Jacques Chirac cerca, nell’ambito dei problemi politici interni, di acquisire una statura che alcuni avvenimenti recenti e la sua rivalità con Sarkozy non finiscono di indebolire. Se questo effettivamente fosse il caso, si sarebbe di fronte a una grande mediocrità.

Perché sempre, al contrario di Fabius, si vede che ciò non serve che a mantenere la nebbia su quello che realmente è “il terrorismo”.

 

O si tratta di minacce che farebbero pesare dei gruppi clandestini collegati in maggiore o minore misura tra loro, e ciò sarebbe di competenza della polizia, niente intervento militare né tanto meno nucleare.

O si tratta di un altro Stato che sarebbe all’origine della minaccia e il minimo che si possa fare è di definire lo Stato e la natura della minaccia reale che incombe. Poiché niente di tutto questo è meglio precisato, siamo davanti a una pura e semplice manipolazione della paura, il che è antidemocratico su tutta la linea, in quanto il cittadino viene privato della capacità di giudicare la sensatezza di una decisione tanto grave.

Inoltre, se si analizza il contesto internazionale, il senso dell’intervento non può che allarmarci.

Il contesto internazionale:

Può essere abbozzato a grandi linee, delle quali ciascuna meriterebbe di essere analizzata in maniera più approfondita.

Innanzitutto, misuriamo i risultati di un certo numero d’interventi che hanno luogo nel quadro affermato di una lotta contro il terrorismo. Il governo degli Stati Uniti, giustificando (più che facendosi garante) una politica stabilita da tempo sulla ricomposizione politica del Medio Oriente per garantirsene le risorse, dall’11 settembre ha manipolato i cittadini nordamericani e il resto del mondo sull’effettivo pericolo rappresentato prima dall’Afghanistan e poi dall’Iraq. Se in Afghanistan hanno potuto ottenere l’appoggio delle istituzioni internazionali e l’organizzazione di una vasta coalizione a cui hanno partecipato la Francia e la Germania, in Iraq – è risaputo – hanno agito in completa violazione delle decisioni internazionali, con una coalizione ridotta a dei complici. La Francia si è fatta onore con il suo atteggiamento, anche se fondamentalmente non ha potuto scongiurare l’invasione e inoltre la legalità internazionale ne è stata duramente colpita.

A tale riguardo, si può dire che c’è stato un aumento in potenza della dittatura internazionale e la perpetuazione di uno stato di guerra generalizzato.

Ci si sta accorgendo che questa dittatura potenziale degli Stati Uniti basa le sue azioni sulla menzogna: non solo non c’erano le armi di distruzione di massa, ma anche i pretesti morali tirati in ballo, come il voler fare del bene al popolo afgano o iracheno strappandolo a una dittatura, si sono rivelati come un’evidente ipocrisia. La sicurezza internazionale non ne ha tratto giovamenti, al contrario. E i discorsi di Jacques Chirac sull’escalation delle minacce ne sono la conferma. Globalmente, le conseguenze sono negative, tanto per i paesi coinvolti che sul piano internazionale. Su questi due piani non si sono registrati degli sviluppi o miglioramenti della situazione economica e sociale della popolazione - anche considerando la popolazione occidentale e gli statunitensi in particolare - e ancor meno del Terzo Mondo, né della sicurezza, né della democrazia, bensì la situazione si è aggravata.

Anziché trarne una lezione e cambiare in modo radicale il proprio orientamento, il governo degli Stati Uniti prosegue su questa via criminale e volge le sue attenzioni verso l’Iran.

Innanzitutto, l’affermazione secondo la quale da quel versante incombe una minaccia non convince assolutamente. Tutto sommato, l’argomento della non proliferazione è improcedibile, in quanto basato su una discriminazione intollerabile, non soltanto tra l’Occidente e il resto del mondo, ma anche tra alleati vassalli degli Stati Uniti e paesi che vogliono proteggere la loro indipendenza.

Inoltre, sembrerebbe normale, nel quadro dell’esaurimento a livello planetario delle risorse petrolifere di un paese, che un paese a sua volta produttore di petrolio cerchi il modo per un prossimo avvenire di dotarsi di fonti d’energia più durature.

Approvare una simile interdizione in nome della non proliferazione, corrisponderebbe ad accettare, a risorse esaurite, un sottosviluppo drammatico. Ci affermano che in questa occasione, l’Iran sviluppi un’energia nucleare militare ma per il momento il dossier non sembra più evidente che quello delle armi delle distruzioni di massa in Iran. L’iran afferma che non ne ha affatto, e un certo numero di specialisti gli danno ragione. Se le cosa fossero così, perché la Francia avrebbe – come proclama Chirac – il diritto di proteggersi da una minaccia ampliamente ipotetica ricorrendo al nucleare, e perchè mai l’Iran non avrebbe lo stesso diritto di proteggersi, soprattutto visto che la minaccia è reale e vicina ai suoi confini? Perchè forse noi siamo i “buoni” e loro i “cattivi”?

In effetti, la divisione manichea in due campi: noi, i “buoni” e loro, i “cattivi” è veramente il presupposto di una politica imperialista che non finisce di essere causa di catastrofi. A questo scopo è utilizzato il monopolio mediatico quasi totale del quale gode l’occidente per convincerci che non solamente noi abbiamo il diritto di prenderci le loro risorse, d’attaccare quei paesi, ma anche che comportandoci così difendiamo non i soli interessi di un pugno di sfruttatori, ma quelli della morale. La stigmatizzazione dei dirigenti, le sventure che essi imporrebbero al loro popolo e il loro carattere autocratico, si veda l’antisemitismo diventato insegna della “comunità dell’odio”, sono utilizzati per tratteggiare il ritratto di un nuovo Hitler. O meglio, si capovolge l’aggressione reale subita da questi popoli per secoli e la si trasforma in una volontà minacciosa, contro cui noi tutti dobbiamo premunirci. Tanto alla luce del rapporto di forza reale che sul piano economico e militare, la minaccia non è credibile e viene fantasticata descrivendo un nemico detestabile; questo anche a costo di mentire, come si è constatato recentemente con il testo di Chávez tagliato a bella posta.

Bisogna notare che l’intervento recente di Bin Laden che minaccia gli Stati Uniti assume ormai dei risvolti caricaturali nella misura in cui non soltanto l’11 settembre ha fornito il pretesto di una politica già decisa prima, ma ormai ogni suo intervento sembra avvenire quasi “a richiesta”, ieri alla vigilia della rielezione di Bush, e oggi alla vigilia dell’attacco già programmato all’Iran.

Siamo presi in una manipolazione di cui i popoli aggrediti non sono le sole vittime, poiché ciò corrisponde da noi al peggioramento delle condizioni salariali in nome di una concorrenza internazionale, in particolare quella che farebbe pesare la forza lavoro sottosviluppata dei popoli del Terzo Mondo. E le misure prese contro un nemico invisibile hanno le loro ripercussioni sui lavoratori, le loro lotte e le loro organizzazioni. Inoltre, come mostra la situazione negli Stati Uniti e in Europa, la politica degli armamenti e della guerra grava sempre più pesantemente sui cittadini di quei paesi che, di fatto, la finanziano a spese dei loro servizi pubblici, così come dei posti di lavoro e del loro potere d’acquisto.

La guerra è decisa e ognuno si muove secondo questo schema:

E proprio qui emergono parte delle contraddizioni che devono affrontare gli Stati Uniti nel perseguimento della loro strategia. Hanno deciso di attaccare l’Iran, e questo senza avere maggiori pretesti reali di quanti ne avessero prima dell’11 settembre per attaccare l’Afghanistan, o l’iraq, con la circostanza aggravante che l’Iran, rispetto all’Iraq, fa parte da molto più tempo dei paesi a loro ostili.

Tutti sanno che Saddam Hussein ha condotto la guerra contro l’Iran per difendere la politica degli Stati Uniti e dei paesi occidentali e che credeva in questo modo di essersi assicurato il loro sostegno ai propri progetti d’espansione, compreso quelli ai danni del Kuwait. Si può pensare che i due interventi contro l’Iraq si spieghino il primo per impedire l’ascesa di una forza in questa zona e per ricomporre un’alleanza occidentale intorno all’egemonia degli Stati Uniti, egemonia che non giustificava più la sparizione dell’URSS. La seconda spedizione aveva per obiettivo una ricomposizione della zona e un accerchiamento del nemico di sempre, l’Iran. Tra parentesi, anche da questo punto di vista, l’operazione americana in Iraq frutta dei risultati discutibili, poiché non solamente l’Iraq resta da conquistare, ma le forze pro-iraniane - in particolare tra gli sciiti - sono cresciute, e anche tra i curdi, la loro unità e autonomia rende più fragili le tradizionali relazioni degli USA con la Turchia.

Se a questo si aggiunge l’impopolarità crescente negli Stati Uniti a causa della politica irachena, la crescita dello scontento, sia sul piano dei risultati al di fuori del paese, con il moltiplicarsi dei morti nordamericani e delle conseguenze sociali interne, abbiamo un contesto in cui le forze armate si ammassano alla frontiera dell’Iran, senza che il governo Bush dia nemmeno l’ordine di intervenire. Una situazione di “guerra insolita” e una minaccia che ci viene tenuta nascosta, ma della quale, in effetti, sono perfettamente consapevoli gli iraniani e il Medio Oriente. Esistono delle situazioni ben precise, e una di queste era la campagna nucleare mirata delle forze israeliane per proteggersi dalla minaccia iraniana. Questo spiega la grande risonanza accordata al discorso del dirigente iraniano, tacendo che quel discorso può essere inteso come la denuncia della minaccia permanente che costituisce contro di loro Israele. La malattia che ha colpito Sharon costituisce in maniera inconfutabile un ritardo al progetto degli Stati Uniti.

Occorre valutare che in ogni modo l’intervento è già deciso, nello stesso modo e condizioni di come è stato a suo tempo deciso quello dell’Iraq, e senza porsi minimamente il problema della legalità internazionale.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e i paesi europei, tra cui la Francia, non fanno nemmeno più finta di opporsi a questo progetto, ma, all’interno del loro vassallaggio, tentano di aprire un margine di autonomia legato alla “negoziazione”.

Dal punto di vista europeo, l’elezione al cancellierato di una donna politica tedesca profondamente atlantista ha ulteriormente indebolito i tentativi di resistenza della Francia, che inoltre dopo il NO alla Costituzione è apparsa come il paese in cui la resistenza al neoliberalismo (che fonda l’unità di tutto questo bel mondo) risulta la più sviluppata. Sarkozy, d’altra parte, non nasconde che con lui non ci saranno più incrinature nel dispositivo atlantista e imperialista. Temo in ogni modo che l’intervento d’appoggio di Laurent Fabius non si svolga allo stesso livello, gollista per l’interno, atlantista per gli USA.

L’intervento di Jacques Chirac sembra non solo condannabile per la nebbia di cui avvolge le intenzioni del governo francese, ma pare anche celare dei pericoli riguardo al ruolo che accetterà di svolgere il nostro paese in questa ennesima spedizione illegale, questo saccheggio nascosto da dei pretesti manipolati. È chiaro che apporta il suo contributo alla distruzione di tutta la legalità internazionale, di cui l’aumento in potenza di una dittatura internazionale che non può nelle condizioni reali produrre altro che un peggioramento del sottosviluppo del Terzo Mondo, e una degradazione drammatica delle condizioni di vita dei popoli occidentali, per tacere della distruzione sistematica dell’ambiente e l’esaurimento irresponsabile delle risorse del pianeta.

Ciò non è possibile che con lo smantellamento sistematico di tutte le forme di resistenza dei popoli, accentuando le forme di repressione a spese di tutte le istituzioni democratiche che permettono ai cittadini di intromettersi nella loro vita.

Questo processo è iniziato da tempo. E il pretesto democratico, l’ingerenza umanitaria, come dimostra Jean Bricmont nel suo ultimo libro, L’impérialisme humanitaire, non è, in effetti, altro che l’affermazione della legge della giungla e del diritto del più forte ad opprimere senza ritegno il più debole.

La sola risposta è nell’organizzazione di un’opposizione collettiva a questa politica, in cui Jacques Chirac sembra aver scelto la partecipazione invece della resistenza. Perché l’aspetto più inquietante del discorso di Jacques Chirac è nel ricorso all’arma nucleare. Si passa pertanto dall’opzione zero morti con il ricorso al B 52, alla rimozione del tabù, forte dopo Hiroshima, sull’uso dell’arma nucleare per stroncare le velleità d’indipendenza nazionale. Senza parlare del passaggio dall’uso del nucleare come arma di dissuasione all’offensiva e dell’estensione dell’interesse nazionale a quello dei suoi “alleati”.

L’approvazione di Laurent Fabius ci lascia poco da sperare su quanto ci sia da aspettarsi da forze della sinistra come queste.

Danielle Bleitrach ha da poco (2005) pubblicato con Viktor Dedaj e Maxime Vivas Les États-Unis DE MAL EMPIRE . Ces leçons de résistance qui nous viennent du Sud, casa ed. Aden.

Letture:

Iran: les USA achèvent les préparatifs en vue d’une attaque, Wayne Madsen.

Désagréger la Russie et l’Iran: un objectif pour les Etats-Unis?, Jean-Marie Chauvier.

Iran: Bush et Sharon préparent une opération conjointe, Michel Chossudovsky.

La crise iranienne va déboucher sur la Troisième Guerre Mondiale, Mike Whitney.

Les forces spéciales israéliennes se tiennent «fin prêtes». Le directeur de la CIA demande à la Turquie de se tenir prête à une attaque contre l’Iran, Chris Floyd, Kurt Nimmo.

[Ma, per una singolarità che lo è solo apparentemente, i più felici attualmente sono, con ogni probabilità quelli di Washington. Il Financial Times, non sospettabile di antiamericanismo, non ha forse scritto che i più duri dell’amministrazione Bush - i vari Cheney, Rumsfeld, i neo- e teo-conservatori – si augurerebbero una vittoria di Ahmadinejab? ] Le cri de l’Iran, Maurizio Matteuzzi.

[L’aggressività degli USA si spiega con la paura di vedere emergere un polo indipendente che possa contrastare le loro mire sul Medio Oriente. L’Iran ha l’intenzione e i mezzi per diventare questo polo. Come è noto, con il suo progetto di una borsa petrolifera con il cambio in Euro, che potrà fare concorrenza alle altre borse petrolifere (l’IPE britannica, l’americana NYMEX) e mettere in discussione il predominio del dollaro sul mercato petrolifero internazionale.] Iran: la fabrication d’une crise, Marc Botenga.


Fonte: www.mondialisation.ca
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21/01/2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di TIRZAN