Da Beirut a Gaza: L’assedio come politica israeliana
di Lubna Massarwa* - 27/12/2008
Nel 2006, durante la guerra contro il Libano, il governo israeliano ha imposto un blocco totale aereo e navale sul Libano, un atto che ha spinto un gruppo di attivisti legati al movimento di solidarietà libanese a pensare a un modo per rompere l’assedio. Il gruppo ha pensato di salpare da Cipro verso il Libano, e uno degli attivisti ha proposto di fare rotta anche su Gaza allo scopo di rompere l’assedio israeliano imposto su entrambe le regioni. Dopo diverse settimane, il blocco su Beirut è stato tolto, ma quegli stessi attivisti hanno continuato a organizzarsi e a sviluppare ulteriormente l’idea di rompere l’assedio israeliano su Gaza.
Nell’agosto 2008, dopo due anni e nonostante le minacce politiche e le difficoltà, un gruppo di attivisti è riuscito a sfidare il mondo facendo rotta su Gaza, dopo 41 anni, durante i quali nessuna imbarcazione straniera aveva attraccato nel porto abbandonato di Gaza.
Sulla barca vi erano attivisti, operatori umanitari, membri di diversi parlamenti, medici e docenti, tutti solidali con gli abitanti della striscia di Gaza che vivono sotto assedio. I passeggeri dell’imbarcazione hanno cercato anche di diventare agenti del modo esterno, al quale agli abitanti di Gaza non è consentito di accedere, per raccontare la vita reale nella regione.
In seguito al ridislocamento da Gaza del 2006, Israele ha sostenuto che la sua occupazione di Gaza fosse finita, e che non fosse più responsabile della sorte degli 1,5 milioni di persone che vi vivono. Se anche Israele ha posto fine alla presenza permanente dei suoi militari all’interno di Gaza, essa di fatto controlla ancora completamente Gaza — il suo spazio aereo, il mare e gli attraversamenti terrestri. Quando agli abitanti di Gaza è stato impedito di recarsi nel mondo esterno, si è creata una situazione nella quale centinaia di studenti non possono continuare il loro studi fuori dalla striscia di Gaza, le persone che si sono recate in Egitto per cure mediche o per lavoro non hanno potuto tornare dalle loro famiglie a Gaza a causa del blocco israeliano. L’assedio non colpisce solo il movimento degli abitanti di Gaza, ma Israele impedisce anche il passaggio di medicine, alimenti e gas da cucina. Perciò gli abitanti sono stati lasciati in condizioni di vita difficili, in povertà e in condizioni di fame inaccettabili.
Nel tempo che ho trascorso a Gaza, mi sono ricordata di Sheikh Said a Gerusalemme Est, del villaggio di Nu’aman, e in generale di tutti i palestinesi che Israele imprigiona tra checkpoint e muri. L’assedio su Gaza fa parte di un’offensiva politica complessiva che Israele attua anche in Ciagiordania e a Gerusalemme Est.
Il villaggio di Sheikh Said è circondato da tutti i lati, e senza collegamenti con le altre parti di Gerusalemme Est, senza alcun libero accesso alle strutture sanitarie e alle scuole, e senza il modo di incontrare altri palestinesi.
Tra Qalandiya e Aram, centinaia di palestinesi sono intrappolati tra il Muro da una parte e i checkpoint dall’altra. Il villaggio di Nu’aman, nei pressi di Betlemme, è anche rinchiuso tra mura, e l’ingresso e l’uscita dipendono dai permessi dell’esercito israeliano.
Anche Nablus, Hebron e altre aree sono sotto l’assedio israeliano, visto che il solo passaggio da e verso queste zone è sotto il controllo israeliano. Israele combina una politica di separazione con la creazione di aree affollate e soffocanti.
Per questa ragione, la lotta per rompere l’assedio non è solo responsabilità degli abitanti di Gaza, né è soltanto una lotta contro la situazione umanitaria esistente a Gaza; è una lotta contro le politiche israeliane, una politica di assedio attraverso la quale Israele crea aree popolate da palestinesi tagliate fuori l’una dall’altra. Creando queste aree, Israele ottiene due obiettivi. Uno e di rendere la realtà dell’esistenza difficile separando gli abitanti dai centri dei servizi, dalla sanità e dalle scuole, incoraggiando gli abitanti ad abbandonare le proprie zone di residenza (a trasferirsi). In secondo luogo, Israele “divide e conquista” e continua a separare i palestinesi gli uni dagli altri e da ogni possibilità di unità. Ciò è importante in quanto la costruzione di ponti aperti tra i palestinesi di tutta la Cisgiordania, la striscia di Gaza e le zone del 1948 può essere una minaccia per lo Stato di Israele.
L’assedio su Gaza proviene dallo stesso principio che incoraggia Israele a circondare le aree palestinesi e a mettere sotto controllo gli spostamenti; solo che la situazione di Gaza è pi grave in quanto il blocco che impone Israele qui è impenetrabile. Questo comporta una catastrofe umanitaria di cui sono testimoni gli Stati arabi, la comunità internazionale e milioni di organizzazioni per i diritti umani che hanno scelto di tacere dinanzi ai crimini israeliani in Palestina.
La lotta contro l’assedio su Gaza è una lotta contro l’assedio in tutti i Territori occupati. E’ una lotta contro i muri e i checkpoint, e contro il tentativo di prevenire che i palestinesi di diverse parti si mettano assieme e vivano in un unico Stato. E’ una lotta contro l’occupazione.
Il Free Gaza Movement, che è riuscito a fare rotta quattro volte su Gaza, non ha rotto l’assedio. Tuttavia, questo è un atto importante su cui vanno costruite iniziative ulteriori da parte di altri Stati arabi e non. E forse anche per mettere fine al silenzio internazionale di fronte a quello che sta accadendo a Gaza e in ogni parte dei Territori occupati.
(Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq)
L’articolo in lingua originale
* coordinatrice per i movimenti sociali e politici dell’Alternative Information Center (Aic). attivista femminista palestinese dei Territori del 1948, Lubna è salpata per Gaza con a seconda e la terza imbarcazione inviata dal Free Gaza Movement. Altre analisi e informazioni di Lubna sulla striscia di Gaza saranno pubblicate dall’Aic nelle prossime settimane