C’è un modo psicologicamente appropriato per accogliere il nuovo anno? Un anno speciale, preannunciato dalla prima crisi economica davvero «globale», che ha inoltre prodotto una profonda sfiducia verso le due prevalenti visioni del mondo: quella liberista, ispirata alla libertà dei mercati, e quella socialista, che vorrebbe il loro controllo. Nessuna delle due, infatti, ha saputo evitare la crisi, che ha invece travolto ogni ostacolo, come i cicloni ora sempre più frequenti, e violenti.
Già questa specie di deserto ideologico, prodotto dalla violenza dei fatti, che hanno smentito e quindi reso ridicola ogni ricetta, fornisce una prima indicazione interessante. Esso infatti ci dice che non ci sono teorie cui appoggiarci, dobbiamo essere pragmatici, e badare bene a dove poggiamo i piedi, e cosa facciamo, giorno dopo giorno.

Gli ultimi decenni erano stati dominati da «tendenze», che potevano suggerire dei comportamenti corrispondenti: lo sviluppo dei consumi, quello della «leva» (nuova parola per definire i debiti), quello delle attività immobiliari. Oggi ogni tendenza appare azzerata, e la palla è ferma al centro del campo, senza che nessuno osi dare un calcio in una direzione.
L’uomo comune, però, deve continuare a vivere, il meglio possibile. E per la prima volta può farlo senza doversi aggregare a carri in corsa (tanto, comunque, non ce ne sono), e può, anzi deve, partire dalla propria realtà, dai propri bisogni, dalle proprie opportunità e qualità.
Da questo punto di vista questa crisi, come ogni autentico inizio d’epoca, sollecita in ognuno di noi un atteggiamento attivo e inventivo, un po’ come quella «frontiera» che caratterizzò la civilizzazione e lo sviluppo del nord America. Anche allora i pionieri si muovevano, con difficoltà e non senza pericoli, nel deserto: non c’era niente, bisognava inventarsi tutto. Oggi apparentemente c’è tutto, ma è da reinventare completamente, perché così com’è non funziona più. Né sul piano umano, dove la disaffezione e delusione sono altissime, né sul piano economico, dove si produce in perdita e si consuma indebitandosi.
Come il cow boy, l’uomo che si avvia verso la fine del primo decennio del terzo millennio procede nel deserto ideologico, deve trovare nuove risorse, immaginare nuovi scenari di vita. Ricominciare daccapo: questo il primo insegnamento di fine anno.
Per la verità si tratta di un invito implicito in ogni capo d’anno; ma in questi giorni è particolarmente vero, per via della crisi generale di ideologie, modelli organizzativi, modi e stili di produzione, consumo e investimento. Questa necessità di rinnovamento e di invenzione di nuovi modi di vita, visto che quelli ispirati dai vecchi modelli economici sembrano gravemente esauriti, richiede poi un preciso e ben identificato atteggiamento psicologico: la flessibilità e la versatilità.
In tempi che tutti riconoscono di cambio d’epoca, non è consentito l’irrigidimento. Né la fedeltà a oltranza, sia pure a ideologie di rinnovamento. Si può essere fedeli solo alla vita: dove c’è vita, lì va il pioniere. Dove scorre l’acqua, dove quindi cresce l’erba, dove si produce energia. L’occhio lungo, che vede la prateria che comincia al di là del deserto, è dunque la qualità più preziosa. Per svilupparla, occorre curiosità, apertura all’ignoto, consapevolezza che la realtà ha sempre molte facce diverse, e sta a noi trovare e valorizzare la più conveniente e piacevole.
Il nuovo anno, e soprattutto questo che viene, ci chiede insomma di essere anche noi «nuovi», di rinnovarci in sintonia con i grandi e profondi cambiamenti in corso.