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L'azione israeliana, criminale e sventata, è resa possibile da un analogo teatro internazionale

di Zvi Schuldiner - 08/01/2009

  
 
Più le forze israeliane avanzano nella loro distruttiva spedizione a Gaza, più si fa urgente mettere fine a questa criminale crociata. Ma c'è da chiedersi se esista una comunità internazionale interessata a fermare le ostilità - o se l'offensiva israeliana non possa continuare proprio grazie alla connivenza di vari attori mondiali. Gli Stati uniti, e non pochi altri governi, sembrano ben soddisfatti del lavoro sporco che l'esercito israeliano sta realizzando a favore di «un mondo migliore e con meno terroristi fondamentalisti».

Il governo israeliano ha ripetuto in diverse occasioni di voler mettere fine agli attacchi nel sud di Israele. Poi ha aggiunto che questo implica anche prevenire il contrabbando di armi nella striscia di Gaza, giacché missili come i Grad - che arriverebbero dall'Iran - sono una minaccia per la popolazione israeliana. La destra israeliana continua a chiedere di mettere fine al governo di Hamas, tout court. La maggioranza del governo sembra sapere che questo sarebbe un grave errore: ma ciò non significa che l'offensiva non possa innescare una situazione in cui la caduta di Hamas sarà inevitabile. Alcuni, come il grandemente corrotto Mohammad Dahlan, il leader palestinese che dominava Gaza fino a quando è stato defenetrato dalla rivolta di Hamas, già si illude di poter tornare al potere.
A Damasco Khaled Meshal, leader dell'ala politica di Hamas, tenta contatti che portino a un cessate il fuoco: ma alcune delle condizioni, come aprire il valico di Rafiah, non sono accettabili per Israele, l'Egitto né per l'Autorità palestinese se Hamas non modifica le condizioni dell'apertura. meshal dice una cosa significativa rispetto alla situazione generale: non pensavamo che lanciare quei missili, non così terribili, avrebbe provocato una reazione israeliana delle proporzioni attuali.
A Ramallah, il presidente Abu Mazen denuncia con toni energici l'azione israeliana ma è difficile per la leadership dell'Olp nascondere la sua soddisfazione di fronte ai colpi inferti a Hamas. Peggio: il Consiglio di sicurezza dell'Onu, che doveva discutere la situazione a gaza lunedì notte, ha rinviato la sessione a mercoledì proprio su richiesta di Abu Mazen, che ha addotto di dover aspettare nella regione l'arrivo del presidente francese Nicolas Sarkozy.

I vicini di casa

L'Egitto ha visto fallire i suoi tentativi diplomatici su due fronti: non è riuscito a far accettare ad Hamas alcuni elementi dell'iniziativa egiziana per un cessate il fuoco (Hamas considerava di poter dettare condizioni migliori), e allo stesso tempo non è riuscito a portarla a negoziare con al Fatah per costruire l'unità nazionale. Per gli egiziani, Hamas rappresenta un doppio pericolo: da un lato è un alleato dei Fratelli musulmani in Egitto, dall'altro è una punta di lancia dell'Iran. La presenza di Mashal a Damasco significa che i siriani sono parte di un asse Hamas-Hezbollah-Iran-Siria: e questo spiega la molto moderata condanna dell'offensiva israeliana da parte dei paesi arabi: indebolire hamas darebbe grande soddisfazione non solo all'Olp ma anche a paesi arabi che vedono in quell'asse alleati all'Iran un pericolo per i rispettivi regimi.

La «comunità» internazionale

Non è casuale che l'offensiva israeliana sia cominciata poco prima che George W. Bush lasciasse la Casa bianca. L'amministrazione Bush avvalla l'azione di Israele, ostacola possibili movimenti diplomatici e preme sugli alleati europei perché si attengano alla stessa linea. Obama per ora tace - la scusa ufficiale è che non ci sono due presidenti. La presidenza céca dell'Unione europea è un triste riflesso della posizione americana, quando dichiara che quella di Israele è un'azione «difensiva».
Di fronte all'immobilità americano-europea, brilla il presidente Sarkozy, anche se forse si limiterà a brillare. il presidente francese cerca di ridare una posizione di importanza internazionale al suo paese e sa che la chiave potrebbe passare attraverso l'egitto, con una certa elasticità della siria e la collaborazione attiva della turchia.
Un cessate il fuoco potrebbe essere raggiunto a partire da una iniziativa che l'Egitto ha cominciato a elaborare, con un ritorno dell'Autorità palestinese e degli europei al passo di Rafah (da cui erano stati espulsi da hamas) e un controllo stretto del contrabbando alla frontiera egiziano-palestinese, quasta volta con forze internazionali.

L'azione israeliana, criminale e sventata, è resa possibile da un teatro internazionale che deve preoccupare quanti sperano di uscire da questa situazione. Non basta sperare nel «miracolo Obama», bisogna cominciare a studiare a fondo cosa fa oggi degli Stati uniti e dell'Europa un baluardo dell'offensiva occidentale contro i popoli oppressi.
Chi voglia davvero ricostruire un campo pacifista e della sinistra europea non può continuare a pensare in «guerre difensive», «terrorismo», fondamentalismo nei termini usati in questi giorni, in un quadro che legittima la criminale guerra scatenata dal governo israeliano con il pieno appoggio di Bush e dei suoi simili.