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E Platone inventò la Repubblica: trattato sull'educazione dell'uomo

di Armando Torno - 16/01/2009

Reale: «La politica non c'entra». Vegetti: «Popper sbaglia a criticarla»

Poche opere hanno influenzato il pensiero e la storia dell'uomo quanto la Repubblica di Platone. Dopo due millenni e quattro secoli è ancora un libro discusso, chiosato, un testo con il quale ci si confronta senza requie. Per tal motivo è naturale cominciare una collana di opere filosofiche significative con questo monumento platonico (nel nostro caso è stata utilizzata la traduzione integrale di Roberto Radice, rivista da Giovanni Reale). E per analoghi motivi abbiamo pensato di riportare alcune considerazioni dello stesso Reale e di Mario Vegetti.
Reale è studioso di antica data del filosofo greco. A lui ha dedicato numerosi saggi (il suo Per una nuova interpretazione di Platone, edito da Vita & Pensiero, è arrivato alla ventunesima edizione), è curatore della raccolta completa delle sue opere (Bompiani, 11 edizioni) e per questo primo volume, nato con l'iniziativa del Corriere della Sera,
ha scritto appositamente un'introduzione di oltre 130 pagine e di un altro centinaio di apparati. Vegetti ha coordinato il più vasto commento mai tentato sulla Repubblica (è stato pubblicato dall'editore Bibliopolis di Napoli in sette volumi, l'ultimo dei quali è uscito lo scorso anno) e, oltre a numerosi studi, ha curato una traduzione con il testo a fronte dell'opera platonica per la Bur, alla quale ha premesso un'introduzione di circa 200 pagine. Insomma, due italiani che figurano tra i massimi esperti del sommo ateniese, riconosciuti in ambito internazionale.
«Il titolo Repubblica — ricorda Reale — trae in inganno il lettore di oggi, giacché non è un'opera di politica in senso moderno ma riguarda la formazione spirituale dell'uomo. Rousseau lo definiva il più bel trattato sull'educazione che sia stato scritto». E precisa: «Se viene letto in questo senso, si rivela come il libro più rivoluzionario del mondo antico». In altri termini, la Repubblica «consacrava la nuova cultura, opposta alla tradizionale basata sulla poesia da Omero ai tragici; sostituiva in modo definitivo il predominante pensare per immagini con il modo basato sui concetti e sulle idee». Reale insiste su questo punto: «L'opera non si interessa tanto della funzione, struttura e dinamica delle varie forme di poteri dello Stato, piuttosto si occupa della formazione delle anime degli uomini: del resto, è qui che si realizza il vero Stato. Quando Platone esamina le costituzioni corrotte, altro non offre che la descrizione delle patologie dell'anima».
Ma, per riprendere la visione rivoluzionaria, diremo che essa si manifesta «in modo particolare — sottolinea Reale — nella affermazione dell'identità dell'uomo e della donna, con la conseguente dichiarazione che la donna può e deve fare (quando ne ha le qualità) tutto ciò che svolge l'uomo, senza limitazioni». Il nostro interlocutore si concede un sorriso e prosegue: «Ancora alla fine dell'Ottocento, Theodor Gomperz, pur riconoscendo che il progresso storico ha seguito le indicazioni del filosofo greco, scriveva che "l'ideale di Platone circa la donna non ha che scarse probabilità di una piena realizzazione"». Oggi, invece, nell'epoca che vede il gentil sesso nelle gerarchie militari o ai vertici degli Stati, «si sta realizzando pienamente ciò che Platone aveva asserito ventiquattro secoli fa».
Inoltre è il caso di aggiungere — lo aveva notato Werner Jaeger, uno dei massimi filologi e studiosi del pensiero antico del secolo scorso — che Platone nella Repubblica
inventa il termine «teologia», e senza di lui — prosegue Reale — «non esisterebbe nemmeno l'idea cristiana di conversione, giacché la metafora nasce dal mito della caverna, secondo il quale il filosofo che riesce a liberarsi dalle catene si con-verte alla luce ». Accenna al fatto che molti studiosi si sono accorti che nella Repubblica «si incontrano spunti di idee che la psicoanalisi ha portato in primo piano, come l'affermazione che nei sogni si rivela il nostro inconscio ». Reale conclude: «Una delle idee più forti e impressionanti di questo libro è la seguente: non è il demone che sceglie e assoggetta a sé l'uomo, ma all'opposto è l'uomo stesso che, nascendo, sceglie il proprio demone, ossia come vuole essere e vivere. Hillman ha addirittura ripreso questa idea a fondamento de Il codice dell'anima ».
«L'impressione principale che si ha con la Repubblica — ci confida invece Vegetti — è quella di un'enorme complessità e diventa onestamente difficile ridurre il testo a una serie di formule. È un problema insolubile ». Gli ricordiamo che Leibniz aveva appunto creduto che molte questioni del pensiero si sarebbero risolte se l'umanità fosse riuscita a ridurre Platone in un sistema. Replica: «Al contrario di quel che sognava Leibniz, non c'è la filosofia di Platone ma il modo di fare filosofia secondo Platone ». E prosegue: «Credo che nella Repubblica non vada sottovalutato lo spessore autonomo dei personaggi del dialogo. Non c'è soltanto Socrate, vi sono anche Glaucone e Trasimaco che rappresentano interi strati culturali con i quali Platone si misura e si confronta. È un grande teatro filosofico in cui nulla è superfluo e dove tutti hanno un senso». Vegetti, inoltre, ricorda che «quest'opera ha esercitato continuamente un enorme fascino, anche perverso». Precisa: «Credo che la ragione vada cercata nel permanente bisogno di utopia, non nel senso di Paese di Cuccagna, ma in quello di grande immaginazione politica. Da questo punto di vista, è un testo fondante. Abbiamo avuto tante utopie, ma questa è l'unica che si presenti con un apparato teorico robusto, insomma non è un libro dei sogni. Vi troviamo un'antropologia, una logica, una psicologia; grazie ad essa si fonda un'utopia con ragioni teoriche e concrete».
Per Vegetti, inoltre, «non si può attualizzare e non è corretto appropriarsi della Repubblica.
La critica di Popper, che è assurda, la allontana opportunamente da noi: non è utilizzabile dai liberali, dai socialisti, dai democratici o da altri». E sottolinea: «È un libro da leggere, assolutamente. Ci permette di guardare la politica da lontano, senza quelle prospettive parrocchiali che caratterizzano il nostro tempo. La critica alla democrazia, del resto, è quella di un aristocratico che contiene elementi di riflessione ancora indispensabili». Infine, si concede un cenno al grande commento uscito da Bibliopolis, frutto di una sterminata ricerca con la sua équipe: «La Repubblica è stata per tanti anni una palestra di collaborazione e un eccellente esempio di lavoro con i tempi veri, quelli che il pensiero richiede. In tal caso, Platone ci ha aiutato a non avere stima degli spot e dei ritmi che la televisione ha imposto».