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Quando lo Stato si occupa della storia

di Dichiarazione di storici belgi. - 23/02/2006

Fonte: Rinascita


 
La Storia viene ormai quotata in Borsa. L'infatuazione del pubblico
e le bramosie del mondo politico sono innegabili.
Ministri federali e regionali, deputati e senatori moltiplicano le
iniziative di carattere storico invocando quasi sempre un " dovere
di memoria ".
A testimonianza di ciò, per citare solo qualche esempio, l'inchiesta
promossa dal Senato circa la responsabilità delle autorità belghe
nella persecuzione degli ebrei, le commissioni parlamentari per
stabilire le responsabilità del Belgio nell'assassinio di Patrice
Lumumba oppure per stabilire le cause della scomparsa della
compagnia aerea Sabena, i dibattiti parlamentari sul genocidio
armeno e la sua punibilità se lo si nega, i progetti del governo
fiammingo per un " museo ", centri d'archivio e di studio sulle
violazioni dei diritti dell'uomo a Malines, il finanziamento belga
di un futuro museo dell'Europa a Bruxelles oppure il programma "
scuola per la democrazia " che organizza viaggi ad Auschwitz su un
aereo militare per centinaia di studenti belgi alla fine di Gennaio.
Ce n'è dunque da riempire di gioia gli storici di tutto il Belgio?
Da storici quali noi siamo, non rifiutiamo qualsiasi concorso in
queste iniziative. Sarebbe come fare prova di un purismo scientifico
a discapito della domanda sociale.
Siamo numerosi ad impegnarci in progetti su richiesta del mondo
politico e ci assumiamo per intero le responsabilità derivanti dal
nostro statuto di ricercatori e di insegnanti remunerati con denaro
pubblico.
Tuttavia questa infatuazione ci lascia talvolta scettici, in alcuni
casi può preoccuparci perchè, al di là degli effetti mediatici
chiaramente visibili, essa non porta nessun nuovo impulso alla
ricerca storica, anzi, tende a creare un obbligo di memoria.
 
Quale deve essere il ruolo dei poteri pubblici nella " trasmissione
della memoria del passato " così come viene invocata dai predetti
progetti in corso?
In primo luogo la commemorazione che organizza il ricordo in uno
scopo politico, è un'azione assolutamente legittima di uno Stato, di
una regione o di un comune. Solamente che questa non può essere
confusa con il promuovere la ricerca storica che è una disciplina
critica e indipendente dall'uso che viene fatto della memoria in
politica.
Se c'è un legame fra memoria e Storia, le due cose obbediscono a
esigenze diverse.
La memoria non da accesso alla conoscenza, essa mobilita il passato
in un progetto politico o civio del presente.
La Storia, invece, rivendica uno statuto di scientificità. La Storia
non è al servizio del politico, essa non è un'emozione. Essa non
accetta alcun dogma e può essere scomoda.
La Storia può tener conto della memoria ma certamente non si ci
sottomette.
Più che il dovere di memoria, tanto invocato, vorremmo vedere più
spesso invocare il dovere di storia e di sapere.
Le recenti iniziative miranti a diversificare le esperienze storiche
commemorative in questo paese, al fine di mettere le nostre
politiche di memoria in fase con le diversità della società belga,
sono lodevoli.
Guardiamoci però dall'idea magica che crede di trasformare degli
studenti in cittadini tolleranti ed antirazzisti dopo un viaggio di
andata e ritorno ad Auschwitz!
Questa pratica, utile e meritevole, non ha altro che un valore
radicato in una conoscenza storica che va al di là dell'emozione
nata dallo choc degli orrori.
No, la Storia non è una nuova dottrina della multiculturalità,
capace di combattere l'estrema destra e la xenofobia, di promuovere
la democrazia, l'idea europea o la solidarietà mondiale.
Una memoria esclusivamente " negativa " fatta dall'elenco delle
Grandi Tragedie della Storia contribuisce poco allo sviluppo di una
riflessione critica e questa può addirittura coltivare un sentimento
di autosoddisfazione morale di un presente redento nei confronti di
un passato di orrori e di brutalità.
 
E' quindi di competenza del Parlamento e del Governo elaborare una
nomenclatura di catastrofi in un inventario sempre più esauriente,
partendo dal genocidio degli ebrei, passando per quello degli
zingari, gli armeni, le vittime del colonialismo, del genocidio
rwandese, del conflitto in Bosnia o nel Darfour sudanese ?
Come ha scritto recentemente lo storico francese Henry Rousso, in
una storia criminale dell'umanità " lo Stato si trova sempre più
spesso ad essere, nel medesimo tempo, fonte del crimine e fonte di
rendenzione ".
Bisogna dunque moltiplicare gli atti di pentimento e di perdono per
mettersi la coscienza in pace, per spiegare il comportamento
dell'amministrazione statale sotto l'occupazione, l'Inquisizione, la
tratta degli schiavi, il comportamento delle truppe tedesche
nell'Agosto del 1914, i processi di Mosca, lo sterminio dei
pellerossa, lo sfruttamento dei bambini da parte del nascente neo-
liberismo o i massacri delle legioni romane in Gallia ?
 
Una crescente giudiziarizzazione del dibattito storico costituisce
una minaccia alla libertà di espressione e della ricerca e porta con
se delle conseguenze perverse che vanno a beneficio esclusivo dei
bugiardi e dei fomentatori d'odio.
Gli storici sono ovviamente gli ultimi a lamentarsi quando lo Stato
fa prova di apertura, di autocritica e di trasparenza nelle
inchieste ordinate per far luce in un passato torbido.
Queste inchieste hanno sicuramente contribuito ad una migliore
conoscenza di questi drammi ed a identificare in modo incontestabile
le responsabilità politiche al di là della polemica e del sospetto.
E' certamente positivo che gli storici siano chiamati come esperti,
se necessario, a patto che ciò non produca una nuova Storia
ufficiale e che gli archivi siano accessibili all'insieme della
comunità scientifica.
Pertanto, la procedura che consiste nel concedere un accesso
esclusivo a dei ricercatori selezionati con cura, per poi chiudere
gli archivi in faccia agli altri, è fondamentalmente problematico
per una disciplina che ha la sua scientificità del controllo
contradittorio delle fonti, della critica e del dibattito sulle
interpretazioni.
Quando la ricerca su commissione si generalizza, questo comporta un
grave pericolo per gli equilibri tematici in una così piccola
comunità di storici come in Belgio, in quanto interi lembi di
ricerca che non corrispondono alle priorità politiche del momento
rischiano di essere abbandonati.
Vittime dei fenomeni di moda, gli storici potrebbero perdervi una
delle principali libertà di cui dispongono, quella di porre i loro
propri quesiti nei confronti del passato.
 
Non dimentichiamo che, comunque, non c'è stato bisogno di
commissioni parlamentari per chiarire questioni scottanti della
recente storia politica belga, come lo testimoniano i lavori su
Leopoldo III° o nell'assassinio di Julien Lahaut.
In conclusione noi chiediamo alle autorità politiche di non fare più
di quanto sia necessario, ma di attenersi ai loro compiti per
permettere agli storici di fare il loro lavoro.
Il mondo politico si premura di portare avanti numerose iniziative
storiche ad alto contenuto simbolico, mentre la legge sul materiale
d'archivio, invariata dal 1955, è vergognosamente anacronistica in
confronto ai nostri partners europei.
Anzichè procedere a moltiplicare le commissioni, sarebbe più urgente
che i responsabili politici consentano l'accesso agli archivi a
tutti i ricercatori, dando i mezzi necessari alle istituzioni
incaricate di identificarli, per classificarli ed inventariarli.
L'accesso accordato nel quadro delle commissioni d'inchiesta deve
diventare la regola e non l'eccezione.
 
Se la Storia sta tanto a cuore, perchè non mettere la nostra
legislazione in conformità con quella di una democrazia moderna,
portare i termini di consultazione da 100 anni a 30 o anche a 20
anni e vegliare sulla conservazione del nostro patrimonio
archivistico ?
Da parte nostra non potremmo fare altro che sostenere tutte quelle
procedure degli archivi di stato e di altre istituzioni che si
orientassero in tal senso.
Inoltre sarebbe urgente rivedere la legge sulla protezione della
vita privata (privacy), legislazione che si applica per documenti e
schedari relativi ad individui in vita ma che ostacola non poco le
ricerche storiche, fino a paralizzarle totalmente, se questa norma
fosse applicata sempre e ovunque.
 
Il salto di qualità per la salvaguardia di tutte le nostre memorie
mondiali, nazionali, regionali o locali non ci aspettiamo che arrivi
dalle grandi dichiarazioni, dalle nuove iniziative legislative per
codificare la Storia o da ambiziosi programmi educativi, ma bensì da
una efficace politica di trasparenza. di accesso agli archivi e di
rispetto per l'autonomia e la libertà dei ricercatori.
 

Fonte: LA LIBRE BELGIQUE (25.01.2006)

Traduzione a cura di: Gian Franco Spotti