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Washington consensus

di Danilo Zolo - 23/09/2005

Fonte: Jura gentium

Washington consensus (*)

Danilo Zolo

Washington consensus: l'espressione è stata coniata da Joseph Stiglitz - premio Nobel per l'economia - per sottolineare la grave mancanza di autonomia delle attuali istituzioni economiche internazionali, a partire dal Fondo monetario, nei confronti della superpotenza americana. La stessa espressione può essere usata per denunciare l'altrettanto grave mancanza di autonomia delle istituzioni politiche e giuridiche internazionali, anzitutto delle Nazioni Unite. L'ennesima conferma viene dal Summit delle Nazioni Unite che si svolge in questi giorni a New York per celebrare i 60 anni dell'istituzione e per promuoverne, almeno nelle intenzioni del Segretario generale, una profonda riforma. Secondo i propositi di Kofi Annan la riforma avrebbe dovuto essere talmente ampia e radicale che si sarebbe potuto parlare di una vera e propria rifondazione delle Nazioni Unite: una "nuova San Francisco" per garantire pace e giustizia al mondo globalizzato del terzo millennio.

Ancora una volta l'ottimismo di Kofi Annan si è rivelato velleitario e prevedibile nel suo insuccesso sino ad apparire penoso e risibile. Sostanzialmente nulla del suo iniziale progetto di riforma - il celebre High-Level Panel, predisposto dai 16 saggi da lui nominati - è sopravissuto alla censura preventiva dell'ambasciatore statunitense, John Bolton, che ha investito il testo con oltre 700 richieste di emendamento. E sostanzialmente nessuna delle aspettative riformiste di Kofi Annan ha trovato eco nel discorso di apertura del Summit che è stato tenuto - del tutto ovviamente - dal presidente degli Stati Uniti. Bush si è limitato a lanciare l'ennesima sfida al terrorismo globale in nome della libertà e della democrazia. "Le armi dello sviluppo sono armi per infliggere un colpo ai terroristi", ha dichiarato, chiedendo alle Nazioni Unite di assegnare un primato assoluto a questo obiettivo.

Sarebbe errato pensare che le proposte dello High-Level Panel fossero imprudentemente innovative. Lasciavano intatta la struttura centralistica e gerarchica delle Nazioni Unite e non osavano proporre alcuna riforma del Consiglio di Sicurezza che toccasse i privilegi dei suoi cinque membri permanenti. Né proponevano una minima attribuzione di poteri coercitivi all'Assemblea generale, oggi confinata a funzioni poco più che consultive. E tuttavia, sia pure con estrema prudenza, alcuni problemi cruciali erano stati sollevati. Il documento conclusivo del summit - che ormai circola ufficiosamente - si dilunga invece in dichiarazioni di principio ridondanti e scontate, ed evita qualsiasi impegno che riguardi temi come il disarmo, la non proliferazione delle armi nucleari, la lotta alla fame e alla povertà, l'equilibrio ecologico, la costruzione della pace. Rinviato sine die è il tema stesso della riforma delle Nazioni Unite.

La bruciante sconfitta del riformismo conferma l'estrema difficoltà di dare vita ad istituzioni internazionali in grado di intervenire con efficacia normativa sulle strategie politiche e militari delle grandi potenze. Conferma, nel caso delle Nazioni Unite, la loro inidoneità a svolgere una funzione essenziale, quella di sottoporre a regole generali e a procedure prestabilite l'uso della forza da parte delle grandi potenze, anzitutto degli Stati Uniti. Il Washington consensus oggi le inchioda a un ruolo subalterno di adattamento allo status quo e di legittimazione dell'uso illegale della forza. Il Washington consensus è oggi il sigillo imperiale della arroganza del potere, della negazione del diritto, del disprezzo della vita e delle speranze degli uomini. Lo provano le tragedie del popolo palestinese, dei Balcani, dell'Afghanistan e, oggi più che mai, dell'Iraq, dove un fiume interrotto di sangue è il prezzo della menzognera promessa di libertà e democrazia.


*. Da il Manifesto, 15 settembre 2005.