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Una pagina al giorno: «Amore e ginnastica» di Edmondo De Amicis

di Francesco Lamendola - 21/01/2009


 

Tutti conoscono Edmondo De Amicis come l'autore di quel libro «Cuore» che ha fatto emozionare, commuovere e perfino piangere, intere generazioni di bambini e di ragazzi, e una copia del quale è stata ospite frequentemente visitata nella libreria di quasi tutte le case italiane, accanto alla Bibbia, a «Pinocchio» ed ai «Promessi Sposi».
Non molti, invece, sanno che De Amicis, nato a Omegna nel 1846 e morto a Bordighera nel 1908, legò inizialmente la sua fama più al giornalismo, ai bozzetti («Ricordi di vita militare»), ai libri di viaggio («Olanda», «Ricordi di Londra»; «Marocco»; «Costantinopoli»; «Ricordi di Parigi»), mentre solo in seguito scrisse il suo libro più famoso, «Cuore», appunto, nel 1886 e, con esso, raggiunse il definitivo successo, che gli diede una fama non più venuta meno fino quasi ai nostri giorni.
Più tardi, nel 1892, egli diede alle stampe una raccolta di racconti dal titolo «Fra scuola e casa», contenente anche il racconto di cui vogliamo qui parlare e del quale riportiamo una pagina: «Amore e ginnastica».
Brioso e godibilissimo, esso ci presenta un aspetto della personalità di De Amicis che, probabilmente, molti non si sarebbero aspettati:  un De Amicis ironico e scanzonato, che non tratta i grandi temi patriottici o sociali, né descrive gesti eroici e sublimi; ma racconta di un onesto borghesuccio, un ragionierino dall'aria scipita e di sentimenti prudentemente clericali, già allevato in casa di uno zio prete e poi messo per un certo tempo in seminario, che rimane folgorato allorché viene ad abitare nel suo stesso stabile una giovane maestra tutta salute e ginnastica, il cui fisico scultoreo turba le sue notti e lo spinge ad accarezzare il sogno audace, quasi temerario, di farne la propria moglie.
Tutto il racconto, piuttosto lungo (quasi un romanzo breve) è nel contrasto fra «Don» Celzani, come lo chiamano scherzosamente - ma senza malevolenza - quasi tutti quelli che lo conoscono, per quella sua aria da pretino assorto, sempre compassato e vestito di scuro, e la ragazza  sana, forte, atletica, disinibita ma non sfacciata, anzi singolarmente virtuosa, anche perché tutta presa dalla passione per l'insegnamento della ginnastica in quella Torino di fine Ottocento, passione che sembra non lasciarle spazio per altri sentimenti.
Ella, del resto, non si è neppure accorta del timido coinquilino che fa di tutto per incontrarla cento volte sulle scale o nel portone, ma che non si decide mai a spiccicare una parola che tradisca il suo segreto, pur accarezzando in sogno mille volte una dichiarazione in piena regola, con tanto di onestissima proposta di matrimonio.
Il personaggio del protagonista è reso ancora più patetico, ma non spregevole, dalla ingombrante figura di un altro zio, presso il quale egli lavora come segretario e che, egli teme, potrà opporsi a quelle nozze stravaganti con una povera maestra, sola e senza dote; ma, soprattutto, dal contrasto fra l'aspetto modestissimo del trentenne protagonista (con qualcosa della precoce senilità dello sveviano Emilio Brentani in «Senilità», compresa la sua attrazione per la sana e forte Angiolina) e la sua natura segretamente ma robustamente sensuale.
Pur senza essere un ipocrita, Don Celzani vive quasi una di sdoppiamento della personalità: attentissimo al proprio decoro, egli è - nondimeno - impossibilitato a reprimere del tutto le sue tendenze libidinose.
Di conseguenza, non può fare a meno di mangiarsi con la coda dell'occhio tutte le belle ragazza che incontra per strada e perfino quelle che vede in fotografia nelle vetrine dei negozi; ma dissimula la sua sensualità con un contegno irreprensibile, camminando con gli occhi bassi e con aria assorta. La sua figura è, pertanto, la quintessenza del perbenismo borghese; che, tuttavia, una innata bonomia e mitezza d'animo rendono accettabile e quasi simpatica, ad esempio in quella sua caratteristica esclamazione da ex seminarista: «Dio grande!», che è la più audace fra quante gli possano uscire di bocca nei momenti della massima agitazione.
Inoltre, se possiede una natura sensuale, non ha però un animo volgare; non sogna avventure da strapazzo, ma un onesto e timorato matrimonio; e, dal primo momento in cui la maestrina Pedani entra nella sua vita, accendendogli il sangue e levandogli il sonno, per quanto la sua immagine venga a turbare ininterrottamente le sue fantasie - con quella vita stretta e quelle spalle larghe da amazzone o da atleta -, mai egli osa spingersi più in là, nelle sue sbrigliate fantasie, di una casta e rispettosissima domanda di matrimonio.

Da «Amore e ginnastica e altri racconti» di Edmondo De Amicis (a cura di Giorgio De Rienzo, Milano, Rizzoli, 1986, pp. 41-45):

«Il segretario Celzani passava di pochi anni la trentina; ma aveva la compostezza d'aspetto e di modi d'un uomo di cinquanta, una figura di notaio da commedia o di precettore di casa patrizia clericale.  Rimasto orfano da ragazzo, era stato raccolto da uno zio materno, parroco  di villaggio, che l'aveva tirato su in sagrestia e poi messo in seminario per farlo prete; ma, morto il parroco, lasciandogli un po' di peculio, l'aveva tolto di seminario e preso in casa sua lo zio Celzani, vedovo senza figliuoli, per fargli fare da segretario e da fattore di campagna: ufficio in cui egli metteva una probità e uno zelo veramente esemplari.  Andava in chiesa, frequentava dei preti, e di prete gli eran rimaste certe mosse e certi atteggiamenti, come quello di tener spesso una mano nell'altra serrate sul petto, l'avversione ai baffi e alla barba e l'abitudine di vestir tutto di scuro; ma non era bigotto, e si vantava senza mentire d'essere patriota e liberale. Ciò nonostante, a cagione della sua apparenza, tutti gl'inquilini della casa  lo chiamavano da anni, per celia, Don Celzani. E pure trovando in lui un'ombra leggiera di ridicolo, lo stimavano e gli volevano bene, poiché era cortese e servizievole, timidamente rispettoso con tutti, e sempre eguale; non avendo, quando la sua pazienza era messa alla più dura prova, altra esclamazione più risentita di quella di: "Dio grande!", ch'egli metteva fuori alzando gli occhi al cielo e allargando  le braccia, in atto d'invocazione. Ma v'era un lato della sua natura che nessuno conosceva. Sotto quello aspetto composto di prete travestito si celava un temperamento fisico vivacissimo, una forte sensualità contenuta, non per ipocrisia, ma in parte per timidezza, in parte per sentimento di decoro, e dissimulata per lo più da un'aria di profonda meditazione A veder per la strada quell'uomo vestito di nero, un po' curvo, coi capelli scuri spioventi, col viso liscio, con due occhi così piccoli che quando sorrideva non si vedevan più, con un naso lungo e sottile di asceta, con un'andatura come s'egli studiasse di farsi piccolo, e sempre con lo sguardo rivolto a terra, a dieci passi davanti a sé, nessuno avrebbe mai pensato che non sfuggisse alla sua vista né un piedino scoperto sul montatoio d'una carrozza, né una fotografia libera in una vetrina, né una coppia tortoreggiante sotto un portone, né alcuna cosa od immagine che potesse eccitare i sensi. Un osservatore non avrebbe potuto riconoscere il suo temperamento che dalla grande bocca mobile, che pareva formata da due serpentelli vermigli, e da certe ondate di sangue che, al passar di certi pensieri, gli coloravano per un momento il collo e la faccia. Certo, la buon'anima dello zio prete non avrebbe potuto seguirlo in ogni suo passo; ma la sua condotta era così dignitosamente prudente, che anche chi conosceva meglio le sue abitudini non iscopriva nulla che gli potesse far sospettare ch'egli non fosse, anche per quel riguardo, quel che pareva. Del resto, egli era una di quelle nature nella loro sensualità non volgari, le quali non si abbandonano al vizio perché non vi si appagano, e son fatte per non trovare appagamento che in un possesso unico, sicuro ed onesto, non scompagnato dall'affetto;: nature, più che semplicemente sensuali, amorose, che aspettano e cercano, frenandosi senza grande sforzo, fin che non trovino incarnato un certo ideale fisico e morale, che covano in mente; nel quale sono forse più difficili a contentarsi  d'altri uomini più freddi e più raffinati, a cui non fa velo il fumo della passione.
Ora egli aveva trovato quest'ideale nella maestra Pedani, lombarda, venuta tre mesi prima, sul cominciar di dicembre, ad abitare con la sua collega Zibelli in un quartierino al terzo piano di quella casa, di fronte all'uscio del maestro Fassi, il quale l'aveva tirata là per assicurarsi meglio la sua cooperazione preziosa al "Nuovo agone". Quell'alta e robusta giovane di ventisette anni, "larga di spalle e stretta di cintura", modellata come una statua, che spirava da tutto il corpo la salute e la forza, , e che sarebbe stata bellissima se non avesse avuto un nasino non finito e un'espressione di viso e un'andatura un po' troppo virili, , gli aveva fatto, fin dal suo primo apparire, l'effetto d'una persona lungamente desiderata e aspettata. Era il tipo che aveva accarezzato nei suoi sogni ardenti di seminarista, la figura che aveva vagheggiato confusamente per tutto il corso della sua calda gioventù castigata. La prima volta che era salito in casa sua a prender da lei la pigione anticipata del trimestre, non gli era riuscito di contare i biglietti da cinque ch'essa gli aveva messo in fila sul cassettone. Da quel giorno la sua passione era andata crescendo a vampate. E appena egli ebbe compreso, dal contegno di lei, il suo carattere vigoroso e calmo, repugnante a ogni civetteria, che quasi non le lasciava avvertire l'impressione prodotta dalla propria persona, e non dava speranza alcuna né di leggerezze né di capricci, il pensiero di lui andò diritto e risoluto al matrimonio, come all'unico modo possibile di conseguire la soddisfazione dei suoi desideri. No ostante il suo ardore, per altro, egli prevedeva le difficoltà che avrebbe ragionevolmente opposto lo zio al suo matrimonio con una maestra sola e senza fortuna; ma a sperare che il no non sarebbe stato assoluto lo confortava in parte il fatto d'una passione singolare di cui pareva acceso il commendatore, la sola ch'ei conoscesse: uno spirito attivissimo di propaganda in favore della ginnastica educativa, ch'egli aveva promosso in tutti i modi durante il suo breve vice-assessorato dell'istruzione ; dalla qual propaganda s'era poi sdato, ma serbando una viva e costante simpatia per tutti gli spettacoli ginnastici di scuole, istituti, collegi, accademie ed esami, di cui non perdeva uno, essendo inviato a tutti come uno dei primi e più benemerito fondatori della palestra di Torino. Era appunto questa simpatia per la ginnastica che gli aveva fatto ridurre d'un terzo la pigione al maestro Fassi, conosciuto da lui alla palestra molti anni prima, e accordar lo stesso favore alla signorina Pedani, maestra di ginnastica, in vari istituti, nota anche per la sua valentia d'insegnante e per i suoi articoletti vivaci nei giornali tecnici.. Il segretario pensava che lo stesso sentimento che gli aveva  fatto calar la pigione all'inquilina gli avrebbe fatto scemar l'opposizione alla sposa.  Da questa parte, dunque, non era la difficoltà più terribile. La più terribile era quella di arrischiarsi di dichiarare aperto a lei la sua passione; al che s'era formidabilmente opposta per tre mesi la sua invincibile timidità, cagionata sopra tutto dalla grande inferiorità ch'egli riconosceva in sé, rispetto alla maestra, dal lato dei pregi esteriori della persona. Da tre mesi, conoscendo appuntino l'orario di tutte le sue lezioni, egli s'ingegnava ogni giorno e più volte al giorno, d'uscire o di rientrare in casa in quei dati momenti, per incontrarla per le scale ed aprirle il suo cuore; e cento volte l'aveva incontrata; ma non una gli era venuto fatto d cacciar dalla bocca altro che le più usuali e scipite parole. E non gli serviva prepararsi prima la frase, inghiottire in furia due bicchierini di Caluso, o cercare il coraggio nel sentimento della onestà dei suoi fini: quando si trovava di fronte a quell'alta e forte ragazza, che o stesse sullo scalino di sopra o su quel di sotto, gli pareva sempre che lo dominasse come una figura colossale, tutto il suo ardimento fittizio cadeva senza che il èiù delle volte egli osasse nemmeno di staccare il suo sguardo di torno alla sua bella vita o dalle sue spalle stupende per sollevarlo fino al suo viso., Non era forse neppur riuscito a farle indovinare la propria passione, tanto era tranquilla e sempre uguale la disinvoltura di giovanotto con la quale essa lo salutava e gli parlava. E così egli vide ruminando il suo amore, aggiungendo ogni giorno l'eccitamento d'una nuova immagine a una interminabile collezione di atteggiamenti, di suoni della voce, di mosse, di guizzi della persona, ch'egli aveva in capo e che passava a rassegna di continuo, meditandoli ad uno ad uno e assaporandoli con una voluttà e con un tormento crescenti, che non gli davan più pace. Finalmente, non ci potendo più reggere, aveva scritto la lettera.»

Non diremo, per evitare di sciupare quel po' di sorpresa al lettore, come vada a finire la faccenda della lettera e, più in generale, che esito abbiano le goffe e timidissime «advances» del trentenne ragioniere nonché ex prete mancato.
Segnaliamo invece, per gli appassionati cinefili, che una discreta e divertente versione cinematografica di «Amore e ginnastica» è stata realizzata nel 1973 dal regista Luigi Filippo D'Amico, con l'attore Lino Capolicchio nel ruolo del timido Don Celzani e la procace Senta Berger in quello della sportivissima maestra Pedani.
Il solito Mereghetti imputa al regista di aver trasposto il testo di De Amicis in modo «soltanto carino», e «senza» la necessaria malizia; cosa non del tutto vera, anche per l'istintiva bravura degli attori protagonisti e di una folla di simpatici caratteristi nelle parti di contorno. Anzi, ci sentiamo di consigliare la visone del film a tutti quanti intendano cimentarsi nella lettura del racconto, con buona pace di certi critici incontentabilmente esigenti e un po' superciliosi.
È un film che si lascia guardare e che rende efficacemente le sfumature ironiche del contrasto di carattere fra i due protagonisti.