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Obama e il Libero Mercato

di Eugenio Orso - 29/01/2009

  Obama produrrà cambiamenti epocali, in relazione al sistema economico e sociale vigente, con ricadute positive sull’organizzazione politica degli stati e delle nazioni e miglioramenti nelle relazioni internazionali?Oppure la nuova speranza di un mondo afflitto dalla prima, inedita crisi “globale” si rivelerà soltanto un timido riformatore, che metterà in campo misure poco più potenti dei semplici palliativi, nonostante la cifra record di oltre ottocento miliardi di dollari da impiegare nei salvataggi?Cosa pensa veramente, il brillante e telegenico avvocato di colore – che a detta di qualche maligno ha iniziato a preparare, con gran diligenza, la sua campagna elettorale fin dal conseguimento della laurea – del liberismo, del libero mercato senza limiti, dell'iniziativa economica privata all’ennesima potenza, moltiplicatore dello sviluppo, e del classico motto che tutto ciò storicamente riassume: laissez faire?Ecco cosa pensa il nostro in proposito: "la questione di fronte a noi non è se il mercato sia una forza del bene o del male. Il suo potere di generare benessere ed espandere la libertà è rimasto intatto".E’ bene analizzare con attenzione questa frase, perché rischia di essere rivelatrice del vero pensiero del novello presidente USA, non soltanto in materia economica e sul piano sociale, ma anche per quanto riguarda la politica internazionale e i rapporti con gli altri paesi.Anzitutto, il riferimento, su un piano squisitamente etico, al bene e al male trattando di economia e in relazione alle politiche economiche da seguire – liberiste, dirigiste, keynesiane, ecc – rivela un approccio confuso e stranamente simile a quello dell’alleanza theocon–neocon, con una punta di immancabile sionismo e con gli interessi delle multinazionali e della classe globale, che ha sostenuto e manovrato per i suoi scopi, fino all’ultimo, il pessimo Bush.Frase rivelatrice della presenza di una credenza messianica, comune a molti americani, la quale assegna agli Stati Uniti il ruolo della nazione eletta che rappresenta il bene assoluto, in contrapposto alle forze del male assoluto che si celerebbero nei “coni d’ombra” ancora esistenti in vaste aree del mondo – sempre in agguato e pronte ad offendere, come nel caso del celeberrimo attacco del 11 settembre del 2001, e a contrastare con ogni mezzo l’unico popolo indispensabile esistente sulla faccia della terra, come ebbe a dire, a suo tempo, addirittura un presidente democratico: Bill Clinton.Senza arrivare al punto di chiedersi se il male, per Barak Obama, va inquadrato prioritariamente in una prospettiva teologale, antropologica o cristologia, ci si può però interrogare sulle vere intenzioni del nostro, e più precisamente se il giovane presidente intende continuare – per altre vie, beninteso, e con mezzi diversi e più soft, rispetto alla precedente amministrazione – la lotta diuturna che fu di G.W. Bush e che tanti lutti addusse agli umani.Scopriamo che il mercato è ancora, per Barak Obama e nonostante i disastri sociali e ambientali che ha provocato e sta provocando nello stesso continente americano, autentico generatore di benessere, che consente di espandere la libertà non soltanto negli Stati Uniti, dove questa c’è già, ma altrove nel mondo. Il fine di espandere la libertà nel mondo – leggi l’esportazione del modello americano, dell'american way of life – è uno dei principali compiti che Dio ha assegnato alla nazione eletta, all’unico popolo indispensabile, e perciò i confini del libero mercato, che genera benessere e libertà, devono essere continuamente superati per fagocitare nuove aree del pianeta, fino ad arrivare al suo estremo limite.Come altri presidenti americani che lo hanno preceduto, anche il giovane avvocato ha giurato sulla Bibbia e si è rivolto a Dio, nei suoi discorsi.Discorsi molto belli, indubbiamente, condotti con un eloquio apprezzabile da un oratore affascinante, ben diversi da quelli aggressivi e pieni di gaffes del suo maldestro predecessore, ma dai quali non infrequentemente traspare l’ombra della mission affidata all’America dal divino.E come nel caso di molti altri presidenti americani, anche dietro di lui si intravede come è inevitabile – più che il divino e il trascendente – l’ombra di potenti lobby economico-finanziarie, squali da oligopolio con appetiti monopolistici quali IBM e Microsoft, ad esempio, nonché famigerate banche d’affari del calibro JPMorgan, che fondano il loro potere e la loro stessa esistenza sull’espansione del libero mercato.Ciò potrebbe spiegare perché il liberismo economico non scomparirà di certo con l’avvento dell’amministrazione di Barak Obama, a meno che i veri esperti in materia del team, che sono Larry Summers, nominato capo del National Economic Council e già uomo di Bill Clinton, e Thimoty Gheitner, ministro del tesoro federale, non impazziscono contemporaneamente.Nondimeno, ciò potrebbe spiegare perché ai colossi dell’auto americana si preferisce prestare denaro pubblico in gran quantità, anziché nazionalizzarli e gestire direttamente, probabilmente con costi inferiori e maggiori benefici per la collettività, lo stato di crisi assicurando l’occupazione.Per quanto riguarda i rapporti politici internazionali, certo questi saranno forse meno esplosivi e meno sanguinosi rispetto alla triste era Bush, senza però credere che Barak Obama potrà rinunciare a difendere la preminente posizione degli USA nel mondo, oppure che abbandonerà il sempre più aggressivo e determinato stato israeliano al suo destino.Non verrà meno, come si è detto e come appare chiaro anche dalle parole dello stesso Obama, la mission americana nel mondo, né si rinuncerà ai principi del liberismo economico, al libero mercato, che vanno di pari passo con la libertà.Segnali distensivi sono già stati dati, dal nuovo presidente, in particolare al mondo islamico – per segnare fin da subito uno spartiacque con i comportamenti della precedente amministrazione, ma senza interrompere l’impegno militare in Afghanistan – e al vero competitore degli USA, in una nuova, nascente fase bipolare: la Federazione Russa, nelle mani di Putin e dei vertici di Gazprom.Tuttavia, questa disponibilità del brillante avvocato e giovane presidente a tendere la mano a tutti, a riconoscere addirittura gli errori commessi dal suo paese, con Bush e i neocon alla guida, probabilmente trae ispirazione da una frase pronunciata, oltre un secolo fa, da uno dei più celebri presidenti americani, Abraham Lincoln: “Non sto forse sconfiggendo i miei nemici rendendoli miei amici?”