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Nagaland, fuochi di rivolta etnica contro il potere indù

di Fabrizio Legger - 01/02/2009

 

La repressione attuata dall’esercito indiano rinforza la guerriglia separatista
Nazionalisti e socialisti uniti contro l’oppressione di Delhi

Il Nagaland è la terra dei Naga, eredi degli antichi tagliatori di teste di salgariana memoria, e le terre da essi abitate si trovano nell’estremo oriente indiano, al confine con la Birmania e la Cina.
I Naga sono un popolo di origini nepalesi e birmano-tibetane, di religione cristiana, hanno una propria lingua e una propria cultura e non hanno nulla che spartire con gli indù e con l’India, paese all’interno del quale sono inglobati e da cui sono dominati. Lo stato indiano del Nagaland fa parte insieme ad altri sei delle cosiddette”Sette Sorelle” del Nord-Est indiano, ma è stato forzatamente inserito nell’Unione Indiana. All’indomani della Partizione tra India e Pakistan, nel 1947, i Naga si aspettavano che i territori da essi abitati venissero dichiarati non parte dell’India e potessero quindi costituirsi in uno stato indipendente. Ma così non fu: anche il territorio dei Naga venne inglobato nell’Unione e ogni richiesta di indipendenza venne azzittita dal rigido centralismo indiano. Così, a partire dal 1956, l’indipendentismo Naga si concretizzò dapprima nel Consiglio Nazionale Socialista del Nagaland (guidato da Isak Muivah) che, unitamente alle rivendicazioni politiche, portò avanti una lotta armata indipendentista contro le truppe dell’esercito indiano stanziate nella regione, poi, negli anni successivi, si suddivise in altri due tronconi: il Consiglio Nazionalista Naga e un altro Consiglio Nazionalista Socialista del Nagaland (condotto da Khaplang Kitovi). Tutti  e tre questi movimenti guerriglieri rivendicano l’indipendenza del Nagaland, ma le loro disunioni fanno il gioco del potere centrale indiano, che domina il paese grazie al “divide et impera”. Ma perché l’India non concede l’indipendenza ai Naga? Essenzialmente per due motivi. Il primo, perché il Nagaland è ricchissimo di petrolio, ricchezza energetica che è indispensabile per lo sviluppo dell’economia indiana, attualmente in una fase di grande crescita. Il secondo, perché l’India è uno stato centralista che mantiene al suo interno molte etnie che lottano per sottrarsi al soffocante abbraccio dell’Unione: concedere l’indipendenza ai Naga significherebbe doverla poi dare anche ai Kashmiri, ai Sikh, agli Assamesi, ai Manipuriani e a tutte gli altri popoli che si battono per uscire dall’Unione Indiana. Così, l’unica risposta data dall’India alle richieste di indipendenza dei Naga, è quella della repressione e della violenza. L’esercito indiano sferra periodicamente violente offensive contro le foreste dove si nascondono i ribelli Naga, bombarda villaggi, deporta civili e comunità tribali, arresta ogni Naga che sia sospettato di appoggiare la ribellione indipendentista. Accanto alla polizia di frontiera indiana e alle unità speciali di antiguerriglia dell’esercito di Delhi, operano anche milizie private di nazionalisti indù, che danno al caccia ai ribelli Naga non solo perché separatisti, ma anche perché cristiani fondamentalisti, e quindi nemici dell’Induismo. Così, massacri, arresti, torture, esecuzioni sommarie nei confronti delle popolazioni Naga sono all’ordine del giorno nelle zone dove opera la guerriglia. Nell’ultimo decennio, i guerriglieri Naga hanno spostato le loro basi oltre confine, nella vicina Birmania, ma, ultimamente, il governo di Delhi ha stretto accordi di collaborazione militare con la dittatura birmana: l’esercito birmano  sferrerà offensive contro le postazioni dei ribelli Naga in territorio birmano e, in cambio, i soldati indiani pattuglieranno il confine respingendo i gruppi di ribelli separatisti birmani che cercano di varcare la frontiera con l’India per sfuggire alle offensive delle truppe dei generali di Yangoon. Così, nel Nagaland, continuano a divampare fuochi di guerra e di ribellione, con conseguenti distruzioni, stragi di civili, atti di terrorismo. Ma la lotta dei Naga non si fermerà: gli eredi dei tagliatori di teste hanno proclamato il Nagaland “terra sacra a Cristo” e hanno giurato che continueranno a combattere, sino all’ultimo uomo, sino all’ultima donna, sino all’ultimo bambino, pur di liberare la loro terra dall’odiata oppressione indiana. E la dura lotta in corso, che prosegue da oltre mezzo secolo nel devastato Nagaland, lo sta ampiamente a dimostrare!