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Ecologia profonda, antispecismo e decrescita: superare l'umanesimo

di Paolo Scroccaro - 02/02/2009


Sono abbastanza note le critiche di vari settori dell’animalismo e dell’ecologia profonda agli ambientalisti superficiali, i quali in definitiva peccano di antropocentrismo e hanno una visione efficientistica e utilitaristica di tutto ciò che è non umano: in tale prospettiva, dettata dalla ragion calcolante, la natura in generale viene considerata non per il suo valore in sé, ma unicamente nella misura della sua fruibilità in funzione dell’uomo; lo stesso dicasi, ovviamente, per quanto riguarda il rapporto con gli animali. Gli ambientalisti superficiali praticano quasi sempre, con irresponsabile disinvoltura, un ecologismo largamente incoerente, in cui non c’è rispetto per i non-umani e per la Terra; alle loro feste, alle loro manifestazioni, che in teoria dovrebbero educare ad un mondo migliore, troppo spesso si notano i segni di questa mancanza di rispetto: salumi, alimenti a base di carne e vari derivati animali, prodotti da aziende che, come è noto, provocano tra l’altro un impatto ecologico insostenibile. Probabilmente, sgradevoli incoerenze di questo genere hanno segnato fin dall’inizio la fragilità dell’ecologismo superficiale, che tutto sommato non è molto diverso, nelle istanze di fondo, dal sistema da cui vorrebbe dissociarsi. Da qui il discredito e il declino dei vecchi gruppi ambientalisti.
Sono invece molto meno note le relazioni che intercorrono tra decrescita, ecologia profonda e antispecismo. Prendiamo come pretesto per una riflessione in merito le posizioni espresse dalla rivista francese La décroissance, la quale nel dicembre 2004 (vedi n. 24, pag. 10-11) ha pubblicato un articolo aggressivo e denigratorio nei confronti dell’ecologia profonda, accusata di antiumanismo in quanto penserebbe l’uomo come un essere intrinsecamente malvagio, da sempre predatore della natura intrinsecamente buona. Questa semplificazione è condensata anche in una vignetta alquanto irriverente che accompagna l’articolo. Non si tratta di una polemica occasionale: tale rivista è tornata sull’argomento anche in altre occasioni e con lo stesso atteggiamento. In particolare, nel n. 30 del febbraio 2006 ha dedicato due interi paginoni (vedi pag. 8 e 9) ai “falsi amici della decrescita”, e tra questi figurano gli adoratori di Gaia, gli eco-warriors, i sostenitori delle medicine alternative, varie sette misticoidi….e infine l’ecologia profonda e gli antispecisti.
Le critiche rivolte a queste ultime correnti sono simili, se non identiche: “I pensatori della deep écology sostengono una visione del pianeta come essere pensante (ipotesi Gaia). Essi accordano gli stessi diritti e doveri a tutti i viventi in quanto facenti parte di un Tutto. Per esempio, una foresta potrebbe valere la vita di un essere umano, una valle quella di una città…”.
Quanto agli antispecisti, “la specie umana è una specie animale come le altre, appena più intelligente. Per essi, l’uomo ha gli stessi diritti e doveri delle altre specie, né più né meno. In questa logica, l’umanesimo è per gli antispecisti condannabile quanto il razzismo…l’antispecismo rifiuta semplicemente ciò che costituisce la nostra specificità umana: il libero arbitrio, la libertà di coscienza”.
Infine, il commento conclusivo, il quale sentenzia che una società che non è in grado “di fare la distinzione tra un umano e un animale si trova in una brutta situazione” .
Per farla breve, antispecisti ed ecologisti profondi vengono accusati di mettere tutti gli esseri sullo stesso piano, e di non salvaguardare la specificità umana: così la pensa l’ala “umanistica” della decrescita francese, che tra l’altro si proclama anche laica, materialista, razionalista, ecologista, di sinistra …
Ora, critiche del genere non sono nuove, ed anzi vengono da lontano, da ambienti estranei alla decrescita: si tratta di obiezioni datate che sono nate e diffuse negli ambienti cattolici di stampo personalista, favorevoli ad un sostanziale antropocentrismo (in versione sfrenata o moderata secondo i casi). Anche la Chiesa attuale le ha fatte proprie, ed infatti le ha inserite nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa; in esso si rigetta qualsiasi apertura nei confronti dell’ecologia profonda e dell’antispecismo, con queste parole: “Il Magistero ha motivato la sua contrarietà a una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo perché si propone di eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi… Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell’uomo in favore di una considerazione egualitaristica di tutti gli esseri viventi” (vedi cap. X, intitolato Salvaguardare l’ambiente).
E’ sconcertante notare, su questo punto, la convergenza di idee tra la decrescita francese (una parte di essa)  e la Chiesa romana, ma le sorprese non finiscono qui: il più noto esponente europeo della Nuova Destra, Alain de Benoist, ha avanzato riserve analoghe nei confronti dell’ecocentrismo, criticando esplicitamente l’ecologia profonda e l’antispecismo, e in particolare la nozione di “valore intrinseco della natura”, poiché “essa tende a cancellare tutte le specificità umane…Il necessario rispetto del mondo vivente non implica il mettere sullo stesso piano o attribuire la stessa importanza alla vita di un uomo, a quella di un cane, di una mosca o di un microbo…” (vedi Comunità e Decrescita, Arianna ed., pag. 203-204).
Come si può notare, alcune convinzioni di sfondo di tipo umanistico finiscono per accomunare ideologie in apparenza così diverse e antitetiche.
Ad esse quindi può esser data una stessa risposta, una risposta che non è nuova, poiché giunge anch’essa da molto lontano: infatti l’antropocentrismo è un problema non da oggi, ed anche le culture del passato si sono confrontate con esso, ponendo interrogativi del tipo: se l’antropocentrismo è un errore da evitare o da superare, cosa resta della specificità umana? Quale il posto dell’uomo rispetto all’intera natura?
Le sopravvivenze letterarie, spirituali, artistiche di varie saggezze del passato, sono lì a dare testimonianza di quanto sopra, a volte in modo grandioso. In esse si può riscontrare la presenza della specificità umana (così come degli altri esseri) senza che ciò implichi una qualche forma di antropocentrismo, come invece tendono a sostenere i critici laici o cattolici delle posizioni ecocentriche.
Senza spostarsi altrove, e dunque restando nell’Occidente tradizionale, possiamo trovare innumerevoli riferimenti nelle opere dei Greci, per esempio in quelle delle scuole pitagoriche e platoniche : la loro visione “cosmocentrica” resta ancor oggi particolarmente istruttiva, costituendo una base indispensabile per sorreggere una auspicabile civiltà post-antropocentrica e post-sviluppista , e nell’immediato per dare un maggiore respiro culturale alle istanze ecologiste, animaliste e antisviluppiste, che altrimenti tendono a ripiegare su obiettivi troppo parziali. Anche se il contesto era molto diverso, le istanze che abbiamo focalizzato erano ben presenti nella loro cosmovisione, anche se in forme che non possono essere oggi riproposte tali e quali, in quanto si rende necessario un riadattamento al nostro presente. A titolo esemplificativo, ci limitiamo a ricordare che una nozione basilare della loro cosmologia era quella di “armonia degli opposti”: espressione ricca di implicazioni, e che indica anche la necessità di contemperare le specificità dei vari esseri, umani e non, che sono ospitati nel macrocosmo. Correlativamente, l’etica più intonata con tale visione non era quella antropocentrica, caldeggiata dalla Chiesa e dalle principali tendenze del nostro tempo; era invece l’etica universale della “compassione cosmica”, cioè l’etica del rispetto esteso a tutti gli abitanti, umani e non, della Terra. Autori antichi documentano che ad Atene vi era l’altare incruento dedicato alla Compassione : a confermare che lo spirito della “compassione cosmica” in qualche modo incideva sulla vita dell’epoca, lasciando tracce la cui notizia è giunta fino a noi.
A far da contrappeso, un mito che dà da pensare racconta il declino della civiltà, presentandolo in forma simbolica: esso narra la fuga di Giustizia e Compassione, che abbandonano la Terra devastata dai mortali degenerati per rifugiarsi presso gli dei celesti ; a seguito di ciò, la Terra resta in balìa della prepotenza, della violenza, e questo sembra corrispondere alla storia dei nostri giorni. Al centro delle nostre città, non l’altare della compassione, bensì le macellerie, che ben rappresentano l’essenza malvagia e cinica della società attuale, con la sua morale umana, troppo umana, e inevitabilmente antiecologica.
Le forze estranee alla cultura antropocentrica oggi predominante (tra cui appunto l’ecologia profonda, l’antispecismo, l’ala non-umanistica della decrescita, le scienze post-meccanicistiche, varie tendenze ecofilosofiche…) dovrebbero farsi cura di un fondamentale obiettivo comune: riportare la “compassione cosmica” al centro delle città e dei cuori degli umani.