Lo hanno fatto «per noia», per «finire la serata». E lo chiamano scherzo: «Cercavamo un barbone cui fare uno scherzo, uno che dorme per la strada… Volevamo provare una forte emozione». Così i tre folli di Nettuno hanno “spiegato” perché han dato fuoco a Navtej, immigrato senza tetto e senza lavoro che invano li supplicava di avere pietà. Parole che, commenta lo psicoterapeuta e scrittore Claudio Risé, rendono se possibile ancora più impressionante il gesto.

Possono ragazzi potenzialmente normali comportarsi in un modo tanto spietato? Che cosa sta accadendo alla nostra società?
Come ha dichiarato il generale dei carabinieri Vittorio Tomasone, non capire lo sfondo reale di questo atroce episodio sarebbe come non vedere ciò che succede attorno ai nostri giovani. Quanto è accaduto a Nettuno ci dice molto sulla realtà disastrosa di tanti ragazzi di oggi, sulla loro devastazione psicologica, affettiva e cognitiva…
Si tratta di un’azione terribile ma anche istruttiva, perché non è la prima volta che accade, anzi, ultimamente episodi simili si sono ripetuti: solo tre mesi fa a Rimini altri giovani hanno bruciato vivo un barbone italiano.

Non uno straniero, in quel caso, ma pur sempre un debole, un emarginato. Ma che cosa li spinge a tanto?
Un preciso mixing di due sostanze, le più usate in fatti così devastanti: alcol e cannabis. Ogni volta che la cronaca racconta di delitti orrendi, immancabilmente si deve registrare l’uso combinato di queste due sostanze. Ma i media parlano sempre genericamente di “droga” anziché specificare che si tratta di cannabis, così in Italia si continua a pensare che si tratti di “droghe leggere” e il consumo cresce.
Nel resto del mondo si è già corsi ai ripari e con successo, perché tutte le statistiche provano che la cannabis è la droga più frequentemente associata ad atti di violenza. Infatti funziona su alcune zone del cervello che controllano i centri inibitori, e inoltre stimola proprio quel bisogno di «sensazioni forti» che i tre ragazzi di Nettuno hanno dichiarato esplicitamente. Quella «ricerca di emozioni» che hanno descritto è il frutto della cannabis.

Terrificante. E i nostri ragazzini hanno facile accesso a una droga del genere?
Mentre gli Usa già 10 anni fa hanno sferrato la loro guerra alla cannabis abbattendone l’uso del 25% e l’Europa si è mossa da 4-5 anni, in Italia regge la terminologia del ’68 di “droga leggera”, così siamo l’unico Paese in cui ad esempio non si procede sistematicamente con un prelievo del sangue per cercare tracce di cannabis di fronte a tutti i casi di violenza ma anche di incidenti d’auto.
Siamo preda di un’arretratezza spacciata per liberalismo: il punto è questo, ed è prettamente politico, chi dovrebbe agire e prendere le decisioni forti preferisce il solito indifferentismo… Lo hanno fatto tutti i governi.

Ma intanto l’emergenza educativa cresce: se i ragazzi cercano lo sballo attraverso alcol e canne, dietro c’è un vuoto spaventoso.
Emergenza educativa? Sì, certo, ma le responsabilità non sono tanto delle famiglie quanto delle autorità pubbliche. Infatti ogni ragazzino ha accesso alle canne già a scuola o in qualsiasi locale, e dopo che ne ha fatto uso anche solo tre volte la partita è già persa, è molto difficile tirarlo fuori.
Oggi in Italia il primo spinello si fuma sotto i 13 anni e le statistiche internazionali provano che, se l’assunzione inizia prima dei 15, nei prossimi 5 i danni psichici saranno gravissimi, e parlo di schizofrenia e psicosi. Io sono sconcertato dal silenzio dei media e dall’ignavia dei politici italiani.

Salvo poi inorridire tutti all’ennesimo bruciato vivo dal branco.
Che sia un immigrato o un italiano, purché solo e indifeso… È il “diverso” che evoca nell’immaginario le parti oscure di noi stessi.
Stiamo allevando una generazione di giovani in delirio, di psichicamente danneggiati, e insistere sul razzismo è spesso un alibi, il modo per non ammettere che abbiamo consegnato i nostri ragazzini ai mercanti di droga.