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Ma quando mai

di Gianfranco La Grassa - 08/02/2009

 

Nel suo discorso d’addio, l’ormai ex ambasciatore degli Usa in Italia, Ronald Spogli, ha affer-mato che l’Italia rischia di perdere il suo rango di potenza economica se continuerà ad occupare gli ultimi posti nella classifica della competitività internazionale. Egli ha elencato i soliti elementi di debolezza addotti in ogni discorso sul nostro paese: burocrazia statale elefantiaca e inefficiente, giu-stizia lenta, rigidità del mercato del lavoro, ecc. Ha poi però infine introdotto il motivo che più gli stava a cuore: l’Italia non ce la farà se non si affranca dalla dipendenza di energia (gas) dalla Russia. “La lingua batte dove il dente duole”. La finta preoccupazione per le sorti del nostro paese na-sconde semplicemente qual è il vero “tormento” di chi parla in questo modo: è lo stesso che ha fatto scegliere al sen. Guzzanti di abbandonare F.I. perché il suo leader si è schierato con la Russia contro la Georgia, imbeccata proprio dagli Usa per saggiare la reazione russa ad un’aperta provocazione.
Qualcuno potrà pensare che Spogli sia un residuo “bushiano”, che adesso con Obama la musica cambierà. Solo i cretini (o meglio i servi e imbroglioni filo-americani) possono nutrire un pensiero siffatto. Rilevo innanzitutto che il nuovo presidente ha riconfermato quale segretario alla Difesa Robert Gates, che aveva sostituito Rumsfeld (ed è stato per 26 anni nella CIA, essendone direttore tra il 1991 e il 1993). Recentemente, questo vecchio-nuovo personaggio, spiegando una serie di ta-gli (che vedremo fra poco non essere tali) al bilancio della Difesa (al Pentagono), ha dichiarato che “non tutte le crisi internazionali richiedono un intervento militare”. In poche parole, una revisione tattico-strategica ormai s’imponeva ed era già iniziata con Bush; i militari sono fra i personaggi più realisti che ci siano (non proprio sempre, ma spesso; in ogni caso sono meno ir-realisti degli altri). Da circa un quinquennio risulta evidente che il disegno imperiale statunitense è, almeno per questa fase storica, ampiamente ridimensionato; è necessario prendere atto del processo di avvicinamento al multipolarismo, quello che viene impropriamente definito “il ritorno delle nazioni” (ho spiegato più volte che queste non erano mai sparite, se non nella testa bacata di qualche fantasioso pseudo pensatore; non faccio nomi, che saranno ben presenti a tutti i lettori).
Le affermazioni di Spogli non sono dunque un rimasuglio del passato, bensì esprimono la con-sapevolezza che “la musica è cambiata”. Tuttavia, gli Usa non rinunciano a svolgere una politica che frapponga ostacoli alla crescita di nuovi poli dotati di potenza. Fra questi, per chi non si lascia incantare dal mero aspetto economico (ad esempio, dai ritmi di aumento del Pil), uno dei più preoc-cupanti per gli Stati Uniti è rappresentato proprio dalla Russia; è indispensabile che la politica di quest’ultima incontri difficoltà a saldarsi con quella di alcuni paesi europei, eventualmente interes-sati a migliorare la propria posizione internazionale, essendo appena un po’ meno sdraiati ai piedi della potenza maggiore. Gli organismi comunitari europei – quelli che, tanto per citare un esempio, vogliono finanziare il progetto (di fatto americano) del gasdotto Nabucco in contrapposizione al Southstream della nostra Eni alleata della Gazprom (e con legami libico-algerini) – sono i più sen-sibili alle pressioni americane (e della Nato che ne è espressione palpabile). Tuttavia, pure Germa-nia e Francia svolgono una politica estera attualmente abbastanza ambigua; non è decidibile con chiarezza in quale direzione vogliano muoversi (dell’Inghilterra credo sia inutile al momento parla-re).
Come ho sopra accennato, non solo viene riconfermata nella persona del segretario alla Difesa la “sempreverde” politica militare, ma nemmeno è vero che ci saranno i tagli alla spesa per esercito e armamenti secondo quanto era invece nelle promesse elettorali del nuovo presidente (appunto: era-no le solite promesse “specchietto per le allodole”). Cambia la tattica – dall’Impero all’accettazione di fase del multipolarismo, con però chiari intenti di danneggiare il più possibile gli altri poli – ma la politica da attuare esige sempre una capacità di pressione bellica (in senso stretto e lato) non cer-to in indebolimento. Si tenga presente che nel 2008 la spesa militare è stata di 736 miliardi di dolla-ri, la più alta dalla seconda guerra mondiale (anche se si tratta della cifra, non del reale potere d’acquisto). I cosiddetti tagli al budget della Difesa saranno solo di “razionalizzazione”, cioè di snellimento burocratico per conseguire livelli più elevati di supposta efficienza.
Tuttavia, la gestione del rimpatrio di truppe dall’Irak – che non sarà però più totale, come si era strombazzato in un primo tempo, giacché rimarrà ancora a lungo “una consistente presenza milita-re” – aumenterà, non diminuirà, le spese necessarie in quell’area. Verrà inoltre rafforzata, e in misu-ra più che proporzionale rispetto al parziale ritiro dall’Irak, la presenza statunitense in Afghanistan. Si tratta di una pedina troppo rilevante, anche per la stabilità (più che precaria) del Pakistan; un vuo-to di potere in quella zona farebbe cadere ogni possibile pressione sulle repubbliche caucasiche, in-debolirebbe le mene americane tese a sfruttare le “multipolari” contraddizioni, più o meno latenti, tra Russia, Cina, India e appunto Pakistan, ecc. Anche il semplice progetto Nabucco – che non va visto in termini banalmente economicistici di meri interessi energetici, ma come una delle manovre di contrasto all’espansione della “sfera d’influenza regionale” russa – verrebbe frustrato.

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In definitiva, tra presunti tagli ed effettivi accrescimenti, la vecchia-nuova segreteria della Dife-sa ha deciso di reclutare altri 65.000 soldati e 27.000 marines entro il 2012 con un aumento di spe-sa, nei tre anni, di 13 miliardi di dollari. A ciò si aggiunga la dichiarata necessità di ammodernare gli armamenti, realizzando i progetti relativi ad esempio agli aerei da combattimento F-22 e F-35, al trasportatore anfibio LPD-17, e via dicendo. Specialmente dispendioso è il Future Combat System, di fronte al quale sono “disarmato” nella mia incompetenza tecnica; comunque ho vagamente capito che si tratta di un avveniristico sistema integralmente automatizzato di pronta reazione (mobilita-zione di tutte le risorse in pochi giorni) di fronte a conflitti in qualsiasi parte del mondo; con sensori piazzati in ogni area, uso di veicoli (di terra e aria) senza uomini a bordo e altre “meraviglie” varie. Tale programma, che si dice porrebbe le Forze Armate statunitensi “su un altro pianeta” rispetto a tutte le altre, è in ritardo per colpa di una pesante burocrazia, che andrebbe quindi tagliata, snellita, resa assai più reattiva. In Irak, inoltre, a fronte della riduzione (non ritiro) delle truppe, dovrebbe essere realizzato un potenziamento (e crescita di sicurezza) dell’esercito con nuovi costosi mezzi corazzati resistenti a bombe, mine e quant’altro.
Insomma, come ben si vede, le intenzioni di fondo non mutano di una virgola; gli Usa devono adattarsi alla nuova situazione, ma sempre con il recondito pensiero di recuperare un nuovo vantag-gio bellico incolmabile in modo da riprendere successivamente il disegno imperiale. Obama non cambia nulla rispetto a questo programma, perché solo infantili personaggi come i nostri servi di destra e di sinistra possono ragionare in termini di intenzioni personali e non di sistemi decisionali complessi, di strategie generali e di lungo periodo; che, come ogni strategia, esigono adattamenti tattici nei periodi medi e brevi a seconda del mutare delle configurazioni geopolitiche, dei rapporti di forza congiunturali, ecc. Lo ripeto, poiché l’indignazione di un cervello funzionante appena nor-malmente è grande: le nostre forze politiche – con quelle economiche parassitarie, sempre alla ri-cerca di aiuti e finanziamenti che sopperiscano alla loro totale incapacità imprenditoriale – sono una massa di superficiali e meschini reggicoda proni di fronte ai “padroni” americani.
La situazione economico-sociale è pesante. L’Italia – assieme a Grecia, Irlanda, Spagna e Porto-gallo – è fra le nazioni che rischiano di più; perfino magari una “bancarotta” dello Stato con conse-guenze ben disastrose per la maggioranza della nostra popolazione. La “furbata” di Tremonti – che, con gli eurobond, sperava di distribuire e scaricare i pesi debitori dei paesi “peggio messi” sull’insieme dei membri della UE – è stata bloccata dalla BCE (forse però per il manifesto malcon-tento della Germania, che teme di dover in futuro “pagare” per tutti). E’ si e no un mese che i quat-tro “grandi” d’Europa (Brown, Merkel, Sarkozy e, per l’Italia, Tremonti) si sono incontrati, pren-dendo “storiche” decisioni “collettive” e facendo grandi complimenti al nostro Ministro dell’economia. Tutte ipocrisie evidenti – da questo blog e dal sottoscritto subito denunciate – per-ché, quando la situazione diventa incandescente, è quasi più razionale cercare di cavarsela da soli onde trovarsi in posizioni semplicemente meno peggiori di quelle degli altri; soluzione che consente una relativa “vittoria” e prevalenza, malgrado le tante ciance sulla necessità di cooperare tutti in-sieme ad un presunto bene comune.
Lascio perdere di che cosa si parla oggi qui da noi, e quali decisioni vengono prese (anche in tema di misure “anticrisi”, del tutto usuali e “stanche”), mentre le difficoltà aumentano. Da destra e sinistra – a parte questa tutt’altro che “lieta novella” della candidatura di Bersani a “nuovo Veltro-ni” – sembra veramente significativa l’immagine dell’orchestra che suonava mentre il Titanic af-fondava. E tutti ancora a cantare le lodi di questo nuovo “Salvatore dell’Umanità” di nome Obama, che effettua – secondo me giustamente, dal suo punto di vista – scelte protezionistiche nei settori dell’auto, dell’acciaio, ecc. Cosa diceva del nostro “bel paese” il gran poeta?

“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
 nave sanza nocchiere in gran tempesta,
 non donna di province, ma bordello!”.
 
E si era già nel Purgatorio, noi siamo ancora all’inferno! Per quanto ancora ci resteremo? Credo a lungo con le forze politiche che ci ritroviamo tra i piedi!