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Morucci a Casa pound: diritto di replica

di Angelo Mellone - 12/02/2009

Alla lettura dell’articolo di Francesco Mancinelli, “Valerio Morucci a Casapound /1″, Angelo Mellone, nello specifico del passaggio che lo riguardava, ha inteso chiedere, e ha ottenuto, il diritto di replica che segue.

La redazione

Rubo poche righe di attenzione ai lettori di questo magazine per: replicare? No, solo per pennellare qualche modesta obiezione, in forma di modestissima controdeduzione (che chiude un dibattito per mai aperto perché non m’interessa aprire dibattiti visto che ne faccio già troppi, e nulla c’è di più insopportabile dei dibattiti micropolitici dei microgruppi su microeventi. La politica e la tenzone culturale hanno bisogno di spazi larghi) all’articolo che Francesco Mancinelli ha dedicato all’evento morucciano di Casa Pound. Per me è stata una splendida serata, avrebbe potuto fruttare qualcosa in più nel dibattito se ci fosse stato un pizzico in più di coraggio nelle domande e in quella sublime forma di conflittualità regolata che è il confronto di idee, ma va bene così, anzi va benissimo, e l’atmosfera di belle parole che Gabriele Adinolfi ha dedicato a incorniciare l’evento la faccio anche mia, gelosamente custodendo il ricordo, come ho detto, di una «festa di liberazione» dal ricordo tossico degli anni Settanta.

anni-di-piombo1_fondo-magazineCos’ho sostenuto, godendo del privilegio forse immeritato di qualche convinto giro di applausi, lo dico sveltissimo e per punti:

1) Oggi viviamo nell’ossessione della sicurezza, e nello scambio tra più sicurezza e meno libertà si giocano le partite elettorali;

2) il carcere, assunto a metafora dell’ordine sociale da Focault, Goffman e altri, è il non-luogo dove vengono scaricati i detriti antropo-tossici di coloro che ci spaventano, ci fanno paura, e dunque vanno allontanati dalla visibilità sociale;

3) il carcere di cui parla Morucci nel suo libro, invece, è specificamente legato alla stagione degli anni Settanta;

4) Gli anni Settanta sono stati, fuor di metafora, una schifezza. Anni in bianco e nero, con le ali piombate, cominciati con la crisi del petrolio e la stagflazione, finiti con Moro e Bologna. Anni anche di cattivo gusto nello stile di vita italiano;

5) Per chi ama e pratica la politica, quella vera e non quella cerebrale dell’estremismo, per chi sa - con Hannah Arendt - che politica e violenza sono termini necessariamente oppositivi fuorché nei brevi periodi di crisi rivoluzionaria, gli anni Settanta sono stati anni impolitici, prima che antipolitici;

6) Non c’è politica se manca il riconoscimento dell’Altro, c’è solo vocazione totalitaria, e una parte della storia degli anni Settanta va ricompresa in questa vocazione, per fortuna abortita, per fortuna sconfitta;

7) Il decennio successivo è mille volte meglio, in termini di clima sociale, storia nazionale;

8)  Dire che le sprangate degli anni Settanta sono più nobili degli stupri di Nettuno, come ha detto Ugo Maria Tassinari, senza offesa per lo studioso, è un abominio; in quale categoria mettiamo lo stupro del Circeo o il rogo di Primavalle? Nel ciclo di Cervantes?

9) Facciamola finita con chi legittima la sua esistenza politica presente esibendo la militanza di trent’anni fa, facciamola finita con chi, a partire da quelli che tirano fuori dalle tombe dell’oblio le mani insanguinate dell’antifascismo militante, scimmiottano i loro cattivi maestrini.

autonomia_fondo-magazineQuesto ho detto, e questo sottoscrivo. E veniamo a due cose che vorrei dire a Mancinelli, rapide rapide. La prima riguarda l’incipit con cui si rivolge a me: «il giornalista Angelo Mellone». Il giornalista… vorrei sapere perché ha sentito il bisogno di qualificare solo me tra chi è intervenuto al dibattito. Perché non ha scritto «l’ex brigatista ora saggista» Morucci o il che-ne-so Mughini? Premesso che non mi sento certo offeso dall’etichetta, pur restrittiva nel mio caso, di giornalista, visto che lo sono, mi pare che il suo utilizzo denoti un misto poco mascherato di ironia e ansia di squalificare l’interlocutore, a maggior ragione quando - e vengo al secondo punto - con un giro di parole poco comprensibile e intellettualmente molto opinabile, Mancinelli cerca di argomentare una sua affermazione che lascia sbalorditi, per non dire altro: «l’etichetta di non-desiderabili pende ormai su tutta la generazione terribile degli anni Settanta».

Se non l’avessi letto, non ci crederei. L’80%  della classe dirigente italiana viene fuori dagli anni Settanta, e una gran parte dell’attuale classe politica, a sinistra e a destra, ha fatto parte di quella «generazione terribile», delle sue logiche, dei suoi meccanismi di branco, della trasformazione dell’istinto rivoluzionario e belluino in istinto carrieristico e consociativo. Per dire, tutta la destra ed estrema destra, come gruppo dirigente - ma vale anche per il Pd, l’estrema sinistra, il mondo intellighente - è composta di gente che s’è formata negli anni Settanta. C’è, a destra ma anche a sinistra, chi è arrivato in Parlamento essenzialmente in virtù di ciò che ha fatto trent’anni fa. Quale altro film generazionale ha visto, Mancinelli? Non sono solo i «re-integrati» dalla formula «redazione/redenzione» a comandare oggi in Italia, ci sono anche quelli, tantissimi, integratissimi nel sistema politico-istituzionale pur con passati patentini da estremisti.

moro_fondo-magazineE qui vengo a due cose che non comprendo, perché Mancinelli mi mette in bocca una cosa che non ho detto e non penso e, ritengo, appiccica anche a me l’etichetta di redattore/redento (voglio ambire a quella di redentore, allora…). Ciò che non ho detto è che lo scambio libertà-sicurezza mi piace: ho detto, e se Mancinelli non ha compreso è giusto spiegarglielo, che questo scambio, a me che sono un libertario e scrivo tutto con le minuscole, comprese parole sacre come tradizione o valori, mi preoccupa. E poi: cosa vuol dire che io «credo» al binomio redazione/redenzione?

Non capisco, e non mi adeguo. Non mi adeguo neppure alla strategia di chiamare in causa Morucci perché, scrive Mancinelli, avrebbe dovuto spiegare a me, che sputo sui formidabili anni Settanta e al delirio politico che hanno rappresentato, che «solo dal bianco e dal nero, e quindi dalla “tragicità” dello scontro [politico] dei due colori assoluti ed in cui tutti i colori sono ricompresi,  nasce la poesia,  la sensibilità,  ed infine la comprensione». Sono sincero: anche se me l’avesse spiegato in questi termini sarei rimasto dell’opinione che la generazione degli anni Settanta, per ciò che mi riguarda, ha poco da insegnare se non tutto ciò (o quasi tutto ciò) che non deve essere la politica nelle sue degenerazioni violente, antipolitiche e comunitaristiche. E questo, ovviamente, indipendentemente dal valore e della buona fede dei singoli. Ma torno a Mancinelli. C’è un problema nella sua affermazione, è che usa Morucci per criticarmi senza sapere che Morucci, alla fine della conferenza, s’è avvicinato a me, m’ha stretto la mano e, testuale, s’è complimentato definendo «impeccabile» il mio intervento (se non ci credete, chiedeteglielo): ma se il mio intervento è stato impeccabile, da un punto assoluto certo no ma dal punto di vista morucciano certo sì, allora usare Morucci come arma critica impropria è, diciamo così perché siamo educati, un po’ fuori luogo.

Ho l’impressione che Mancinelli, trovando a dibattere a Casa Pound «il giornalista », si sia infastidito. È solo un’impressione, e spero di sbagliarmi visto che è la terza volta che dibatto coi casapoundisti (alcuni adorabili, alcuni opinabili, viva il pluralismo). Ma, visto tono e temi del suo articolo, è un’impressione fondata. Se proprio vuole criticare ciò che dico, scelga argomenti più solidi. E allora sì, dibatterò con piacere, perché la politica e la cultura politica non sono né Valori né Violenza, né ingessature tradizionaliste o ghirigori estremistici, ma un continuo, sano, agonistico confronto fondato sulla possibilità-rischio-sfida della persuasione.

 

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