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Guantanamo debito dell'Europa

di Giulietto Chiesa - 08/03/2009





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Chi se la sentirebbe di stare con le mani in mano sapendo, con certezza, che una persona è incarcerata ma innocente? Tanto più scomoda sarebbe la sua posizione, si presume, se costui sapesse che è in qualche misura corresponsabile della carcerazione di un innocente. Ebbene noi europei (e noi italiani) siamo esattamente in questa situazione. Barack Obama ha detto di voler chiudere Guantanamo. Ma non gli è così facile. Chiudere non vuol dire semplicemente liberare i prigionieri. Dei 241 che sono ancora in quell’inferno, solo una quarantina sono quelli su cui pendono accuse connesse con il terrorismo.




Primo problema: nel momento in cui Obama annulla i tribunali militari speciali, quale corte americana dovrà processarli? Non è chiaro. Né è chiaro che uso potrà essere fatto delle indagini fatte dai giudici militari, spesso usando la tortura. Ora si sa che dei circa 800 disgraziati finiti dentro Guantanamo circa 360 sono stati venduti agli americani dalla polizia o dai servizi segreti pachistani (dati forniti dal Center for Constitutional Rights di New York). Un metodo come un altro per fare soldi, ma non c’era niente contro di loro. Adesso almeno 62 prigionieri sono stati scagionati da ogni accusa dalle stesse corti militari Usa. Dovrebbero tornare a casa. Ma 50 tra loro sono cittadini di Paesi «ad alto rischio»: non li si può rimandare in luoghi dove potrebbero essere arrestati, torturati, uccisi. È già accaduto a molti ex detenuti di Guantanamo, espulsi dopo anni di detenzione senza mai essere stati incolpati di qualche crimine e senza neppure essere stati dichiarati «non perseguibili».
L’Europa - l’ha accertato la Commissione Parlamentare Speciale sulle extraordinary renditions nel 2007 - ha partecipato al programma americano di caccia all’uomo. Violando - molti Paesi membri l’hanno fatto, inclusa l’Italia - tutte le norme internazionali e la difesa dei diritti umani fondamentali. Dunque ha una responsabilità. E, almeno formalmente, l’ha riconosciuta. Una delegazione europea, guidata dal commissario alla Giustizia e agli Interni Jacques Barrot, si recherà a Washington il 15 marzo per chiedere alle autorità americane informazioni dettagliate sui 62 prigionieri scagionati. Il governo americano deve dire tutto quello che sa su queste persone divenute, senza colpa, le sue vittime. Ma, una volta ottenute le informazioni, dovremo farcene carico anche noi.
C’è in Europa chi dice che chi ha fatto la frittata se la deve mangiare e, visto che sono innocenti, e che non possono essere rimandati nei Paesi d’origine, devono restare, liberi, negli Stati Uniti. Ma anche noi abbiamo tenuto bordone. E 9 «detenuti senza colpa» - 8 egiziani e un tunisino - hanno chiesto alle organizzazioni per i diritti umani di poter venire ad abitare in Italia, perché vi hanno vissuto, vi hanno parenti e pensano di essere al sicuro (auguri). Sono persone - dice l’avvocato Zachary Katznelson, dell’organizzazione Reprieve, che ne difende 31 - che non rappresentano alcun pericolo. E noi siamo in debito con loro. Almeno morale, perché gli aerei segreti della Cia che li portarono a Guantanamo passarono anche dai nostri aeroporti. Finora solo la Gran Bretagna ne ha accolto qualcuno. Albania e Svizzera si sono dichiarate disponibili. Portogallo e Lituania hanno già deciso in senso positivo. Irlanda, Spagna, Francia, Germania e Lettonia sono orientate a fare la loro parte. Austria, Olanda, Repubblica Ceca sono nettamente ostili. E l’Italia? Per ora tace.