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Un drappello di imbroglioni

di Giovanni Petrosillo - 10/03/2009

Il presidente della BCE Jean-Clude Trichet getta ottimismo sui mercati annunciando che la ripresa dell’economia mondiale sarebbe alle porte o quanto meno all’orizzonte. Vorrei sapere di quali dati, a noi non concessi, dispone il superburocrate francese per essere così certo delle sue affermazioni.

Benvenuti a Eurolandia il paese dei balocchi e dei tarocchi. Qui, come avrebbe detto Dante, è meglio lasciare ogni speranza prima di entrare.

Questi ciarlatani, sempre pronti a diffondere prospettive rosee, salvo poi essere smentiti dagli improvvisi peggioramenti della situazione sui mercati (non passa giorno che qualche banca o impresa – vedi ultimamente l’Opel – non annunci, improvvisamente, di essere vicina alla bancarotta piangendo fondi di sostegno allo Stato, con il solito ricatto dei posti di lavoro che si perdono), stanno facendo di tutto per infondere grande fiducia nei cittadini europei, affinché questi non cambino le loro abitudini di consumo poichè, come ben si sa, non è dal fallimento di banche e imprese che dipende l’aggravamento della situazione generale ma dai comportamenti e dalle attitudini dei consumatori. Non è il momento della tirchieria, scozzesi e genovesi sono banditi dal civile consesso del commercio europeo.

Del resto, è stato lo stesso Berlusconi ad affermare che dalla crisi, benché grave, si uscirà facendo semplicemente finta che essa non ci sia. Rob de matt!

E su cosa si basa questo atteggiamento fiducioso dei nostri governanti? Sul fatto che i fondamenti economici sono saldi, (e ci mancherebbe, il sistema lo hanno costruito loro!) al massimo occorrerà una minima regolazione pubblica per permettere alle leggi del libero-scambio di ripristinare il sistema immunitario dell’organismo espellendo definitivamente quelle “tossine finanziarie” che lo hanno attaccato.

Insomma, siamo in presenza di un mero raffreddore da curare con qualche antibiotico (gli aiuti di Stato) e qualche aspirina (il ripulimento dei bilanci delle banche).

Ma la diagnosi è sbagliata e la cura farà perire il paziente in men che non si dica.

Questa crisi è, invece, un vero e proprio un tumore contro il quale occorrerebbe un bombardamento chemioterapico fatto di nazionalizzazioni e di protezionismo. Ma lorsignori non ci pensano neppure a rivedere le loro posizioni, hanno già deciso che dalla crisi si esce con le chiacchiere sulla coordinazione internazionale degli interventi e con le iniezioni di fiducia alla “naturale” propensione consumistica del popolo.

Dall’altra parte dell’Atlantico si fregano le mani e mentre approvano la dabbenaggine dei loro omologhi europei propongono nazionalizzazioni, clausole protezionistiche ed ogni altro tipo di rimedio per attutire il terremoto finanziario in corso. La disputa tra gli economisti americani, infatti, non riguarda gli aspetti ideologici (almeno non in maniera così preponderante) sui quali sembrano perdere le giornate (e la testa) i nostri infausti compatrioti economisti, ma si concentra tutta sull’esigenza di portare certe azioni fino in fondo, anche rischiando di esagerare con l’intervento statale. Per esempio, il Ministro del Tesoro Geithner ha fatto entrare nella legge per lo “stimolo” all’economia una clausola che impone ai costruttori di infrastrutture  che ricevono finanziamenti pubblici di comprare solo in patria (Buy American). Ma Geithner non è stato poi abbastanza conseguente perché ha disposto che, laddove i prezzi americani sono di un 25% al di sopra di quelli di mercato, i soggetti imprenditoriali possono anche rivolgersi a venditori esteri senza subire “ritorsioni”.

Qualche economista più "radicale" dell’entourage presidenziale non ha gradito lo “smottamento” perché le mezze misure fanno perdere altro tempo prezioso. Tra questi vi è Nouriel Roubini, il quale ha detto espressamente che per risolvere questa crisi ci sono solo due soluzioni: nazionalizzare le banche e far finire i titoli tossici in una discarica finanziaria attraverso una Bad Bank.

Ai puristi liberisti l’idea non piace affatto ma è probabile che l’aggravarsi della situazione li convincerà che non c’è altro da fare. Tra i “duri” del libero scambio e i “soviettizzatori” alla Roubini, si collocano i soliti keynesiani, sempre prodighi di buoni consigli, come Krugman, aggrappato all’idea che occorre ripercorrere le soluzioni del New Deal roosveltiane per voltare finalmente pagina, immemore che quei provvedimenti incontrarono una certa fortuna storica solo perché coincidenti (o quasi) con lo scoppio della II guerra mondiale. E’ il reiterato brutto vizio degli uomini, ai quali piace, in ogni caso, pensare che solo dal bene e dalla pace possa nascere effettivamente una “nuova era”.

Resta il fatto che gli americani qualcosa di concreto lo stanno facendo, tanto dal punto di vista economico che da quello politico.

In Europa, i nostri grandi statisti, attorniati da economisti incapaci e creduloni, non sanno far di meglio che lanciare rassicurazioni e minimizzazioni. Con le ciarle non si è mai arrivati da nessuna parte ed, anzi, si finisce per sprofondare prima degli altri, pieni di ottimismo, ma pur sempre prima degli altri.