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La crisi e le sue soluzioni

di F. D'Attanasio - 24/03/2009

 

 

L’economista statunitense, professore della New York University, Doom Nouriel Roubini, in un incontro a porte chiuse di qualche giorno fa, organizzato da Calyon Crédit Agricole, secondo quanto riporta ilsole24ore.com, ha ampiamente esposto il suo pensiero a riguardo dell’attuale crisi economica e finanziaria che attanaglia tutte le società del mondo. Come al solito il discorso presenta luci ed ombre e le sensazioni finali che suscita sono diverse e spesso contrastanti. Roubini è considerato, dai più, quasi un “luminare” dell’economia e della finanza, uno dei pochissimi ad aver previsto con un certo anticipo l’attuale situazione di forte difficoltà non solo negli USA ma un po’ in tutto il mondo. Ammetto di non essere assolutamente in grado di mostrare o meno la veridicità di tale ultimo assunto, comunque è sempre bene non fidarsi di certi canali di informazione ed opinione, e conseguentemente nutrire dei dubbi, specialmente di questi tempi, dove la confusione ed il caos la fanno da padroni come non mai.

La mia sensazione più netta è che quando certi personaggi, così tanto osannati e continuamente ricercati dai principali canali mediatici, disquisiscono di certe problematiche, in realtà consapevolmente o meno, nascondano intenti ben più profondi che trascendono il ristretto ambito tematico che trattano. Nel caso specifico, bisogna comunque riconoscere a Roubini una certa schiettezza, ed un realismo che molti altri, economisti e/o esperti vari, non hanno. E’ difficile ad esempio che si possa condividere la sua convinzione a proposito del fatto che sia stato un errore far fallire Lehman Brothers, ed ancor di più che "Non resta altro che socializzare le perdite di banche, imprese e famiglie, trasferire al pubblico i debiti dei privati: costerà caro, ma è l'unica medicina per scacciare la depressione o una recessione a forma di L". Roubini ragiona emettendo sentenze dall’alto del suo prestigio e fama, ma avendo in mente un mondo ad immagine e somiglianza di quello americano; non dice nulla difatti di come gli strumenti e le tecniche finanziarie più sofisticate ed all’avanguardia, causa principale di tutti i problemi di più ristretta natura finanziaria, siano stati inventati dall’elite anglo-americana con il bene placito e l’appoggio dei referenti decisionali della sfera politica di quegli stessi paesi (mai dimenticare questo aspetto, costantemente tenuto nascosto, il che la dice lunga sulla buona fede di chi occupa i vertici del potere politico mondiale, tutto intento a prendersi a cuore le sorti dei popoli del mondo stigmatizzando banchieri e finanzieri, propalando così autentiche menzogne sulla necessaria quanto urgente opera atta a ristabilire una “giusta” etica negli affari). Arriva addirittura a criticare la politica della BCE rea di tenere i tassi ancora troppo alti e di non facilitare a sufficienza l’immissione di liquidità sui mercati, dato che allo stato attuale delle cose l’inflazione non costituirebbe affatto una preoccupazione poiché comunque l’erogazione del credito in favore dell’economia reale non sta affatto salendo. Roubini nella sostanza, condivide le misure ed i provvedimenti adottati dall’amministrazione americana, ma anche dai vari paesi della UE, dal Giappone e dalla Cina, il punto è che secondo lo stesso, nella medesima direzione, bisognerebbe fare di più e più tempestivamente. Niente di particolarmente originale dunque, anche quando ritiene necessario ed imprescindibile l’intervento dello Stato sia sul fronte bancario (al fine ad esempio di mettere in ordine i bilanci delle banche insolventi, dividere gli asset buoni da quelli cattivi fino ad arrivare, dove ce ne fosse bisogno, ad una temporanea nazionalizzazione) e sia sul fronte del sostegno alle imprese.

Ma la parte più interessante dell’articolo è sicuramente, a mio avviso, quella finale; cito testualmente: «Tante "AAA" di banche, di aziende industriali, di cartolarizzazioni, persino quelle degli Stati sovrani sono crollate oppure stanno vacillando. E se gli investitori vanno ancora alla ricerca di un investimento veramente sicuro, con il marchio del massimo rating "AAA" non hanno altra scelta se non quella dei Treasuries americani: anche se l'Amministrazione Obama inonderà il mercato di titoli di Stato denominati in dollari, una grossa fetta di questi secondo Roubini sarà acquistata dalla Federal Reserve. Tutto questo significa che il dollaro Usa alla distanza non è messo poi così male. Nel medio termine, per i prossimi sei mesi, tenderà a svalutarsi secondo Roubini ma non crollerà perchè "questa sua debolezza non è un trend"». Verità sacrosante condivisibili nella sostanza, ma quali sarebbero i reali motivi per cui, pur essendo gli Stati Uniti il paese più indebitato al mondo e sicuramente uno dei paesi maggiormente esposti alla bufera finanziaria, potranno ancora a lungo mantenere la leadership mondiale? Non si tratta evidentemente di fattori di natura puramente economica ma anche e soprattutto politica e militare, vale a dire di tutto ciò che fanno di questo paese una potenza nel vero senso della parola. Ed allora i provvedimenti e tutte le iniziative che Roubini ritiene indispensabili non sono effettivamente che una piccola parte di quel che ogni paese dovrebbe cercare di fare per uscire dalla crisi (sicuramente non per evitare la crisi che è inevitabile) con le ossa meno rotte degli altri. Ma qui si finisce inevitabilmente nel campo più strettamente politico e ci si rende conto che il mondo, con tutte le sue istituzioni, governi, tessuti produttivi ed industriali, non è affatto unito; che i vari vertici mondiali, quali G7, G20 ecc. ecc. celano sotto sotto una realtà ben diversa, una realtà, da una parte, fatta di attori che si nascondono fondamentalmente dietro discorsi dello stesso tipo di quelli di Roubini i cui fini sono principalmente di accontentarsi di rimanere sotto il predominio americano, e dall’altra però di paesi i cui vertici politici agiscono con tutt’altra mentalità, una mentalità niente affatto rinunciataria, ma molto pragmatica ed attenta a perseguire obiettivi di maggior influenza e potenza mondiali. Si tratta, a tal ultimo riguardo di paesi quali la Cina, l’India ma soprattutto la Russia; quest’ultima sicuramente presenta una specificità tutta sua (anche come retaggio storico proveniente dall’ex potenza sovietica), tesa ad agire all’interno di una strategia di più ampio respiro volta a rintuzzare le mire espansionistiche (con successi non di poco conto) degli USA che stanno facendo di tutto per inglobare nella propria area di influenza varie repubbliche dell’ex URSS: non solo dunque politiche di rafforzamento delle infrastrutture, del tessuto industriale e di tutto ciò che è più direttamente collegato allo sviluppo economico.

Gli economisti puri, quindi, per quanto bravi e competenti possiamo senz’altro dire abbiano una “visuale” molto ristretta, come se le problematiche economiche e finanziarie vivessero di vita propria, avulse da qualsiasi contesto più ampio e generale; non ci può essere provvedimento di politica economica di qualsivoglia natura, che di per sé possa essere considerato buono o cattivo, efficace o meno; sono le condizioni al contorno che hanno un peso rilevante in tal senso, come la specificità dei rapporti tra nazioni nonché la configurazione del potere interna ad ognuno di essi. E’ nelle epoche particolarmente critiche, come quella attuale, che viene in risalto come l’ambito più prettamente politico acquista una rilevanza fondamentale, quella che deve coadiuvare tutti gi altri fattori in un’azione a più largo spettro e di medio lungo periodo.