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Sostanza ed unità generica in Plotino

di Riccardo Chiaradonna - 31/03/2009


 

 

«Ora, se il genere supremo, che è causa della conoscenza di tutte le altre cose, non viene conosciuto, molto meno allora possono essere concepite e conosciute le altre cose, che da questo genere sono spiegate». Spinoza, Breve trattato, 17,9

Le pagine dedicate da Plotino all'interpretazione dell'ontologia aristotelica costituiscono un esempio straordinario di polemica filosofica, che ha spesso suscitato l'interesse degli studiosi 1. La critica alla teoria della sostanza (ousia), in particolare, si intreccia con lo sviluppo di una metafisica propria, alternativa a quella di Aristotele 2. Fondamentali al riguardo sono i tre trattati che aprono la sesta Enneade, dedicati alla teoria dei generi dell'essere, rispettivamente il 42, il 43 ed il 44 nell'ordine cronologico fornito da Porfirio ( Vita Plotini 5, 51 ss.). Il primo espone criticamente le dottrine aristotelica e stoica delle categorie; il secondo sviluppa la teoria plotiniana dei generi intellegibili sulla base del Sofista platonico; il terzo, infine, è dedicato alla metafisica del sensibile. La critica alla sostanza occupa l'inizio del primo trattato (enn. VI 1, 1-3). La teoria aristotelica delle categorie è considerata una divisione programmaticamente completa degli enti e, su questa base, giudicata insufficiente, poiché non tiene conto dell'equivocità (homonymia, cfr. Arist. categ. 1, 1 a 1-3) tra realtà intellegibili e sensibili (ta noeta; ta aistheta, cfr. enn. Vl 1, 1, 20 ss.). Tale equivocità impedisce di considerare l'ousia un genere unico. Dei capitoli in cui Plotino conduce la sua polemica, la presente ricerca analizza il terzo (VI 1, 3), in rapporto alle letture sinora proposte dagli studiosi. L'interpretazione di VI 1, 3 solleva, infatti, questioni complesse, che investono i temi centrali dell'ontologia plotiniana e, attraverso questi, supera un interesse strettamente "storico" per porre problemi di rilievo teoretico. Sono qui considerati, soprattutto, i saggi di Pierre Hadot, Harmonie e di Pierre Aubenque, Plotin, due studi molto importanti, tenuti presenti anche qualora alcune conclusioni non ne vengano accettate. La bibliografia in lingua italiana sull'argomento è stata recentemente arricchita dal commento dei trattati Sui generi dell'essere scritto da Margherita Isnardi Parente. Tra le opere d'insieme, gli studi di Klaus Wurm e di Antony C. Lloyd sono presupposto per ogni ricerca sull'ontologia di VI 1-3. Pregevole anche la trattazione sintetica offerta da Strange, Interpretation, sebbene la sua ricostruzione dell'attitudine di Plotino verso la filosofia aristotelica diverga notevolmente da quella qui proposta.

    E' , anzitutto, opportuno fornire una traduzione del testo: 3

"Forse dobbiamo assumere una certa categoria unitaria, riunendo insieme la sostanza intellegibile, la materia, la forma, il composto di entrambe? Come se qualcuno dicesse la stirpe degli Eraclidi una realtà unitaria, non in quanto carattere comune predicato di tutti, ma in quanto (deriva) da un'origine unica: primariamente, infatti, esiste quella sostanza, secondariamente e in minor misura le altre realtà. Ma cosa [5] impedisce che tutte le realtà costituiscano un'unica categoria? Anche tutte le altre cose che si dicono "essere", infatti, derivano dalla sostanza. O, forse, quelle sono affezioni, le sostanze, invece, stanno in diversa consecuzione. Ma anche in tal modo non possiamo ancora basarci sulla sostanza, né coglierne il carattere principale, affiché a partire da questo deduciamo anche le altre. Siano dunque in tal modo congeneri [10] tutte le cosiddette sostanze, aventi un carattere diverso dagli altri generi. Cosa sono, allora, questo qualcosa, e il questo, e il soggetto [e] che non sopravviene ad altro né è in altro come in un soggetto né (è) ciò che è appartenendo ad altro, come il bianco è qualità di un corpo e il quanto (è) di una sostanza e il tempo qualcosa del movimento 4 e [15] il movimento del mosso? La sostanza seconda, però, è (detta) di altro. Oppure il "di altro" è qui inteso in altro modo, come genere immanente e immanente come parte e come il "che cosa" di esso; il bianco, invece è di altro, poiché è in altro. Tuttavia, si potrebbe individuare questi caratteri propri rispetto agli altri e per questo mezzo raccoglierli in una unità [20] e chiamarli "sostanze", ma non si potrebbe dirli un genere unico, né mai mostrare la nozione e la natura della sostanza Siano qui sufficienti queste osservazioni; passiamo ora alla natura del quanto"

Per chiarire il senso del difficile capitolo, è indispensabile richiamare più dettagliatamente le linee generali della critica all'ousia aristotelica di enn. VI 1, 1-2. Due livelli vi possono essere distinti. Ad una prima analisi, essa appare una contrapposizione estrinseca della separazione platonica tra mondo sensibile ed intellegibile all'assunzione aristotelica della sostanzialità del primo ed al conseguente rifiuto della teoria platonica delle forme separate; la divisione aristotelica risulta insufficiente in quanto tralascia gli intellegibili, enti in grado più alto (cfr. enn. VI 1, 1, 30). Una simile obiezione è fuorviante: Aristotele non ha, infatti, tralasciato di esporre i generi secondo cui si articola la sostanza trascendente platonica, ma ne ha contestato la stessa assunzione per dar conto della costituzione del sensibile (p. es. metaph. I 9, 990 b I ss.). Ad una lettura più attenta, tuttavia, che consideri anche l'ontologia sviluppata in enn. VI 3, la critica plotiniana appare molto sottile. Plotino non sostiene tanto che alla sostanza aristotelica vada aggiunta la trascendente platonica, ma contesta la stessa possibilità di giustificare la priorità della sostanza rispetto alle proprietà accidentali, senza concepire la prima sul modello delle forme platoniche separate. L'opposizione tra differenze intrinseche all'essenza degli oggetti e qualità accidentali (Arist. metaph. V 14, 1020 b 14 ss.) è infondata. La natura sensibile, infatti, è inseparabile da tutti gli attributi che la costituiscono ed è, nel suo complesso, immagine dell'unica sostanza trascendente che ne è fondamento. Questa è separata dall'intera costituzione della natura sensibile, all'interno della quale risulta impossibile stabilire il criterio che permetta di rilevare alcune determinazioni rispetto alle altre come costitutive dell'essenza di ciò cui convengono (cfr. enn. VI 3, 8, 19 ss.; VI 3, 15, 24 ss.). Non si tratta, dunque, di aggiungere l'ousia (neo)platonica all'aristotelica, ma di mostrare, a partire dalla prima, l'insufficienza della seconda. Non è possibile opporre la sostanza sensibile e gli attributi di essa costitutivi rispetto alle proprietà accidentali del composto, in quanto tutti i predicati degli enti corporei sono, propriamente, accidentali: tutti, cioè, ne esprimono la condizione derivata rispetto al loro fondamento trascendente. I1 sensibile può essere considerato sostanza solo per omonimia, scil. come riflesso privo di sostanzialità dell'unica ousia intellegibile. La forma sensibile di una cosa, costituita dall'insieme dei suoi attributi, ne esprime la dipendenza dal principio razionale (logos) che la produce 5. Esso, a sua volta, va ricondotto alla propria origine intellegibile (VI 3, 15, 27 ss; cfr. VI 2, 5, 10 ss. sul rapporto logoi-anima; VI 3, 1, 23-24 sull'appartenenza dell'anima al mondo intellegibile; IV 3, 20, 38-39 sul rapporto anima-forma materiale) 6.

L'inizio di VI 1, 3 contiene una obiezione contro la tesi dell'equivocità tra generi sensibili ed intellegibili esposta nei capitoli precedenti. Se "intellegibile" e "sensibile" non sono differenze relative a specie coordinate nel medesimo genere "sostanza" (che in tal caso verrebbe predicato sinonimamente di entrambe, corni di una opposizione tra realtà simultanee per natura [antidiairesis]) ' si può, tuttavia, forse ritenere che tutte le accezioni della sostanza (I'intellegibile, la forma immanente, il composto, la stessa materia) rientrino in un solo genere secondo il significato di unità gerarchica di derivazione da un solo principio. La sostanza trascendente, infatti, è comune origine delle altre, come Eracle è capostipite di un genere (genos) unico, quello degli Eraclidi 8. Secondo questo senso "genealogico" sono strutturati gli argomenti dei commentatori neoplatonici aristotelizzanti contro la critica plotiniana all'ousia aristotelica, a cominciare da un testo di Dexippo (in categ. 40, 28 e ss.) che, come ha mostrato Hadot, Harmonie riporta probabilmente la dottrina del grande commento porfiriano alle Categorie, ora perduto 9.

 È proprio Porfirio, d'altronde, a modellare la sua trattazione del genere nell'Isagoge sulla dipendenza genealogica da un principio unico. L'esempio degli Eraclidi, riportato da Plotino e Porfirio (isag. 1, 20 ss.), è, in effetti, aristotelico (Arist. metaph. X 8, 1058 a 24 s.). Aristotele, tuttavia, contrappone il significato genealogico alla relazione genere-specie: il genos aristotelico è, infatti, concepito quale materia rispetto alle differenze che lo determinano, non come un principio attualmente esistente delle specie (metaph. V ó, 1016 a 24 ss.; 28, 1024 b ó-9; VII 12, 1038 a 5-9). Ora, è interessante che Porfirio, con una correzione sottile, ma decisiva, al testo di Aristotele, (a) distingua la nozione tecnica del genere dalla genealogica, ma (b) sottolinei, insieme, la somiglianza della prima rispetto alla seconda (isag. 2, I l). Non solo: I'esempio di relazione tra genere sommo e specie subordinate fornito nell"'albero di Porfirio" è quello del rapporto tra il capostipite ed i suoi discendenti (isag. 5, 24 ss.) 10.

 Mentre la critica plotiniana mantiene la sua forza rispetto all'accezione aristotelica del genere, diverso sembra il caso del significato genealogico. Si può, infatti, supporre che realtà in rapporto di anteriorità e posteriorità per natura, che non possono essere specie coordinate entro lo stesso genere (Arist. eth. nic. I 4, 1096 a 17 ss.; eth. eud. I 8, 1218 a I ss.; metaph. III 3, 999 a ó-7), siano, nondimeno, comprese in una unità gerarchica di dipendenza da un principio unico. Questa è la teoria preliminarmente assunta all'inizio di VI 1, 3. Hadot, Harmonie, p. 34 s. vi ha visto un primo tentativo compiuto da Plotino per salvare l'unità della nozione di ousia. Contro questa interpretazione può essere, tuttavia, forse notato che il significato genealogico non è riferito alla sostanza come una soluzione valida all'aporia dei capitoli precedenti. Plotino, infatti, sottolinea l'insufficienza della dottrina aristotelica anche secondo la nozione del genere quale dipendenza ab uno. Neanche convince del tutto, a mio parere, la lettura proposta da Aubenque, Plotin, p. 22 ss. Questi rileva chiaramente che l'interpretazione genealogica non viene usata in "soccorso" della teoria aristotelica. Plotino si limiterebbe ad esporne fedelmente il contenuto, sottolineando la sua differenza rispetto ad un sistema emanatistico, senza, tuttavia, prendere propria posizione a riguardo. Ciò sarebbe tanto più notevole in quanto, come sottolinea Aubenque, Plotino inclina, per parte propria, verso l'impostazione della quale, tuttavia, riconosce, a differenza dei commentatori successivi, l'estraneità al pensiero aristotelico. Va tuttavia sottolineato, a mio parere, che l'intento polemico di VI 1, 3 è il medesimo dei due capitoli precedenti. Non si tratta, insomma, di una semplice esposizione della filosofia aristotelica, ma di un attacco ad essa, mosso contro quanti adducono in sua difesa una nozione di genere che sembra, a prima vista, ridurre la portata delle obiezioni plotiniane.

 La corrispondenza della tesi che apre il capitolo con gli argomenti dei commentarii alle Categorie di Dexippo e Simplicio sviluppati in difesa della teoria di Aristotele e della sua armonia con la dottrina (neo)platonica favorisce una simile ipotesi. Che Plotino conoscesse e prendesse posizione rispetto ad un argomento, probabilmente porfiriano, mosso in favore della teoria aristotelica da lui attaccata non è, d'altronde, inverosimile. Del dibattito di scuola tra Plotino e i suoi allievi dà notizia Porph. Vita Plotini 13. L'importanza della contrapposizione tra Plotino ed il suo discepolo sull'interpretazione delle Categorie è stata recentemente sottolineata da Christos Evangeliou, p. 4, in una ricerca molto interessante per le ipotesi che formula sul quadro storicoculturale della lettura porfiriana di Aristotele. Lo studioso arriva a ritenere proprio questo disaccordo causa della melanconia di Porfirio e del conseguente distacco tra quest'ultimo ed il maestro (cfr. Vita Plotini 11, 11 ss.) ". Il paragone tra enn. VI 3, 9, 39-42 e Porph. in categ. 91, 19 ss. mi sembra confermare ulteriormente l'ipotesi qui formulata: dopo aver criticato la tesi aristotelica dell'individuo sensibile quale sostanza prima (Arist. categ. 5, 2 a 10 ss.), infatti, Plotino ne respinge una difesa (la sostanza prima delle Categorie è tale rispetto a noi, non secondo l'ordine obiettivo della realtà) del tutto analoga a quella che troviamo in Porfirio e nei commentatori neoplatonici successivi. D'altra parte, la critica plotiniana presuppone materiale tratto dalla tradizione precedente di dibattiti e commenti sulle Categorie 12, e non è impossibile che lo stesso possa riferirsi agli argomenti sviluppati da Porfirio che avrebbero, così, potuto esser presenti a Plotino indipendentemente dalla loro formulazione ad opera dell'allievo.

 La posizione da cui VI 1, 3 prende avvio giustappone intellegibili platonici separati, forme aristoteliche immanenti alla materia, il composto e la materia stessa all'interno di un'unica scala entis, individuando la relazione ab uno quale struttura che permette di comprenderli nel medesimo genere "sostanza", inteso non come carattere comune univocamente predicato delle specie ad esso subordinate, ma quale rapporto gerarchico di dipendenza delle realtà che cona {1Ptte nZwcin7 in frarms cennnolnrin e dPrivot:~ r1:z11n cneton7o trncrPn_

dente, che è tale in forma prima e originaria. La prima obiezione plotiniana, alle linee 5-7, è interna alla tesi di quanti ritengono così di poter giustificare l'assunzione della sostanza aristotelica entro la metafisica (neo)platonica. Ammesso che la tesi dell'eterogeneità del sensibile rispetto al suo fondamento trascendente (enn. VI 1, 1-2) venga temperata attraverso la sostituzione del significato genealogico al genos-carattere comune, ritenendo così la dipendenza da un comune principio condizione sufficiente per l'appartenenza, in forma derivata, al genere ousia, cosa impedisce che tutte le realtà vengano, in tal modo, considerate sostanze? Stabilito, infatti, che la sostanza sensibile sia tale in virtù della sua dipendenza dall'intellegibile, le altre determinazioni, enti in quanto dipendono dalla sostanza, saranno comprese, a loro volta, nel genere ousia. Tale risultato vanifica gli sforzi dei platonici aristotelizzanti; la divisione tra sostanza trascendente e struttura metafisica del sensibile si rivela alternativa all'opposizione tra sostanza sensibile e accidenti.

La frase successiva (linee 7-8) fornisce una possibile risposta a questa obiezione: la dipendenza delle affezioni dalla sostanza va distinta dalla dipendenza tra le sostanze. La debolezza di un simile argomento risulta, tuttavia, evidente dalla linea 8. Essa fa semplice riferimento ad un'alterità del rapporto di dipendenza senza stabilirne il criterio, lasciando imprecisato, cioè, cosa permetta di distinguere il rapporto tra affezioni e sostanza da quello che intercorre tra le sostanze. A questa difficoltà può, forse, essere riferita la frase successiva (linee 8-10). La distinzione estrinseca tra la dipendenza delle affezioni dall'ousia e quella della sostanza sensibile dall'intellegibile non lascia ancora stabilire quale sia il carattere più proprio della sostanza affinché, a partire da esso, sia dato conto della derivazione delle altre. Coloro che subordinano la sostanza aristotelica alla trascendente platonica entro un'unica scala entis non danno conto del carattere principale dell'ousia come intellegibile, dalla quale derivano i gradi successivi della realtà.

Senza tale comprensione della sostanza quale ousia noete, i caratteri distintivi addotti non riescono a determinarla che in modo estrinseco, non cogliendone la natura propria. Come osserva Isnardi Parente, VI 1-3, p. 236, «L'incontro delle proprietà resta accidentale e non forma il genos, la cui unità deve essere profonda e sostanziale in quanto garantita dalla trascendenza; il genos, per costituire unità autentica, va inteso nel senso di forma trascendente» 13. Le linee successive (10-16) vanno probabilmente interpretate in riferimento a quanto appena notato. Si presuppone che le sostanze differiscano dagli altri generi in base a «qualcosa» (ti), ma cosa propriamente sia questo «qualcosa» non viene specificato 14. Plotino riprende poi la terminologia della scuola peripatetica per la determinazione della sostanza, mostrando come essa sia insufficiente. I1 genos ousia non viene determinato per se stesso, ma ci si limita ad enumerarne caratteri disparati, ad esempio il non dirsi altro. Plotino, tuttavia, obietta che anche le sostanze seconde vengono dette di altro, scil. degli individui di cui sono predicate (16-17; cfr. Arist. categ. 5, 2 a 17 ss.; 3 a 10 ss.). Il problema consiste nel giustificare l'opposizione tra predicazione essenziale ed accidentale nella struttura della proposizione (legein ti kata tinos). La risposta all'aporia plotiniana (17-19) ricorda gli argomenti di scuola contro quanti equiparavano il rapporto forma-composto al rapporto accidenti-sostanza (cfr. Simpl. in categ. 78, 25 ss.). La predicazione nell'ambito della stessa categoria viene distinta da quella che esprime l'inerenza di una proprietà accidentale. Da un lato si ha la relazione tra una cosa e la sua essenza, parte costitutiva di essa; dall'altro quella tra una cosa ed una sua qualità rispetto alla quale è indipendente. Plotino, tuttavia, conclude mostrando come anche quest'ultima soluzione sia insoddisfacente. È certo possibile raccogliere tali determinazioni in una unità e dirle "sostanze", ma non si potrebbe dire per questo che formino un genere unico, né mostrare la nozione e la natura (physis) dell'ousia. Va fatto riferimento, in proposito, alla fine di VI 1, 2. Plotino contesta alla dottrina aristotelica di non dire il «che cos'è» (ti estl) della sostanza. Si tratta, a prima vista di una obiezione capziosa e superficiale: della sostanza non viene data definizione per il semplice fatto che essa è, in quanto genere sommo, indefinibile (cfr. Porph. in categ. 87, 16 ss.; Dexipp. in categ. 44, 11 s. e 61, ó ss.; Simpl. in categ. 81, 19 s. e 119, 26 ss.). Plotino, tuttavia, conosce l'argomento sull'indefinibilità del genere, applicandolo al movimento (enn. VI 3, 22, 18-20); è dunque probabile che l'obiezione sulla sostanza vada interpretata diversamente. Sia in VI 1, 2 che in VI 1, 3, in effetti, I'idea mi sembra la medesima: il ti esti o laphysis alludono alla costituzione propria della sostanza come fondamento trascendente. L'intera struttura degli enti corporei è immagine della loro causa intellegibile, senza poter giustapporre a questa opposizione la distinzione tra ousia aisthete e le sue affezioni. La differenza tra sostanza e accidenti va riportata positivamente alla costituzione dell'ousia, quale ousia noete, rispetto alla sua espressione sensibile 15. È al riguardo importante anche l'affermazione secondo cui la forma viene riconosciuta (scil. da Aristotele) come sostanza in maggior grado rispetto alla materia, e giustamente, ma altri potrebbero dire che la materia sia ousia a maggior ragione (VI 1, 2, 11-12). L'argomento sembra un confronto estrinseco tra la tesi di Aristotele sulla prima sostanzialità della forma e l'identificazione stoica della sostanza con la materia (Arist. metaph. VII 3, 1029a 29-33; 7, 1032b 2; 11, 1037 a 28-b 7 vs. Diog. Laert. VII 150= S. V.F. II 316/F.D.S. 742). È tuttavia possibile una lettura più interessante, alla luce di quanto appena rilevato. La posizione aristotelica della forma quale sostanza prima, direbbe Plotino, è insufficiente, se tale priorità non viene giustificata svincolandola dall'effettualità sensibile (cfr. VI 3, 2, 22-24). Senza questa fondazione della priorità dell'eidos il rilievo della forma rispetto alla materia non esclude che siano poste altre priorità, identificando nella materia la condizione essenziale degli oggetti sensibili 16.

 L'assunzione della sostanza trascendente quale fondamento della costituzione degli enti corporei si rivela rimedio alla debolezza propria della teoria aristotelica, che non riesce a giustificare la priorità della prima rispetto alle altre categorie parimenti espresse nelle forme della predicazione. Si potrebbe, forse, notare a questo proposito che l'ontologia aristotelica finisce per cadere, secondo Plotino, in aporie del tutto analoghe a quelle fatte valere contro la teoria delle idee separate a partire dalla prima parte del Parmenide platonico. Se, infatti, I'ousia viene espressa da uno degli attributi di un oggetto, resta insoluta la questione di quale sia il criterio che permette di rilevarla rispetto agli altri predicati propri di esso. La via alle "aporie del regresso" è, in tal modo aperta, a meno di non svincolare la sostanza dalle forme logiche che esprimono la costituzione del sensibile, comprendendola sul modello degli intellegibili separati ". Si può parlare, in proposito, di un vero "crollo" della struttura soggetto-attributo nella metafisica di Plotino. Tale struttura è inadeguata ad esprimere il rapporto uno-molti dell'intelletto trascendente (nous), che non consente di opporre attributi al loro soggetto come proprietà estrinseche (p. es. enn. VI 2, 21) 18. D'altra parte, se l'intellegibile risulta al di là della struttura soggetto-attributo, il sensibile ne è, per così dire, "al di qua". Come, infatti, non è possibile distinguere attributi estrinseci all'ousia trascendente, non è possibile individuare una sostanza sensibile che sia soggetto agli attributi accidentali distinti da essa. L'intera costituzione dei corpi si rivela come "conglomerato di materia e qualità", immagine priva di sostanzialità dell'essere vero (VI 3, 8, 19 ss.). Sono in proposito molto efficaci le osservazioni di Lloyd, p. 92. Egli rileva come la distinzione degli attributi dalla sostanza sia insufficiente sia ad esprimere la struttura delI'intellegibile plotiniano che quella del sensibile: «In the realm of ideas this was because they were insufficiently distinct from their subjects: here it is because they have insufficiently identifiable subjects to be attributed to».

 Sono state sinora esposte le obiezioni di Plotino contro coloro che interpretano in modo insoddisfacente la distinzione tra i due "domini" del sensibile e del suo fondamento. Resta da vedere come Plotino ne concepisca positivamente la struttura. Un passo importante, al riguardo, è costituito da enn. I 8, ó. Plotino vi espone una teoria dei contrari alternativa a quella che li considera specie contrapposte all'interno di un genere comune determinato dalle differenze. In tal caso, le realtà che vengono ritenute contrarie partecipano di un carattere comune. Ora, nell'opposizione del Bene e della natura divina al male, non si tratta di determinazioni contrarie di un determinabile comune, ma della separazione di un insieme da un altro nella sua intera struttura:

«L'(uno) ha l'essere menzognero ed è [45] primariamente e realmente menzogna, l'altro ha l'essere vero; e perciò anche, come il falso è contrario al vero, ciò che è conforme all'essenza (dell'uno) è contrario a ciò che è conforme all'essenza di quella (natura divina). [...] Dunque, le realtà completamente separate, che non hanno alcun [55] carattere comune ed hanno la massima distanza nella natura, sono contrarie tra loro: la contrarietà, difatti, (ha luogo) non in quanto (si tratti di) una realtà qualificata, né in assoluto in quanto (si tratti di) qualsiasi genere degli enti, ma in quanto (tali realtà) sono massimamente separate l'una dall'altra e consistono di elementi opposti e producono i contrari» (enn. I 8, ó, 44-59).

 "Mondo di quaggiù" e realtà trascendente differiscono come "due nature" nella loro interezza 19. All'essere vero della seconda si contrappone la costituzione del primo quale non ens (cfr. VI 2, 1, 24), secondo un'opposizione categoriale alternativa a quella di essenza e proprietà accidentali degli oggetti sensibili.

 La derivazione dall'intellegibile delle realtà sensibili comprende la loro struttura come un tutto, concepita quale immagine della loro "causa" trascendente. È, in proposito, molto interessante il capitolo terzo di enn. I 4, dove sono affrontate, in relazione alla vita, questioni analoghe a quelle poste per l'ousia in enn. VI I 20. Plotino si chiede se la felicità corrisponda alla vita. Se così fosse, e questa venisse considerata un sinonimo, non vi sarebbe differenza alcuna tra la felicità di tutti i viventi, razionali o meno. Coloro che ponessero la felicità nella vita razionale, e non nella vita intesa come realtà comune, ignorerebbero di non porre più la felicità nella vita, ma in una sua qualità (la facoltà razionale) (enn. I 4, 3, 9-14). A questo punto, Plotino, in maniera alquanto brusca, spiega perché questo ragionamento non sia corretto. La facoltà razionale non va ritenuta una qualità che si aggiunga dall'esterno alla vita, considerata come un carattere comune indifferenziato, ma la vita razionale costituisce un intero e, come tale, è una specie della vita (14-16). Si tratta, pertanto, di una specie diversa da quella che, all'interno del genere, viene determinata dalla differenza (esterna al genere stesso), ed è simultanea per natura rispetto alle specie coordinate di cui esso si predica sinonimamente (Arist. top. IV ó, 128a 20 ss.; metaph. III 3, 998b 22 ss.; VII 12, 1037b 30 ss.) 21. L'aggiunta di Plotino è chiarificatrice:

 «dico (specie) non come contrapposta (antidieiremenon) per la nozione, ma come noi diciamo che (una cosa) è anteriore, l'altra posteriore. Poiché, dunque, la vita è detta in molti modi 22 e assume la differenza secondo le realtà prime, e seconde [20] e successive, ed il vivere è detto per omonimia, in una maniera della pianta, in un'altra dell'essere irrazionale, i quali hanno la differenza per la (sua) chiarezza o oscurità, è chiaro che anche la felicità assume uguale proporzione. E se una (vita) è immagine dell'altra, anche la felicità (dell'una) sarà evidentemente come immagine della felicità (dell'altra)» (16-24).

 In un simile modello di derivazione l'alterità di genere e differenza non è mantenibile. Secondo Plotino, infatti, le specie della vita differiscono per la chiarezza o l'oscurità di essa, non per l'aggiunta dall'esterno di una qualità (per es. Ia facoltà razionale) 23.

 Resta, forse, da chiedersi se, per la comprensione del cosmo sensibile plotiniano privo di un "sostegno" metafisico proprio, non si debba fare ricorso ad una nozione diversa da quelle, sin qui usate, di "sostanza", "cosa" ed "oggetto". Ciascuna di esse, preliminarmente assunta, sembra dissolversi all'analisi che rivela il mondo dei corpi "non sostanza", "non cosa", "non oggetto", ma flusso di immagini, semplice riflesso della forma separata nello specchio della materia (per es. enn. III ó, 13, 49-55). È possibile che, risolta negativamente la nozione di sostanza, emerga una diversa categoria metafisica, quella di "evento" 24.

 

 

Note

(*) Questo articolo è stato scritto durante un soggiorno di studio presso l'U.P.R. 76 del C.N.R.S. di Parigi. Desidero ringraziare vivamente, per l'aiuto ed i sugerimenti ricevuti, Tiziano Dorandi. Emidio Spinelli. Tommaso Marciano.

1 Tra le trattazioni d'insieme della filosofia di Plotino si vedano gli studi di O'Meara; Isnardi Parente, Introduzione; Hadot, Regard. Classici, e letterariamente suggestivi, sono i saggi raccolti in Cilento (sul tema qui trattato cfr. in partic. pp. 83-96), sebbene ormai spesso superati nell'impostazione e nelle conclusioni. La traduzione delle Enneadi compiuta da Faggin è utile per un primo contatto con l'opera plotiniana.

 2 La traduzione di ousia con "sostanza", qui adottata, è stata spesso giudicata dagli interpreti come unilaterale o, senz'altro, fuorviante (cfr. per esempio, secondo prospettive diverse, Aubenque, Problème, p. 136, n. 2; Courtine; Frede-Patzig, Il, p. 16 s.). Nella critica di Plotino sono presupposti i significati di ousia come cosa, soggetto di attributi, e come forma, causa dell'essere di una cosa, espressa dai suoi attributi essenziali. La traduzione "sostanza" privilegia unilateralmente il primo a discapito del secondo così come, d'altronde, la traduzione "essenza" privilegia unilateralmente il secondo a discapito del primo; soluzioni alternative come "essentità", esatte e filosoficamente penetranti, risultano, tuttavia, artefatte (cfr. Aubenque, Plotin, p. 12, n. I l). Va, per altro, sottolineato che la trattazione dell'ousia sviluppata nei libri centrali della Metafisica tende più ad unire i due significati che a contrapporli come irriducibili (sull'unità aristotelica del soggetto e dell'attributo (essenza) si vedano le osservazioni sintetiche di Goldschmidt, p. 15 ss.; Lloyd, p. 87). Tale unione dell'ente e del suo fondamento costituisce il bersaglio principale della critica di Plotino.

3 Le traduzioni dei testi plotiniani citati sono mie. Per Vl 1, 3 ho, comunque, tenuto conto di Isnardi Parente, VI 1-3, p. 123 s.

4. Cfr. Arist. phys. IV 11, 219a 10.

5 Tale forma sensibile richiama, evidentemente, Pl. Tim. 50 e ss., testo che costituisce fonte per la teoria neoplatonica degli universali in re. A mio parere, tuttavia, va anche sottolineato come la tradizione platonica aristotelizzante intenda, generalmente, la forma sensibile sul modello dell'eddos aristotelico (per es. Porph. apud Simpl. in phys. 10, 32 ss. = 120 F. Smith), opposto alle determinazioni accidentali del composto (Porph. apud Simpl. in categ. 78, 21 ss. = 58 F. Smith), senza awertirne, a differenza di Plotino, il contrasto con la tesi della natura sensibile quale non ens, riflesso privo di sostanzialità separato, nel suo complesso, dal proprio fondamento intellegibile. In tal senso, ritengo la matrice aristotelica della concezione di scuola neoplatonica (ma non plotiniana) della forma in re piu significativa rispetto alle sue origini platoniche.

 6 Sul logos plotiniano e sulla mediazione che esso opera tra intellegibile e sensibile cfr. Wurm, p. 14, n. 23 (IOgOS come «wirkende Kraft») e 260 s.; si veda anche Lloyd, p. 92 s. Tale mediazione non va tuttavia confusa con la possibilità di riunire sensibile ed intellegibile in un genere unico, così come non va ritenuta una soluzione al problema della presenza delI'intellegibile al sensibile. Come interpreta Strange, Vl 4-5, p. 485, i logoi sono causa efficiente della partecipazione, ma non ne offrono chiarificazione formale: essi spiegano come l'idea sia nel sensibile, non cosa sia per il sensibile parteciparne.

 7 Arist. categ. 13, 14b 33.34; top. Vl 4, 142b 8-10. Cfr. Wurm, p. 155, n. 32.

8 Sulla nozione neoplatonica del genere quale dipendenza gerarchica da un unico principio (relazione ab uno) si veda, oltre a Lloyd, p. 76 ss., Luna, p. 92 s.; sulla sua origine nella tradizione anteriore, cfr. Mansfeld, p. 123 s.

 9 Testo di riferimento sulla questione, oltre al passo di Dexippo, è l'omologo nel commento di Simplicio (in categ. 76, 24 ss.) che riporta, secondo Hadot, la dottrina di Giamblico. Sulla questione si veda anche Dillon, p. 75, n. 13. La differente attitudine dei commentatori (in particolare Simplicio e Giamblico) rispetto a Plotino sul problema dell'equivocità tra intellegibile e sensibile viene delineata benissimo in Luna, p. 150 ss.; cfr. anche Aubenque, Entstehung, p. 244 s.

 10 Dell'lsagoge porfiriana si vedano le traduzioni annotate di Warren; Maioli; Girgenti.

11 L'ipotesi è accolta da Saffrey, p. 43. Una magistrale trattazione della figura di Porfirio nel contesto storico-culturale della sua epoca è offerta da Dorrie. Hadot, Porphyre e indispensabile per qualsiasi ricerca sull'argomento.

 12 Si vedano le critiche di Lucio e Nicostrato riportate in Simpl. in categ. 73, 15-28 e 76, 13- 17. Che, tuttavia, la dipendenza della critica plotiniana e, in generale, del dibattito neoplatonico sulle Categorie dalla tradizione (medio)platonica precedente non vada sopravvalutata cerco di mostrare nell'articolo L 'interpretazione della sostanza aristotelica in Porf rio, «Elenchos» 17 (1996), pp. 55-94, contra Prachter.

 13 Sull'uso plotiniano di genos come contrapposto a categoria e riservato all'intellegibile, cfr. Wurm, p. 148 s. Lo stesso autore rileva, per altro, un uso più ampio del termine, riferito alla semplice divisione e articolazione di una molteplicità, che permette di estenderlo alle stesse categorie aristoteliche (Wurm, p. 258; cfr. enn. Vl 1, 1, 14).

 14 Isnardi Parente, VI 1-3, p. 235 richiama, per l'uso plotiniano di ti e tode alla linea 12, I'ontologia platonica di epist. Vll 343 b-c e Tim. 49 d-e.

15 Se ciò è corretto, non mi sembra che la difesa della determinazione negativa della sostanza che troviamo in Dexippo (in categ. 44, 12 ss.) e Simplicio (in categ. 81, 20 ss.) riesca a superare l'obiezione plotiniana.

 16 Cfr. Wurm, p. 153. Per una lettura della teoria aristotelica della forma e della sostanza almeno parzialmente accostabile alla plotiniana cfr., oltre a Wurm, p. 60 ss., il bel libro di Steinfath.

 17 Sull'importanza delle "aporie del regresso" nella filosofia di Plotino cfr. Regen.

18 Sul carattere non discorsivo del nous plotiniano cfr., tra l'altro, Wurm, p. 220 ss.; Lloyd, p. 165 ss. Trattazioni sintetiche, ma precise, della struttura metafisica del mondo intellegibile plotiniano sono fornite da Verra, p. 19 ss. e Ferrari-Vegetti, p. 22 ss. Cfr., infine, Beierwaltes, Denken, p. 57 ss. e passim.

 19 Cfr. I'espressione «altra natura» (hetera physis), riferita al sensibile in Vl 3, 1, 3 e alI'intellegibile, rispetto al sensibile, in IV 7, 9, 1. Della dottrina plotiniana qui esposta si veda anche la discussione in Simpl. in categ. 109, 5 ss. Enn. 18, ó, 54 ss. è tradotto e brevemente commentato da Bussanich, p. 207; Hadot, Vl 7, p. 294.

 20 La considerazione della vita in enn. 14, 3 è molto affine a Vl 2, ó-7. III 7, 11; cfr. anche Vl 3, 7, 19 ss. Per l'interpretazione di enn. 1117, Sull 'eternità e il tempo, uno dei trattati più famosi del corpus plotiniano, si veda, oltre a Beierwaltes, 1117, il recente commento fornito da Ferrari-Vegetti, da integrare con Ferretti, Recensione. Cfr. anche Ferretti, Eternità. Su 1 14, 3 cfr. Chrétien, p. 314 s.

21 Cfr. supra n. 7

22 Cfr. Arist. de an. 112, 413 a 22.

23 Analogo ragionamento per l'anima in enn. Vl 2, 5, part. 22-26. Sulla precontenenza delle differenze nell'unità del genere trascendente cfr. Lloyd, p. 90; sul tema della precontenenza si veda anche D'Ancona.

 24 La nozione di "evento" nell'ontologia stoica viene trattata, secondo prospettive diverse, nelle ricerche fondamentali di Bréhier; Goldschmidt, p. 77 ss., in partic. p. 95 per l'avvicinamento tra la "quasi esistenza" dell'evento incorporeo stoico e quella del divenire sensibile nel platonismo; Frede, Cause; Frede, Lekton.

 

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