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Galilei, Feyerabend e Ratzinger: tra pluralismo e fondamentalismo

di Paolo Scroccaro - 17/04/2009

                

        “La scienza…è intrinsecamente superiore solo per coloro che hanno già              deciso a favore di una certa ideologia, o che l’hanno accettata senza aver                          mai esaminato i suoi vantaggi e i suoi limiti. E poiché l’accettazione e il          rifiuto di ideologie dovrebbero essere lasciati all’individuo, ne segue che la          separazione di stato e chiesa dovrebbe essere integrata dalla separazione di          stato e scienza, che è la più recente, la più aggressiva e la più dogmatica          istituzione religiosa”                                                                                                                           (P.K.Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli, 1979, pag. 240)   Nel 1990 J. Ratzinger, all’epoca cardinale, in occasione di una conferenza universitaria cercò di giustificare l’operato dell’Inquisizione contro Galileo Galilei, utilizzando alcune tesi dell’epistemologo P.K.Feyerabend, e citando un brano contenuto nella versione tedesca del suo testo più noto[1], pubblicato in italiano con il titolo Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza[2].La cosa non poteva che generare un certo scalpore, per almeno due motivi:1)      il cardinale Ratzinger era nel 1990 anche Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e quindi erede alla lontana di quel cardinale Bellarmino che in veste di Inquisitore aveva avuto un ruolo importante nel primo processo contro Galilei;2)      Ratzinger, noto per le sue posizioni dogmatiche e conservatrici, fece leva su un filosofo della scienza conosciuto per le sue provocazioni irriverenti e anarcoidi nei confronti della scienza, della ragione e del potere! A circa 17 anni di distanza, quando il Rettore dell’Università “La Sapienza” di Roma invita Ratzinger, ora papa Benedetto XVI, ad inaugurare con una sua prolusione l’anno accademico, la polemica riesplode con veemenza, innescata da un gruppo di professori universitari e da una parte del mondo studentesco, i quali richiamano le posizioni antigalileiane di Ratzinger; a seguito di ciò, Benedetto XVI preferisce annullare l’impegno, onde evitare episodi sgradevoli.Non intendiamo qui soffermarci sull’opportunità o meno di invitare il papa alla Sapienza (su questo, si è già scritto molto), bensì riflettere sull'elemento più importante, cioè sulla questione del pluralismo culturale, che è (o dovrebbe essere) una grande idea-forza del nostro tempo, specie nelle società democratiche. Il vantaggio di avere un papa-filosofo è innegabile: qualsiasi cosa se ne pensi, i rimandi filosofici di Ratzinger permettono di portare in primo piano, perfino nei media, questioni filosofiche importanti che altrimenti resterebbero limitate ad una cerchia ristretta di addetti ai lavori. Partiamo dunque da quello che Feyerabend dice di Galilei: egli demolisce l’immagine consueta, canonizzata nella manualistica liceale e universitaria, che dipinge Galilei come un rigoroso ricercatore, tutto votato alla ragione e alle verifiche fattuali; Feyerabend documenta che invece lo scienziato pisano si è imposto, almeno all’inizio, grazie al contributo di fattori extrarazionali ed extrascientifici, quali potrebbero essere la propaganda, la suggestione, la fantasia, l’astuzia, l’uso spregiudicato delle ipotesi ad hoc e così via…

Di conseguenza, lo scontro tra lo scienziato e l’Inquisizione cattolica non  sarebbe uno scontro tra la ragione laica e la superstizione clericale, come vuole un cliché logoro e abusato: al contrario, “la Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta”[3].

La valutazione alquanto corrosiva di cui sopra è stata utilizzata dal cardinale Ratzinger, nel 1990, considerando che essa permetterebbe di alleggerire non poco le responsabilità dei suoi predecessori del Sant’Uffizio, nel mentre sembra mettere in cattiva luce la scienza galileiana: ciò spiega d’altronde il risentimento attuale di scienziati e professori universitari laici contro l’attuale papa. Ma torniamo ai contenuti essenziali del contendere: Ratzinger-Benedetto XVI è anche un sostenitore della ragione (non meno del suo predecessore), e ritiene che oggi sia particolarmente importante armonizzare o almeno far convivere ragione e fede cristiana, scienza e religione cattolica (il suo progettato intervento alla Sapienza di Roma intendeva insistere proprio su questo punto: vedi il testo del discorso previsto), anche se con inevitabili sbilanciamenti verso il versante della fede. Proprio per questo Ratzinger tende a valorizzare gli aspetti di razionalità, compatibili con la fede, presenti nella vita della Chiesa di ieri e di oggi: Feyerabend giunge a proposito, poiché offre la grande opportunità di mostrare che perfino nel frangente del processo a Galilei, era proprio la Chiesa, nel contesto dell’epoca, a stare dalla parte della ragione, molto più dello scienziato[4]!Oltre questo punto, però, l’accordo con l’anarchismo epistemologico vien meno per vari motivi; qui ci limitiamo a riassurmene due:1)      per Feyerabend, la ragione non ha tutto il valore positivo che gli attribuisce Ratzinger;2)      a differenza di Ratzinger, Feyerabend è un sostenitore radicale del pluralismo in ogni campo. 

I limiti della ragione secondo Feyerabend

Quando Feyerabend scrive che Bellarmino stava dalla parte della ragione molto più di Galilei, questa valutazione non va scambiata per un sicuro complimento e non deve essere assunta, in modo univoco, come qualcosa di assolutamente positivo: si tratta piuttosto di un’affermazione che deve essere soppesata nel contesto dell’anarchismo epistemologico, il cui principio metodologico di fondo è condensabile nella formula disarmante “qualsiasi cosa può andare bene”[5].L’avventura della scienza, secondo Feyerabend, non avanza in modo lineare e progressivo, alla luce della ragione e delle verifiche fattuali, come vorrebbero i razionalisti e gli empiristi ingenui: tra l’altro le teorie scientifiche non possono avere, di regola, un’origine logico-razionale basata su indiscutibili protocolli osservativi[6]. Occorre invece ammettere che “la scienza è molto più trascurata e irrazionale della sua immagine metodologica…Senza una frequente rinuncia alla ragione non c’è progresso. Idee che oggi formano la base stessa della scienza esistono solo perché ci furono cose come il pregiudizio, l’opinione, la passione; perché queste cose si opposero alla ragione; e perché fu loro permesso di operare a modo loro. Dobbiamo quindi concludere che, anche all’interno della scienza, la ragione non può e non dovrebbe dominare tutto e che spesso dev’essere sconfitta, o eliminata, a favore di altre istanze”[7].Galilei offre un’esemplificazione concreta di quanto sopra, e proprio per questo il testo di riferimento, Contro il metodo, si sofferma sui procedimenti messi in opera dallo scienziato pisano, procedimenti che non potevano risultare “razionali” nel contesto del sapere di sfondo di quell’epoca: infatti il punto di vista copernicano, difeso da Galilei, non poteva che entrare in urto con il modello di razionalità scientifica prevalente in quel periodo, e più in generale con le osservazioni fattuali ordinarie, che avvenivano all’interno di una visione del mondo consolidata da lungo tempo. Galilei, per affermarsi, dovette lottare, a modo suo, contro tutto questo, usando tutti i mezzi che aveva a disposizione per farsi strada: tutte le innovazioni scientifiche, all’inizio, si trovano in minoranza e in una situazione per lo più difficile e conflittuale simile a quella in cui si trovò coinvolto Galilei[8].Feyerabend commenta così: “Il punto di partenza è costituito da una forte convinzione, che contrasta con la ragione e l’esperienza contemporanee…Oggi possiamo dire che Galilei era sulla strada giusta, poiché la sua tenace ricerca di quella che un tempo sembrava una stramba cosmologia ha creato oggi i materiali necessari per difenderla contro tutti coloro che sono disposti ad accettare un’opinione solo se essa viene espressa in un certo modo eche prestano fede ad essa solo se contiene certe frasi magiche, designate come protocolli o rapporti d’osservazione. E questa non è un’eccezione, bensì il caso normale: le teorie diventano chiare e ragionevoli solo dopo che parti incoerenti di esse sono state usate per molto tempo”[9].Per farla breve, Feyerabend prende le distanze da ciò che lui chiama “ratiomania”[10] e invita ad ammettere che, perfino nell’ambito della scienza, “la ragione non può essere universale e l’irrazionalità non può essere esclusa. Questo carattere peculiare dello sviluppo della scienza costituisce un forte elemento a sostegno di un’epistemologia anarchica. Ma la scienza non è sacrosanta…E la Ragione si unisce infine alla sorte di tutti quegli altri mostri astratti come l’Obbligo, il Dovere, la Morale, la Verità…: svanisce”[11].Non si potrebbe essere più chiari: si tratta di una presa di posizione abissalmente distante dal razionalismo difeso da Ratzinger; quest’ultimo ha preso a prestito certe espressioni di Feyerabend, per mettere in evidenza la “razionalità” dei comportamenti ecclesiastici. Ma alla luce delle precisazioni di cui sopra, il valore di tale “razionalità” viene alquanto ridimensionato, a favore di istanze che si collocano al di fuori del cerchio della ragione. Se ne è accorto Ratzinger ?? Se ne sono accorti coloro che si sono avventati in una polemica, la cui effettiva portata trascende la logora contrapposizione tra laici e cattolici ?? 

Pluralismo o fondamentalismo ?

         “…il magistero romano ha orrore del pluralismo, che viene inteso soprattutto        come un’ideologia che dispera di ogni verità e che conduce al relativismo”[12]        (Claude Geffré, teologo domenicano) A differenza di Ratzinger, Feyerabend è un sostenitore del pluralismo in ogni campo[13]: innanzitutto nel campo scientifico. Si è visto infatti che il pluralismo delle teorie è indispensabile per aprire nuove prospettive, in alternativa a quelle già collaudate[14]. Secondo l’anarchismo epistemologico, “non c’è alcuna idea, per quanto antica e assurda, che non sia in grado di migliorare la nostra conoscenza” (Contro il metodo, pag. 40). E ancora:“…la conoscenza viene ottenuta da una proliferazione di opinioni anziché dalla rigorosa applicazione di una ideologia preferita” (Contro il metodo, pag. 44).“La proliferazione delle teorie è benefica per la scienza, mentre l’uniformità ne menoma il potere critico” (Contro il metodo, pag. 30).“L’unico principio che non inibisce il progresso è: qualsiasi cosa può andar bene” (Contro il metodo, pag. 21).Le nuove idee, almeno in una fase iniziale, non sono affatto “scientifiche”, e possono provenire da ogni dove, perfino dalla mitologia o dalla religione. La storia della scienza offre innumerevoli esempi al riguardo, perciò bisogna abbandonare ogni rigidità mentale e mantenersi aperti a varie possibilità, per quanto bizzarre esse possano apparire. Questo vale non solo per la scienza, ma anche per tutti gli altri ambiti e per l’intera società:“Il pluralismo delle teorie e delle concezioni metafisiche è non solo importante per la metodologia, ma è anche una parte importante di una visione umanitaria” (Contro il metodo, pag. 44).Feyerabend invita a non sopravalutare la scienza[15], come fanno i suoi tifosi: la supremazia della scienza su tutto il resto è ampiamente discutibile, ed anzi si tratta di un punto di vista che non regge fin dall’inizio, proprio perché la distinzione tra scienza e non-scienza è essa stessa discutibile, come si è accennato anche nel caso di Galilei (all’inizio, le teorie galileiane non erano affatto “scientifiche”). Si tratta di una distinzione che non ha solide fondamenta: il suo carattere è invece convenzionale e arbitrario, o come minimo storico (idee considerate scientifiche sono state poi rigettate e buttate nella pattumiera della non-scienza, e viceversa).In ogni caso, gli scienziati non possono pretendere di guidare il mondo, e vi sono società che se la sono cavata più che dignitosamente anche senza ciò che noi oggi consideriamo scienza (per molte comunità tradizionali, invece, i guai sono cominciati proprio a seguito della penetrazione della tecnoscienza occidentale, che ha preteso di sostituire i saperi indigeni):“La scienza si impose con la forza, non col ragionamento (ciò vale particolarmente nel caso delle ex colonie, nelle quali la scienza e la religione dell’amore fraterno furono introdotte come cosa ovvia, e senza consultarne gli abitanti o discutere con loro la cosa)…L’avvento della scienza moderna coincide con la soppressione di tribù non occidentali da parte di invasori occidentali” (Contro il metodo, pag. 241 e 243).“L’affermazione che non c’è conoscenza fuori della scienza – extra scientiam nulla salus – non è altro che una favola molto conveniente. Talune tribù primitive hanno classificazioni di animali e piante più particolareggiate di quelle della zoologia e botanica scientifiche contemporanee e conoscono rimedi la cui efficacia meraviglia i medici (mentre l’industria farmaceutica sta già fiutando in questo campo una nuova fonte di entrate” (Contro il metodo, pag. 249-250).Feyerabend continua la sua arringa a favore della libertà e della diversità culturale  con questa esortazione :“…liberiamo la società dalla presa soffocante di una scienza ideologicamente fossilizzata, come i nostri antenati ci hanno liberati dalla presa soffocante dell’Unica Vera Religione!” (Contro il metodo, pag. 251). 

Extra scientiam nulla salus? Extra ecclesiam nulla salus?

         “…la coscienza dei cristiani è rimasta sempre molto segnata dalla forza e dalla        seduzione del tradizionale assioma extra ecclesiam nulla salus…I documenti         del magistero ecclesiale cattolico romano e della teologia che li sostiene sono        ancora profondamente segnati dalla presenza di un linguaggio offensivo e         deleterio rispetto alle altre tradizioni religiose”[16]        (Faustino Teixeira, teologo brasiliano) 

Feyerabend ridicolizza pretese del genere, che appartengono entrambe ad una mentalità ristretta e prevaricatrice, ostile al pluralismo[17]. Egli denuncia qualsiasi forma di chiusura fondamentalista: e se le sue invettive prendono di mira maggiormente la scienza rispetto alla religione, è solo perché nell’epoca contemporanea, almeno in Occidente, il fondamentalismo scientifico gli risulta ancora più pericoloso, potente e attuale di quello religioso[18]. Quest’ultimo, per dirla con E. Severino, sarebbe stato soppiantato dal potere tecnico-scientifico, in irrefrenabile ascesa, in quanto rappresenta “la tendenza fondamentale del nostro tempo”[19].

Il conflitto tra questi fondamentalismi è sempre possibile, e l’episodio movimentato dell’Università La Sapienza è lì a ricordarcelo: molte polemiche emerse in quel contesto sono espressione di tali fondamentalismi, mettendo in mostra argomenti di non elevata qualità, per sostenere una parte o l’altra: come se fosse obbligatorio collocarsi di qua o di là, come se il diritto di scelta non potesse trascendere lo spazio ristretto disegnato dagli opposti schieramenti.

La riflessione che abbiamo proposto ha proprio lo scopo di smarcarsi da tale contrapposizione, dischiudendo una prospettiva molto più ampia, in nome della non-dualità, o se vogliamo, più semplicemente, in nome del pluralismo nella scienza, nella spiritualità, nella cultura in generale (e questo è quanto auspicava anche Feyerabend).

A questo riguardo, sono ben note le posizioni monolitiche di Ratzinger, il quale in più occasioni ha sostenuto l’equazione pluralismo – relativismo – nichilismo – perdita dei valori, suscitando commenti e reazioni di vario genere[20].

L’equiparazione di pluralismo e nichilismo è tipica di chi ritiene che la verità sia comprimibile all’interno di un unico punto di vista, che quindi viene assolutizzato  e trasformato in un dogma fideistico: ragionando in quest’ottica pretenziosa, tutti gli altri angoli visuali vengono delegittimati in quanto depauperati di verità, e i loro sostenitori vengono quindi additati come relativisti-nichilisti che rifiutano di ubbidire alla verità assoluta, di cui qualcuno sarebbe il depositario !

En passant, dobbiamo ricordare che questa posizione fondamentalista (di cui esistono molte versioni, religiose e non), non appartiene all’antica tradizione greco-italica, per non dire mediterranea: infatti se consideriamo quest’ultima nelle sue espressioni più elevate, scopriamo il ripudio radicale di qulsiasi forma di fondamentalismo, proprio perché si esclude a priori che la verità totale, o se vogliamo il divino o l’assoluto, siano circoscrivibili e catturabili in dogmi, concetti razionali o formule teologiche…In alternativa, si insegna che l’intelletto deve mantenere uno stile  di apertura costante verso la verità infinita, che può essere avvicinata (non imprigionata) percorrendo sentieri diversi, che corrispondono alla diversità dei contesti umani. Il multiculturalismo dell’età greco-romana, per quanto imperfetto, esemplifica abbastanza bene l’atteggiamento di fondo di una civiltà basata su un approccio non fondamentalista, in quanto orientata, almeno in parte, da una saggezza non-duale aperta al pluralismo senza cadere nel nichilismo. Si tratta di una saggezza che ha trovato espressione nelle grandi correnti spirituali dell’antichità, e soprattutto nel Neoplatonismo: a questo riguardo, certe opere di Proclo assumono un valore paradigmatico, poiché rappresentano molto bene lo spirito dell’epoca nei suoi aspetti migliori. Non a caso le nozioni sopra citate in modo cursorio sono discusse per esteso e ripetute innumerevoli volte negli scritti di Proclo e di altri autori tradizionali, che solo per questo meriterebbero una attenta riconsiderazione: si tratta infatti di grandi insegnamenti dal valore perenne, adattabili anche al nostro tempo.

Ciò detto, lungi da noi l’intenzione di presentare il mondo cristiano attuale come se fosse monopolizzato da propensioni fondamentaliste (che vi sono anche in altre religioni): in aggiunta emergono ben altre componenti che rifiutano le semplificazioni fondamentaliste e che prendono molto sul serio la questione del pluralismo in generale (dentro e fuori la Chiesa); per inciso, si tratta di quelle componenti della cristianità che Ratzinger combatte con ostinazione non da oggi, ma da quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede…Ricordiamo di passaggio che l’Istruzione Dominus Jesus è stata voluta dal cardinale Ratzinger proprio per contrastare le aperture pluralistiche[21] all’interno del mondo cattolico (e cristiano più in generale), aperture caldeggiate soprattutto dai teologi della liberazione in America latina e dai teologi del pluralismo religioso in Asia[22] (in Europa queste presenze sono numericamente meno rilevanti, anche se non mancano esponenti di spicco di questo cristianesimo aperto)[23].

Molti di questi, proprio per dare maggiore visibilità (e protezione) alle tesi cristiane incentrate sul pluralismo e sulla liberazione, e per favorire il confronto delle idee, a suo tempo si sono coordinati in una associazione internazionale, ASETT (Associazione Teologi-Teologhe del 3° mondo). Uno degli scopi, è quello di testimoniare la bontà del cristianesimo (ma non solo) quale sistema aperto, evitando il rischio delle chiusure autoritarie che lo trasformerebbero in un incubo, come osserva Leonardo Boff[24]. Si tratta di pensatori e testimoni del nostro tempo, che in questi decenni stanno offrendo contributi notevoli in vista di una civiltà pacifica e conviviale. Il loro apporto in favore del pluralismo in campo religioso si integra con quello di Feyerabend, rivolto principalmente all’ambito epistemologico-scientifico. Naturalmente, le premesse di partenza e le argomentazioni di fondo sono molto differenti, ma convergono nell’intento di valorizzare le diversità culturali come una grande risorsa di civiltà, invece di ostacolarle. La teologia pluralista della liberazione, in particolare, ha il merito di considerare l’evento del pluralismo non come una sopravvenuta scocciatura di cui la teologia cristiana è obbligata dalle circostanze ad occuparsi, ma addirittura come “un segno dei tempi”, “al punto da disegnarsi come nuovo paradigma”, alla luce del quale rivisitare il cristianesimo e le altre religioni, “superando l’unicità, l’universalismo e l’assolutismo del pensiero tradizionale”, in nome della “biodiversità culturale e religiosa”[25].

Giunti a questo punto, il problema di fondo diventa quello di individuare un’ampia base comune nella quale ospitare e armonizzare le variegate sensibilità religiose, scientifiche, culturali ecc., invece di incitare all'assimilazione, alla conversione o ai conflitti di civiltà.

Noi vediamo in questo impegno intellettuale e morale la prova di un grande atto di rispetto verso le innumerevoli culture planetarie di ieri e di oggi, e di responsabilità verso una delle maggiori emergenze del nostro tempo.

 

                                                                                      Paolo Scroccaro

 


[1] Il brano “incriminato”, che si trova a pag. 206 della versione tedesca (1976) di Contro il metodo, recita così: “La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione”. Per il contesto dell’esposizione, vedi anche il Corriere della Sera del 25 gennaio 2008: Feyerabend e Galileo:il testo mai letto in Italia. Nello stesso quotidiano, vi è pure il commento di Giulio Giorello, intitolato L’affaire Sapienza lo avrebbe divertito.

[2] P. K. Feyerabend, Contro il metodo.Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza. Feltrinelli, 1979. D’ora in poi faremo riferimento esclusivamente a questa edizione.

[3] Vedi nota 1. Su questo tema, desta qualche meraviglia la posizione di Massimo Fini, che si dichiara “non cattolico, non cristiano, non religioso”. Sorprendentemente, egli prende le difese del cardinale Bellarmino contro Galilei, poiché “Bellarmino ha avuto ragione e Galilei  torto”. Fini osserva che la concezione eliocentrica non era una novità introdotta da Copernico e ripresa da Galilei, “perché la cosa era nota fin dai tempi di Pitagora e Filolao”. Ciò nonostante, secondo Fini Bellarmino aveva ragione nel pretendere che Galilei presentasse la dottrina copernicana nella forma dell’ipotesi, e non come certezza, per non turbare le convinzioni di fondo dell’epoca. Galilei non ubbidì e venne costretto ad abiurare le sue tesi, poiché erano in urto con le idee ancora predominanti nel XVII secolo, cioè con il modello di razionalità all’epoca prevalente (vedi Perché Galileo Galilei pur avendo ragione aveva torto, di Massimo Fini, ne Il gazzettino del 18 gennaio 2008).

La domanda che occorre porre è questa: forse che, secondo Fini, il paradigma dominante ha il diritto di neutralizzare e punire le voci discordanti?

[4] Tesi simili sono riportate anche nel testo di Vittorio Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana. Ed. Paoline, 1992. In sovrappiù Messori, pur di screditare Galilei, insiste anche su vari aspetti discutibili della vita privata dello scienziato.

Anche Franco Cardini, in un recente intervento (21e33.blogspot.com) cerca di giustificare la condanna di Galilei, e la posizione in merito di Ratzinger, scrivendo che “Papa Ratzinger non sostiene alcuna tesi passatista o antiscientifica…si limita a tutelare la correttezza giuridica ed etica del verdetto emesso allora, secondo le regole e nell’ambito del codice giuridico, ecclesiale e scientifico del tempo”.

A Cardini, occorre chiedere: dunque anche le condanne a morte di Giordano Bruno e di altri dissenzienti risultano corrette, poiché ubbidivano ai codici ecclesiastici e giuridici dell’epoca? Non è che invece fossero orribili tali codici ? Tornando a Galilei: né la sua vita privata, né la debolezza (vera o presunta) delle sue argomentazioni scientifiche, rispetto al sapere consolidato dell’epoca, possono fungere come alibi per giustificare l’operato dell’Inquisizione contro la ricerca galileiana. Se invece vogliamo trovare argomenti più seri per individuare i limiti (e gli eventuali pericoli) del modello galileiano di scientificità, e soprattutto delle sue ricadute nei secoli successivi, validi riferimenti si possono trovare, per esempio, in E. Severino e F. Capra. Severino, in La filosofia moderna (Rizzoli), mette in evidenza che Galilei contribuisce ad un paradigma scientifico orientato non alla contemplazione della natura, ma al dissezionamento di essa in vista del dominio tecnico-scientifico. F. Capra, sostenitore di una concezione olistica e sistemica della scienza, in vari suoi testi (vedi per es. Il punto di svolta, Feltrinelli) descrive i limiti antiecologici del paradigma meccanicistico (cui appartiene lo stesso Galilei), responsabile di svalorizzare la natura in vista della sua manipolazione. Se si vuole criticare Galilei, ci sembra molto più sensato e costruttivo farlo a partire da considerazioni di questo genere.

[5] Vedi Contro il metodo, pag. 25.

[6] Ciò è ammesso anche dai razionalisti critici alla Popper: egli chiarisce bene che non si può ricavare dai fatti, tramite un procedimento logico-razionale, nuove teorie scientifiche; questo per la precarietà della base empirica e  per l’impossibilità di una logica induttiva, tema ampiamente discusso nelle sue opere. “…il mio modo di vedere la cosa è che non esista nessun metodo logico per avere nuove idee, e nessuna ricostruzione logica di questo processo. Il mio punto di vista si può esprimere dicendo che ogni scoperta contiene un elemento irrazionale o un’intuizione creativa nel senso di Bergson” (K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, 1970, pag. 11). Subito dopo, a sostegno di questa tesi egli cita anche A. Einstein.

Per farla breve, si può concludere così: le nuove teorie non possono che avere origini variegate e imprevedibili (per esempio l’intuizione) che eccedono in ogni caso l’ambito della ragione.

Sul confronto Feyerabend-Popper, vedi, di Mario Cenedese, l’articolo intitolato P.K.Feyerabend: il problema del metodo in Kuhn e Popper (in www.filosofiatv.org, settore Storia della filosofia).

[7] Contro il metodo, pag. 146.

[8] Feyerabend invita a considerare che “nessuna teoria è sempre in accordo con tutti i fatti compresi nel suo campo, ma non sempre la colpa è della teoria. I fatti sono costituiti da ideologie anteriori, e un conflitto tra fatti e teorie può essere una prova di progresso” (Contro il metodo, pag. 46). Di seguito, propone questo esempio: “Il modello atomico di Bohr fu introdotto, e conservato, nonostante l’esistenza di precisi e incontestabili fatti di esperienza contrari” (pag. 47).

[9] Contro il metodo, pag. 24. A pag. 143, l’autore argomenta anche così: “Le teorie che riescono a rovesciare un punto di vista generale e ben radicato e lo soppiantano sono ristrette inizialmente a un ambito di fatti abbastanza limitato, a una serie di fenomeni paradigmatici che le sostengono e che solo lentamente vengono estesi in altre aree”.

[10] Vedi Contro il metodo, pag. 139.

[11] Contro il metodo, pag. 147.

[12] C. Geffré, La crisi dell’identità cristiana nell’era del pluralismo religioso (in Concilium n. 3 / 2005, pag. 31).

[13] Sul tema, vedi P.K.Feyerabend:critica alle scienze e pluralismo interculturale, di Mario Cenedese (in www.filosofiatv.org, nel settore Intercultura).

[14] Feyerabend sostiene l’importanza del pluralismo in modo radicale, e lo dimostra una volta di più quando si spinge a criticare perfino il suo collega Thomas Kuhn, il noto teorico delle rivoluzioni scientifiche come cambiamento di paradigma. “Secondo Kuhn la scienza matura è una successione di periodi normali e di rivoluzioni. I periodi normali sono monistici; gli scienziati cercano di risolvere i rompicapo conseguenti ai tentativi di vedere il mondo nei termini di un unico paradigma. Le rivoluzioni sono pluralistiche finché emerge un nuovo paradigma, che ottiene sufficiente appoggio da poter servire come base per un nuovo periodo normale” (Consolazioni per lo specialista, in AAVV, Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, 1980, pag. 292). Dopo aver descritto il punto di vista di Kuhn, Feyerabend osserva che in realtà “la proliferazione, non solo precede immediatamente le rivoluzioni, ma è sempre presente. La scienza, come sappiamo, non è una successione temporale di periodi normali e di periodi di proliferazione; è semmai la loro giustapposizione” (pag. 292).

Altrove, egli chiede: “Ora, se la scienza normale è de facto così monolitica come Kuhn la dipinge, da dove provengono le due teorie in competizione?” (pag. 286-287).

[15] Anche Massimo Fini, nell’intervento che abbiamo già citato, invita a ridimensionare la scienza, e in questo contesto prende le difese della Chiesa di Bellarmino contro Galilei, adducendo un’ulteriore motivazione: Galilei auspicava un sapere capace di conoscere le strutture ontologiche del mondo, al pari di Dio; Bellarmino e la Chiesa ebbero il merito di contrastare questa tracotanza pericolosa per il futuro dell’umanità, poiché conservavano il senso del limite ereditato dai Greci!

In proposito, si deve osservare quanto segue: è stata la Chiesa (con altre componenti della cristianità, vedi calvinismo) a legittimare una lettura antropocentrica dei testi sacri, valorizzando così anche la scienza e la tecnica come mezzi che garantiscono all’uomo un miglior dominio sul mondo. Si tratta di una posizione riaffermata anche negli ultimi anni, e Benedetto XVI è un pervicace sostenitore di questa tesi: la Chiesa romana e la scienza laica in realtà convergono nel celebrare la tecnoscienza come strumento a disposizione dell’uomo per controllare e addomesticare la natura. E finché tale potere è stato esercitato sul mondo non-umano, tutto è filato via liscio, in nome del comune antropocentrismo. La Chiesa romana ha cominciato a protestare quando anche l’uomo è stato travolto, suo malgrado, dalla volontà di potenza della tecnoscienza, che aveva già colpito impunemente tutti gli altri esseri. Questa protesta tardiva è una riaffermazione ulteriore del punto di vista antropocentrico, e non significa affatto che la Chiesa coltivi il senso del limite al modo dei filosofi greci: questi ultimi erano in grado di praticarlo poiché vivevano all’interno di una dimensione cosmocentrica, che proprio la Chiesa romana ha contribuito a dissolvere, aprendo così la via al dominio della scienza e della tecnica.

[16] F. Teixeira, Il pluralismo religioso come nuovo paradigma per le religioni (in Concilium n. 1 / 2007, pag. 33).

[17] Feyerabend rivisita il conflitto tra Galilei e la Chiesa, ridimensionando le responsabilità di quest’ultima, che nel fatto specifico sarebbero state dilatate ad arte dagli agenti del nuovo fondamentalismo scientifico, molto meno sensibili verso altre e peggiori malefatte ecclesiastiche. Si tratta di una posizione “particolarmente ingiusta nei confronti di Giordano Bruno, che fu mandato al rogo, ma che gli intellettuali di formazione scientifica preferiscono dimenticare” (vedi Corriere della Sera del 25 gennaio 2008, Feyerabend e Galileo:il testo mai letto in Italia, di P.Feyerabend).

[18] “Qualsiasi critica al rigore della Chiesa romana è valida anche nei confronti dei suoi moderni successori che hanno a che fare con la scienza”: così scrive Feyerabend, nel prendere le distanze dai due fondamentalismi (vedi Corriere della Sera del 25 gennaio 2008, come sopra).

[19] Uno dei testi di Emanuele Severino è infatti intitolato La tendenza fondamentale del nostro tempo (Adelphi, 1988). La tendenza fondamentale è quella per cui gli strumenti più potenti di cui l’uomo dispone (scienza, tecnica) da mezzi che erano si trasformano in scopi, assorbendo così tutte le principali energie della società. Infatti l’apparato tecnico-scientifico, in quanto scopo supremo che vuole potenziarsi ed espandersi illimitatamente, deve piegare alle sue esigenze tutto il resto. In riferimento a questo movimento essenziale del nostro tempo, Severino scrive: “Senza un sistema giuridico, economico, politico, burocratico, scolastico, finanziario, urbanistico, sanitario sufficientemente sviluppati, gli strumenti più potenti della tecnologia fisico-matematica non potrebbero funzionare un solo istante…La scienza e la tecnologia scientifica si integrano dunque a quell’insieme di sistemi che rendono possibile il funzionamento degli strumenti portati alla luce dal sistema scientifico-tecnologico” (pag. 39-40).

A pag. 46, Severino descrive la superiorità del fondamentalismo scientifico su quello religioso(o comunque ideologico) in questi termini: “Ma non vi è alcun sintomo che l’amore cristiano (o qualsiasi altra forma di volontà di potenza) si accinga a sostituire la ragione scientifica nella guida del mondo. Sta piuttosto accadendo il contrario: nel sistema capitalistico e in quello socialista l’organizzazione ideologica dell’esistenza lascia sempre di più il passo alla sua organizzazione scientifico-tecnologica…Questa è la fondamentale tendenza in atto oggi sulla terra”.

[20] Tra le reazioni, citiamo quella di Umberto Eco, pubblicata nel quotidiano La Repubblica del 10 e 11 luglio 2007; la prima parte è intitolata Assoluto una storia infinita,, mentre la seconda porta il titolo Ratzinger e le verità relative. Si tratta di un intervento alquanto sostanzioso e impegnativo, che nonostante alcune cadute di tono ha il merito di focalizzare egregiamente alcuni nodi problematici, per cui meriterebbe una riflessione a parte. Ci limitiamo ad osservare che l’elaborazione di U. Eco manca dei necessari riferimenti alla metafisica della non-dualità (e alla concezione “ospitale” del divino di cui essa è portatrice). Si tratta di riferimenti indispensabili per assicurare sviluppi più elevati ad una riflessione incentrata sui temi anche oggi fondamentali della verità, del pluralismo e del relativismo.

[21] La Dichiarazione Dominus Jesus risale al 2000, e subito dopo la sua approvazione è stata utilizzata da Ratzinger per meglio contrastare le correnti teologiche favorevoli a un dialogo interreligioso e interculturale effettivo, capace di superare le pretese esclusiviste della gerarchia romana. La “Notificazione” che ha colpito il gesuita Jacques Dupuis nel 2001 offre al riguardo una lampante esemplificazione. Ratzinger se la prende con un ottimo testo di padre Dupuis, intitolato Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (Ed. Queriniana, per i lettori italiani). Si tratta di un trattato teologico notevole, che ha il grande merito di focalizzare il tema del pluralismo in chiave cristiana, cercando risposte non banali adatte al nostro tempo e all'attuale contesto multireligioso. Ma sono proprio gli aspetti più profondi e più interessanti di questo trattato ad essere messi all’indice. Il tenore dei rimproveri a Dupuis rivela molto bene quanto sia unilaterale e ristretto il punto di vista della Chiesa romana:

“Deve essere fermamente creduto che Gesù Cristo…è l’unico e universale mediatore della salvezza di tutta l’umanità”.

“E’ quindi contrario alla fede cattolica ritenere che l’azione salvifica dello Spirito Santo si possa estendere oltre l’unica economia salvifica universale del Verbo incarnato”.

“E’ contrario alla fede cattolica considerare le varie religioni del mondo come vie complementari alla Chiesa in ordine alla salvezza….anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori che riguardano le verità fondamentali su Dio, l’uomo e il mondo”.

La Notificazione è firmata da Ratzinger e Tarcisio Bertone, all’epoca rispettivamente Prefetto e Segretario della Congregazione per la Dottrina della fede. Inoltre porta l’approvazione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II.

[22] La Congregazione per la Dottrina della fede ha preso di mira i teologi sostenitori delle aperture pluralistiche, e nello stesso tempo portatori di una sensibilità non retorica, non di facciata, verso i temi della giustizia sociale, specie nei paesi poveri. Le Notificazioni ufficiali della Congregazione hanno colpito, oltre al sopra citato Dupuis, illustri teologi quali: Jon Sobrino (nel 2007), Roger Haight (2004), Tissa Balasurya (1997), Leonardo Boff (1985), Hans Küng (1980)…..In varie altre occasioni, la Congregazione è intervenuta in modo indiretto, cioè attraverso le conferenze nazionali dei vescovi, o attraverso gli ordini religiosi di appartenenza, esercitando le dovute pressioni in nome della difesa della dogmatica romana.

[23] In Europa, un teologo “moderato” come il domenicano Claude Geffré, molto rispettoso nei confronti di Roma, ha messo a fuoco l’importanza ineludibile del pluralismo e quindi la necessità di una maggiore apertura ad esso in questi termini: “Le nostre società postmoderne si pongono sotto il segno del pluralismo, di culture e filosofie…E suggerisco appunto, per descrivere il fenomeno, l’icona di Babele: che, come confusione delle lingue, rappresenta una maledizione, ma in quanto riconoscimento della necessaria pluralità delle lingue, così come delle culture e delle religioni, è sicuramente una benedizione corrispondente a un misterioso e sapiente disegno di Dio”. Poco oltre aggiunge questo significativo commento: “…ci troviamo all