Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ogni uomo meriterebbe di essere amato per ciò che di autenticamente divino c'è in lui

Ogni uomo meriterebbe di essere amato per ciò che di autenticamente divino c'è in lui

di Francesco Lamendola - 04/05/2009


Gli esseri umani - l'esperienza quotidiana ce lo mostra chiaramente - non sono tutti amabili; anzi, sono molti quelli che non riescono ad ispirare se non ripulsa o, nel migliore dei casi, una sovrana indifferenza.
Eppure ogni singolo essere umano sarebbe meritevole di attenzione, di simpatia, di amore e perfino di venerazione: non per quello che egli effettivamente è, ma per quello che potrebbe essere e, più ancora, per quel fondo divino che giace, magari in penombra, sotto chissà quante scorie e materiali di minor pregio.
Si sarà osservato, d'altra parte, che nel fenomeno amoroso accade che l'amante trovi incantevoli alcuni aspetti della persona amata, i quali, obiettivamente, non presentano nulla di straordinario o, addirittura, possono essere qualificati come difetti: un certo particolare del corpo, un certo modo di gestire o di sorridere.
Le persone dotate di un temperamento particolarmente romantico e appassionato possono arrivare a trovare belli non solo i difetti, ma perfino i lati sgradevoli o quelli che, per chiunque altro, sarebbero tali: l'odore del sudore corporeo, ad esempio; e insomma, per dirla tutta, quando si è perdutamente innamorasti di qualcuno, si troverebbe qualche cosa di gentile persino nei suoi rifiuti o nei suoi momenti di umor nero.
Che cosa significa ciò?
A una analisi superficiale, questa è semplicemente la prova del fatto che l'amore passionale è un totale ottenebramento della lucidità razionale e che rende ridicolo o patetico, a seconda dei casi, colui che venga afferrato e trascinato nel suo vortice. Ma siamo sicuri che non vi sia anche un altro significato, più sottile e profondo, e molto più carico di significati seri, di quanto non appaia a prima vista?
Potrebbe voler dire, per esempio, che l'amore ha l'effetto di mettere l'amante su una diversa lunghezza d'onda, di trasportarlo sopra un diverso piano di realtà, ove comincia a svelarsi - e sia pure senza che egli ne abbia piena consapevolezza - il grande arcano del mondo: che ogni essere umano reca impressa, «ab origine», la sua natura divina e la sua comunanza segreta con l'Essere; e che ogni essere umano, di conseguenza, sarebbe di per se stesso degno di infinito amore e persino di venerazione, indipendentemente dai suoi limiti e malgrado tutti i suoi difetti, non perché egli li possa controbilanciare con altrettanti, eventuali pregi, ma perché il suo pregio fondamentale, per dir così, è quello di essere un'immagine vivente, per quanto deformata e inadeguata, di quell'Essere perfetto dal quale tutto proviene.
In altri termini, quella sorta di dolce follia che induce l'amante a trovare degni di infinita ammirazione anche gli aspetti più comuni, e forse più meschini, della persona amata, lungi dall'essere solo e unicamente un ottenebramento della ragione, può essere vista come un riflesso, sbiadito e quasi irriconoscibile, ma pur sempre autentico, di quell'altra dolcissima follia, che è poi la suprema forma di saggezza, secondo la quale noi non possiamo sottrarci a un sentimento di ebbrezza riconoscente e di festosa adorazione davanti al mistero dell'Essere, che trasfigura le cose in una luce di infinita bellezza e che le nobilita con il suo Amore, in modo tale da renderle tutte, di per sé, amabili, pur che noi sappiamo riconoscere quella bellezza e inginocchiarci davanti a quella incommensurabile amabilità.

Ha scritto Suzanne Lilar nel suo libro «L'amore. Storia e problematica» (titolo originale: «Le couple», Éditions Bernard Grasset, 1963; traduzione italiana di Gianni Montagna, Brescia, Paideia, 1967, pp. 214-217):

«Sì, possiamo adorare una smorfia, una ruga, un leggero strabismo in un viso definito d'altronde incomparabile ("un amante, dice Molière, ama persino i difetti delle persone che ama"); si può amare una disgrazia nella grazia (è tuttavia raro che si ami un essere totalmente sgraziato), ed è anche a questo punto d'incontro col singolare che l'attività DISINGOLARIZZANTE dell'amore si farà sentire nel modo più acuto. È il PARADOSSO DEMONICO. E su che potrebbe esercitarsi un'attività unitiva se non sulla molteplicità ed il particolare? Questo è tanto vero che abbiamo visto la mistica religiosa impegnarsi nella stessa procedura. La maggior parte degli spirituali prendono come punto di partenza della loro preghiera un particolare concreto. San Francesco di Sales insegna che l'anima innamorata di Dio si cerca e si sceglie dei motivi d'amore. Essa li TIRA A SÉ prima di assaporarli. Cercare, scegliere, tirare a sé significa lasciar cadere  il resto. Significa sottomettere ciò che si ama a una vera attività critica. Tuttavia l'amore sceglie soltanto per meglio adorare. Ora, tutto ciò che è di Dio, per definizione, è adorabile e sacro. Solo l'amore umano divinizza e consacra.

Ne risulta una relazione da stabilire tra la persona e il divino, il profano e il sacro. Trattenendo nel suo crivello alcuni particolari per la loro esemplarità ed altri per la loro singolarità, l'amore non fa altro che ricavare i due termini di questa relazione. È probabile che ciò che c'era in lui di più indiscutibilmente adorabile, Alessandra di Rudinì Carlotti si fosse messa ad adorare anche qualche particolarità d'intonazione o di portamento; il modo, poniamo, di tenere la spalla destra più bassa dell'altra o la cicatrice che aveva alla palpebra, l'odore della sua acqua di colonia, o qualsiasi altra cosa incredibilmente profana e personale, ma il cui compito e la cui caratteristica fosse di rappresentare la singolarità del poeta chiaramente - benché simbolicamente - quanto un distintivo o una bandiera. In modo che, fondandosi su questo particolare, l'attività divinizzante potesse rassicurarsi ad ogni istante SULL'INTEGRAZIONE DELLA PERSONA. Il vero oggetto delle consacrazioni amorose è di mettere a nudo questo apparentamento divino e di assaporarlo, nel senso mistico.
Raramente condotta a termine, questa esumazione appare come uno dei compiti più ammirevoli dell'amore. Perché, una volta raggiunta, non ci sono più "illusioni dell'amore", non c'è più inganno sul suo oggetto. La persona è realmente sacra nella misura in cui lascia trasparire il sacro.
C'è impostura soltanto se si distrae l'attenzione da questa trasparenza, se ci s'invischia in una adulazione beata della persona invece di venerare in essa "la scintilla divina" che attesta la sua filiazione. Qui è tutta la differenza dall'amore chiuso all'amore aperto. E nulla c'è da obiettare contro questa cernita alla quale procede l'amore, contro questo partito preso di trattenere l'uno e dimenticare l'altro, perché esso non fa che rimediare - fugacemente e nella misura del possibile - al disordine, non fa che sottrarre IDEALMENTE, mentalmente, la persona alla mescolanza, all'impurità adamica; si applica solo a restaurarla nella sua dignità originale, a risollevarla dalla CADUTA, dalla decadenza che consiste per l'anima nell'essersi allontanata dall'Uno per costituirsi dualità.
Così la generosità dell'amore, invece di ingannare e di lusingare, fa giustizia; la parzialità amorosa, lungi dall'esser cieca, penetra l'apparenza.
In verità, ogni essere meriterebbe, una volta almeno, di essere così guardato, amato, venerato, in ciò che ha di autenticamente divino. E ogni essere vi è chiamato. È chiaro, infatti, che non sono i più belli e neppure i più giovani che, in quest'ottica di discriminazione, offro o all'amore la sua più bella stoffa, ma le nature ricche, i "temperamenti", i corpi e le anime dotati di una bella vitalità. Talvolta scoraggianti, le bellezze perfette, come le anime votate alla bonaccia, offrono poca presa all'attività amorosa, non lasciandole niente da fare. Scoraggianti anche i copri e le anime sgraziati che danno troppo da fare. Già Platone - nonostante il fanatismo greco della bellezza corporea - considerava superiore di un grado all'amore di un bel corpo quello di una "gentile anima in un corpo il cui fiore è senza splendore". Per piacere ad uno solo e profondamente, per risvegliare in lui un'attenzione appassionata, occorrono fortunatamente meno attrattive fisiche che per piacere ad una moltitudine e superficialmente. La nostra concezione bastarda, sviata dall'erotismo, ha sopravvalutato l'importanza dei fattori fisiologici e delle tecniche di seduzione. Si tratta, per l'uomo, di una regressione verso la meccanica sessuale e l'erotismo animale. L'evoluzione dell'erotismo umano può avvenire soltanto nel senso di una presa di coscienza sempre maggiore. È una lunga dilucidazione dello spirito. Ma una tale PURIFICAZIONE non si rassegna alla brevità del desiderio; vuole la lunga, l'infinita pazienza del vero amore. Tute le astuzie dell'erotismo moderno - che è già, mi sembra, l'erotismo di ieri - rimangono inoperanti a soddisfare la nostra vera sete che è spirituale. E la più bella, la più seducente, la più desiderata delle donne può morire - solitaria come un cane abbandonato - per la mancanza di un po' di quell'amore che il nostro mondo sdegna e che può sottrarre miracolosamente l'essere più sfortunato al suo decadimento per stabilirlo in una dignità incomparabile.»

Dunque, l'amore che si riversa ciecamente su un particolare della persona amata, nonché sui suoi stessi difetti, proprio perché parte di quella persona che è oggetto di un amore illimitato, non deve essere visto come un errore o un traviamento dal retto sentiero dell'amore; bensì come un felice errore, che consente di riscoprire, attraverso ciò che è particolare e, in apparenza, insignificante, la radicale significanza della persona umana, il suo essere cifra e nostalgia della luminosa pienezza dell'Essere.
Nulla, infatti, è insignificante di ciò che deriva dall'Essere; e, poiché tutte le creature umane - così come, del resto, tutti gli altri enti, in mezzo ai quali esse si muovono - discendono dalla sua inesauribile sorgente, ne consegue che ciascuna di loro, anche la più misera e negletta, è degna di amore illimitato, in un senso più profondo di quanto non credano coloro i quali giudicano un oggetto amabile solo in base al possesso di requisiti oggettivi.
Ecco perché le filosofie realiste e materialiste fanno torto all'amore: infatti, esse fanno torto all'uomo, presentandolo solo e unicamente sotto le specie della contingenza e della limitatezza. Ma in ogni essere umano vi è molto di più di quanto le filosofie materialiste di Machiavelli, Darwin, Freud, abbiano mai sospettato; vi è molto di più di quanto possa sospettare perfino l'innamorato, nei suoi slanci di maggiore abbandono.
L'essere umano è degno di amore per il fatto che reca in se stesso il riflesso di una bellezza che non è peritura, perché la sua patria non è di questo mondo; e che, se talvolta traluce debolmente in un gesto, un sorriso, una parola, nondimeno costituisce un tesoro pressoché sconosciuto; tanto è vero che perfino l'innamorato tende a focalizzare la sua adorazione su dei singoli particolari dell'amato, senza presentire quanto di realmente grande vi è in essi, vale a dire la dimensione dell'assoluto e dell'eterno.
La stessa cosa vale per le piante, gli animali, i fiumi, le montagne, i mari e i corpi celesti: per quanto grande possa essere la loro bellezza (che, peraltro, sono ormai in pochi a saper vedere); per quanto struggente sia lo spettacolo che essi offrono ai sensi, e il mistero della loro armonia e della loro perfezione; resta però il fatto che ci sfugge, in genere, la vera ragione per cui dovremmo porci, davanti a loro, in uno stato d'infinita adorazione e d'infinita gratitudine: ossia la loro capacità di esprimere, anche nelle forme più semplici, la sublime perfezione, la stupenda ricchezza e la perfetta funzionalità di ciò che scaturisce dall'Essere e che ne riflette la magnificenza senza pari.
Vi è una suprema, intima armonia, che non risiede in questo o in quell'ente, né, tanto meno, in questo o in quell'aspetto di un singolo ente, e fosse pure il più bello e il più amabile degli enti; ma che si coglie nell'insieme della realtà manifestata, così come la maestria dei singoli musicisti può essere colta solo udendo, tutte insieme, le note e le pause di una grande orchestra, formata da centinaia di strumenti.
Quello che a noi è dato, è di saper cogliere quella armonia diffusa - tanto vasta da non poterla abbracciare, per così dire, in un unico istante - attraverso la  bellezza di una singola parte, di un singolo particolare; come la formica non potrebbe farsi un'idea del mare, se non attraverso il prodigio di una goccia d'acqua formata dalla rugiada su una fogliolina di acacia.
Noi siamo nella stessa condizione di quella formica: non possiamo cogliere l'armonia dell'insieme, ma possiamo specchiarci in quella gocciolina iridescente.
Scopriremo, allora, che il mare è infinitamente bello, perché lo è ogni singola gocciolina d'acqua; e che ogni singolo essere umano è infinitamente amabile, perché brilla in esso, magari nascosto e occultato, un raggio della luce eterna e infinita dell'Essere.