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Il delitto non invecchia

di Dagoberto Husayn Bellucci - 04/05/2009


"Ultimamente sei tu a decidere la strada
Io resto dietro di te
raccolgo i sassi rotondi in una scatola quadrata, ho un passatempo inutile
Sinceramente da un po’ si vive alla giornata
non posso dire di no
usciamo fuori dal quartiere una volta al mese solo di sabato
ma pensa che coincidenza...
Chiedi un autografo all’assassino
guarda il colpevole da vicino
e approfitta finché resta dov’é
toccagli la gamba fagli una domanda
cattiva, spietata
con il foro di entrata, senza visto di uscita
E’ stato lui, io lo so
non credo alla campana degli
innocentisti perchè
anticamente ero io un centurione con la spada e non lo posso difendere
Mi ricordo quando ci fu Galileo e Giovanna D’Arco
ero presente in piazza,
provavo immenso piacere
mi sentivo bene a vedere come si muore,
sono di un’altra razza
Chiedi un autografo all’assassino
guarda il colpevole da vicino
e approfitta finche’ resta dov’é
toccagli la gamba fagli una domanda, ancora
chiedi un autografo all’assassino
chiedigli il poster e l’adesivo
e approfitta finche’ resta dov’è
toccagli la gamba
fagli una domanda
cattiva
spietata
è la mia curiosità impregnata
di pioggia televisiva
comincia un’altra partita...."

( Samuele Bersani - "Cattiva" - album "Caramella smog" - 2003 )

 

C'era una volta.... non è l'inizio di una 'fiaba' ...semplicemente il 'ricordo' 'vola' ad un'altra 'epoca', 'apparentemente' lontana anni-luce dall'attuale, nella quale ci siamo dilettati con la lettura di qualche ottimo classico d'autore della letteratura poliziesca... i 'gialli' Mondadori hanno 'scandito' - assieme alla "Settimana Enigmistica" e alla "Selezione del Reader's Digest" (...si ...proprio il 'bollettino' filo-sionista "made in Usa"...) ... arrivavano a domicilio con una 'tempistica' perfetta...altri 'tempi' ...oggi neanche l'abbonamento 'garantisce' tempi 'conformi' di spedizione e soprattutto di arrivo a destinazione - un 'tempo' della nostra 'adolescenza'...era l'epoca del mostro di Firenze che, si 'vede', dev'aver 'acceso' la nostra 'fantasia'.... (...come 'dimenticare' oltretutto la figura di quel "sant'uomo" di Pietro Pacciani?...il contadino di Mercatale...e i 'compagni di merende'... 'miti' 'rovesciati'  di un'Italia provinciale e più semplice che non esiste più...figure da romanzo 'giallo'  all'amatriciana , di quinta categoria...protagonisti , forse involontari forse no, di una storia più grande di loro...sicuramente bonarie 'apparizioni' di "orchi" da paese... )


In realtà dovremmo parlare soprattutto di "noir" - alla 'francese' - o , meglio ancora sarebbe da utilizzare la dizione tedesca di "kriminalroman". Il 'giallo' è un genere di narrativa popolare di successo nato attorno alla metà del XIXmo secolo e sviluppatosi soprattutto nel Novecento. Oggetto principale della letteratura 'gialla' è sempre la descrizione di un crimine e dei personaggi che ne sono coinvolti - vittime e criminali, 'attori' e 'spettatori'... ( "...ma che film la vita tutta una sorpresa/ attore e spettatore/ tra gioia e dolore/ nel buio e nel colore..." cantava Augusto Daolio nella sua "Ma che film la vita"...)  - mentre prende il nome di poliziesco quando , accanto a questi elementi , ha un ruolo centrale la narrazione delle indagini, i dettagli dell'inchiesta che portano alla luce tutti i differenti elementi della vicenda criminale.

Il 'genere' della 'giallistica' si divide tradizionalmente in diversi sottogeneri : dal poliziesco (il giallo 'classico') alla letteratura di spionaggio, dal 'noir' al thriller (quest'ultimo a sua volta suddiviso in più filoni fra i quali il legal-thriller e il medical-thriller che tanta fortuna hanno avuto in tv con le serie "C.S.I.", "C.S.I. -Miami" e l'italiana "R.I.S."...un successo quello delle serie 'medical-thriller' già decretato da anni dal grande schermo e che ha portato alla diffusione di trasmissioni, quali l'italiana "real-CSI" , dove sono illustrati metodi d'indagine e ricerche della polizia scientifica applicate ad episodi realmente accaduti che hanno avuto un più o meno vasto eco tra l'opinione pubblica di questo o quel paese).

Il termine italianissimo di "giallo" usato per designare il romanzo poliziesco è proprio della lingua italiana e si deve, come 'detto', alla collana de "Il Giallo Mondadori" , ideata da Lorenzo Montano e pubblicata da Arnoldo Mondadori a partire dal 1929 in piena epoca fascista. La dizione "giallo" , da colore della copertina degli agili romanzi proposti settimanalmente oramai da ottant'anni dalla casa editrice milanese, ha così finito per sostituire rapidamente il termine classico di "poliziesco" rimasto immutato invece nei paesi soprattutto di lingua inglese (crime-novel) e francese (roman policier).

Giuseppe Petroni analizzando le diverse forme linguistiche di come viene chiamato il giallo scrive:
 « Noi, gli italiani, quando non lo chiamiamo giallo (che è riferimento a una copertina) diciamo romanzo poliziesco, come i francesi che parlano anche di roman policier. I tedeschi invece lo dicono Kriminalroman, che abbreviamo in Krimi. Gli anglosassoni hanno una scelta più varia: parlano di detective fiction, mystery (o mystery story), di detective story o detective novel (un termine che si trova anche in tedesco: Detektivroman), di crime o crime story. Le lingue slave usano tutti questi termini: detectivnji roman (in russo), detektivski roman (in sloveno, abbreviato in detektivka), detektivní román (in ceco, abbreviato anche qui in detektivka) ma usano anche kriminal (polacco parlato) e dicono ancora roman tajn (romanzo-mistero, russo) e ancora cernà knihovna (biblioteca nera, nome di una collana), o powiesc sensacjna (storia a sensazione, polacco). » (1)
 

Parlare di 'romanzi gialli' senza occuparci - en passant - di una storia della letteratura poliziesca risulterebbe 'insufficiente' e sostanzialmente inefficace non fosse altro per i nomi degli autori ed alcuni titoli di larga popolarità che hanno contraddistinto questo genere. E' probabile che si possa far coincidere la nascita di questa letteratura di successo con la pubblicazione, nel 1841, del volume "I delitti della via Morgue" di Edgar Allan Poe , celebre romanziere britannico che darà vita al personaggio di Auguste Dupin primo esemplare , e se vogliamo antesignano, dell'investigatore dalle enormi capacità deduttive e da una logica acuta e serrata che gli permetteranno di risolvere i casi criminali senza recarsi neanche sul luogo del crimine ma soltanto attraverso la lettura dei resoconti giornalistici.

E' sicuramente a questo primo 'investigatore del crimine' che si rifarà , qualche anno più tardi , il noto Arthur Conan Doyle nel creare il ben più famoso Sherlock Holmes, protagonista del romanzo "Uno studio in rosso" (1887) che contende a "La pietra di luna" di Wilkie Collins (1867) il titolo di primo romanzo giallo mai pubblicato.

Da allora il genere ha conosciuto sempre più fortuna, sia di pubblico che di critica, diventando una pietra miliare della letteratura romanzesca internazionale finendo per spaziare anche in ambiti più o meno affini quali lo spionaggio internazionale, i thriller e anche parte della letteratura horror-poliziesca.

Innumerevoli gli autori - di ogni parte del mondo - che si sono dedicati con eccellenti risultati alla letteratura 'gialla'; dall'inglese Agatha Christie (ideatrice dei personaggi dell'ispettore belga Hercule Poirot e di Miss Marple) al belga George Simenon (inventore del commissario Maigret), a Rex Stout (il 'padre' di Nero Wolfe) senza dimenticarci di chi, più di ogni altro, porterà al successo cinematografico i principali romanzi criminali del XXmo secolo ovvero il britannico Alfred Joseph Hitchcock (2) di cui ricordiamo quì brevemente alcuni successi: "L'uomo che sapeva troppo" (1934), "Il club dei trentanove" (1935), "Rebecca, la prima moglie" (1940), "L'ombra del dubbio" (1943),  "Notorius" (1946), "Il delitto perfetto" (1954), "La donna che visse due volte" (1958),  "Intrigo Internazionale" (1959), "Psyco" (1960) e Frenzy (1972).

A proposito di George Simenon - di cui si ricordano quì i sentimenti filo-fascisti (3) - sottolineiamo una dichiarazione , rilasciata in un'intervista concessa a Giulio Nascimbeni nel maggio 1985 nella quale - il creatore del commissario più famoso d'Europa - dirà: "...a Maigret ho dato un'altra regola: non bisognerebbe mai togliere all'essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti.". 'Concordiamo'...
Tra i diversi 'generi' ed autori di romanzi 'gialli' ....continueremo a chiamarli utilizzando 'sempre' il termine italiano per una questione 'affettivo-romantica'...ci siamo 'dilettati' soprattutto con quello dell'hard boiled school ...la 'scuola dei duri' americani... ovvero il genere americano per eccellenza nato a partire dagli anni Venti da una serie di romanzi spesso scritti da ex agenti in pensione, poliziotti o detective privati e pubblicati su una rivista , "Black Mask" di cui fu direttore il capitano Joseph T. Shaw "convinto di dover diffondere un nuovo tipo di narrativa poliziesca che non si rifacesse ai vecchi, frusti, monotoni schemi tradizionali, al delitto come evento gratuito, alla ricerca del colpevole come gioco di pazienza, alla letteratura come mera evasione della realtà. Nell'assumere la direzione della rivista mai prima letta il capitano Shaw aveva dichiarato di voler cambiare tutto, e aveva mantenuto la promessa." (4)
E' 'tipico' del genere hard boiled l'utilizzo del "detective privato" che usa , nella sua indagine, metodi spesso non meno violenti di quelli usati dal/dai delinquenti ai quali dà la caccia. Realista, appassionante a colpi di scena continui il giallo 'hard boiled' si contrappose fin dalla sua nascita alla più tradizionale, pacata e quasi manichea letteratura gialla britannica. Tra i principali esponenti del filone "hard boiled" ricordiamo Dashiell Hammet , James M. Cain, James Hadley Chase e - su tutti - 'inevitabilmente' Raymond Chandler al quale si deve la nascita del 'detective' per eccellenza, lo stereotipo di ogni detective, il 'duro' dal cuore tenero : Philip Marlowe

Raymond Chandler 'dunque' con il 'suo' Marlowe ....autore e personaggio di quell'America 'profonda' , a metà tra provincia e impero, non ancora - siamo a cavallo tra gli anni Trenta e i Quaranta - diventata la superpotenza dominante l'Occidente eppure già motore e guida del capitalismo internazionali. Chandler riproduce nei suoi romanzi anche 'spaccati' duri e crudi della società americana, di quella del benessere di Hooliwood, della 'noia' dei privilegiati ricchi parassiti dalle sontuose ville sopra Los Angeles, di quel mondo falso, apparentemente 'patinato' all'esterno per nascondere il marcio che 'cova' dentro...

E' quanto fa dire al suo protagonista alla fine de "Il grande sonno" (probabilmente il romanzo più importante e anche quello al quale siamo maggiormente 'affezionati' ...non foss'altro per averne apprezzata la versione cinematografica portata al successo da un grande Robert Mitchum al cui fianco ricordiamo un'affascinante e giovanissima Joan Collins , agli inizi della sua carriera e non ancora la 'diva' di "Dallas" poi nota al pubblico di mezzo mondo...) quando Marlowe , con un filo d'amarezza, sentenzia : "Che importa dove si giace, quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in una torre di marmo sulla vetta di una montagna? Si è morti, si dorme il grande sonno, non ci si preoccupa più di certe miserie. L'acqua e il petrolio sono come il vento e l'aria, per noi. Si dorme il grande sonno, senza badare se si è morti male, si si è caduti nella sporcizia. Quanto a me , facevo parte di quella sporcizia, ora." (6)

"Il Grande Sonno" (The Big Sleep) , del 1939, è in assoluto l'esordio di Marlowe come protagonista dei romanzi di Chandler (il primo dei quali , "Il Testimone", apparso nel '34 non vedrà Marlowe come protagonista anche se , ripubblicato nel '50, questo nome comparirà in una raccolta di volumi dei vecchi racconti della rivista 'Black Mask'). E non sarà il solo romanzo nè la sola storia dei quali Marlowe sarà il protagonista indiscusso: da "Addio, mia amata" (1940) a "Finestra sul vuoto" (1942), da "In fondo al lago" (in realtà il titolo originale era "The Lady in the Lake" ma questa sarà la traduzione italiana utilizzata come titolo nel '43) a "Troppo Tardi" (1949) , da "Il lungo addio" (1953) a "Ancora una notte" (1958) fino all'ultimo , incompleto, "La matita" del 1960 pubblicato postumo dopo la scomparsa del suo autore.

L'America di Marlowe è a metà strada fra il Laurel Canyon Boulevard e un caffè malfamato di Tijuana dove ambienterà "Il lungo addio" una storia di un'amicizia che farà dire al suo autore, Chandler,  "non m'importa che Marlowe risulti un sentimentale, in fondo lo è sempre stato. La sua durezza è stata più o meno un bluff..."

E' un'America che non avrà ancora 'maturato' il suo ruolo imperialistico ma che si 'accinge' a farlo con tutta la sua potenza, con tutta la potenza del suo oro, della sua finanza, di Wall Street. Ed è anche un'America , quella descritta da Chandler, che si rappresenta per quello che è: ricca quanto decadente, potente quanto immorale, pericolosa proprio perchè immorale e senza scrupoli.

"A Marlowe non importa un cavolo di chi sia il presidente degli Stati Uniti - scriverà Chandler a Dale Warren il 7 gennaio 1945  - E neppure a me importa, dato che sarà sempre un politicante. Un uccellino mi ha inoltre bisbigliato che potrei scrivere un buon romanzo sul proletariato: nel mio mondo limitato non esiste un animale del genere e, se esistesse, sarei l'ultimo ad amarlo, visto che per tradizione e lungo studio sono uno snob assoluto. Marlowe ed io non disprezziamo le classi superiori perchè fanno il bagno e possiedono denaro; le disprezziamo perchè sono fasulle..." (7)

Il denaro rende volgari ...e falsi. L'America di Chandler - e del suo 'pupillo' Marlowe - è quella decadente , già consumata dall'alcool , dal sesso e dai vizi di una classe superiore espressione dell'establishment statunitense (...senza storia, senza origini, privo di nobiltà e di grandezza, senza un passato e condannato a non aver futuro...) ..predestinata alla morte nichilistica della contemporaneità post-modernista...già qualcosa di difforme e diverso da quella stessa America cantata da Piero Ciampi - cantautore livornese e poeta del Nulla , nonchè nostro zio per parte di madre -  il quale sosteneva:

"...Alberto Camus sosteneva che l'America è una colonia di terremotati mentali...Alberto Moravia con le sue lesbiche (e la sua astuzia) , dice che l'America è forse il paese del destino. Intanto Jack Kerouac me l'hanno ammazzato a 47 anni dopo aver scritto "I sotterranei". Non c'é più l'America. Non c'é più, non c'é più, non c'è più, non c'é più...Non c'é più l'America."

Analizzando la metodologia dell'autore di gialli Chandler scriverà: "Il materiale di cui si serve l'autore di gialli è il melodramma, e cioè un'esagerazione di violenza e di paura che va oltre quello che normalmente si prova nella vita. (...) I mezzi che lo scrittore adoperano sono realistici, nel senso che cose simili accadono a persone così, in luoghi così; ma questo realismo è superficiale. Il potenziale emotivo è sovraccarico, la compressione del tempo e degli eventi è una violazione della legge delle probabilità, e sebbene cose così accadano, non accadano tanto presto nè in così stretto limite logico a un gruppo di persone così strettamente raggruppate." (8)

Ora qualcuno si potrà domandare che "c'azzeccano" Chandler e Marlowe, la letteratura gialla e i romanzi polizieschi, Piero Ciampi e il nichilismo...
 Noi analizziamo la società 'sgangherata' e massificata contemporanea , le sue 'derive' esistenziali, il suo incedere a passi da gigante - senza meta e senza scopo - verso l'autodisintegrazione, la decomposizione ontologica dell'attualità nichilista che ha schiantato e reso inutili vite ed esistenze sospese nel nulla...

Considerando l'attuale , quotidiano, contorto 'stillicidio' di 'casi' da romanzo giallo; il vulnerabile istinto 'omicida' affiorante in sempre più vaste porzioni della società italiana, l'inenarrabile serie di delitti a sfondo più o meno criminale, la formazione di psicopatologie 'borderline' in un sempre maggior numero di individui dalle identità 'rovesciate' e l'esplosione demenziale dei crimini di matrice "occultistico-satanista"  (..."in quest'epoca di pazzi / ci mancavano gli idioti dell'orrore" '...anche 'quì' Franco Battiato l'aveva 'vista' 'lunga'...) ricollegabili a sette e congreghe che , piaccia o 'meno' , si rifanno al culto del demonio o al Satanismo tout court tra alcool, droghe e riti inebrianti d'iniziazione nonchè i casi massmediali saliti prepotentemente alla ribalta (da Pietro Maso a Verona ai 'fidanzatini' , Erika e Omar, di Novi Ligure; dal caso Franzoni a Cogne al delitto dell'Olgiata fino ai più recenti delitti di Garlasco, di Erba e di qualsivoglia prossimo venturo crimine 'premeditatamente' o meno commesso in una qualunque delle località della profonda provincia italiana) indiscutibilmente anche questa 'ricognizione' analitica sul delitto risulterà 'conforme' ad un percorso di milizia che intenda considerare tutti i processi degenerativi della società moderna senza quì soffermarci sulla 'moda' demenziale del "pubblico" non-pagante 'assiepato' davanti alle abitazioni delle tragedie o , peggio ancora, in 'fila indiana' con tanto di 'numerino' (...come al super-mercato...deficienza contemporanea spettatrice del nulla e 'fascino' capovolto dell'horror in versione 'live'...) in attesa della nuova udienza di questo o quel processo .... 'Colpevoli' tutti...a cominciare dai giornalisti....'sciacalli' del dolore e 'iene' del lutto...irrispettosi dinanzi alla morte e alle sofferenze...sempre in 'cerca' di scoop da confezionare...da appendere senza pensarci neanche troppo sù...

In merito alle 'cause' , ai 'moventi', ovvero a ciò che 'muove' l'istinto omicida , al di là dei crimini passionali o di quelli a sfondo ideologico-politico, possiamo sottolineare l'affatto vortiginoso aumento dei casi "abnormi" determinati da psicopatologie 'deviate'. In merito scrive Angela Spadafora:
" Per molto tempo la psicopatologia borderline ha avuto incerta collocazione nosografica, ed è stata considerata come uno stato al confine fra l'area psicopatologica delle psicosi e quella delle nevrosi, assumendo cosi anche la definizione di “schizofrenia pseudonevrotica o di “sindrome marginale". E’ solo a partire dalla pubblicazione nel 1980 del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) III edizione dell’American Psychiatric Association (APA) che la psicopatologia borderline è stata inquadrata tra i disturbi di personalità.
Tale disturbo è attualmente oggetto di molta attenzione e di molte controversie sia in ambito psichiatrico e psicoterapeutico per i problemi eziopsicopatogenetici, diagnostici e di cura che pone, sia in ambito criminologico per la sua possibile ricaduta sociale e rilevanza giuridica. Inoltre, è da notare che nel corso degli ultimi decenni la sua incidenza statistica è apparsa in sensibile aumento. Si calcola che circa il 3% della popolazione è affetta dalla forma clinica completa e che una percentuale molto più alta manifesta forme cliniche parziali.
Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali colloca la patologia borderline (DBP) sull’asse II, all’interno del “gruppo b” dei disturbi di personalità. Il DBP, nello specifico, appartiene al cluster definito “drammatico-imprevedibile” , in cui rientrano altresì altri tre disturbi di personalità: narcisistico, istrionico, antisociale. Caratteristica comune a tutti i disturbi del cluster b è l’elevata emotività. In particolare, i portatori di DBP, che statisticamente sono più frequentemente donne, presentano un’ estrema sensibilità e una marcata emotività, caratteristiche queste che possono essere causa di enormi sofferenze non solo per l’individuo disturbato, ma anche per la società.
Il DSM IV (1994) definisce il DBP come «una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti». Difficoltà nelle relazioni interpersonali, disturbi dell'identità, instabilità affettiva e deficit del controllo degli impulsi caratterizzano, dunque, costantemente la vita psichica dei portatori di questo gravissimo disturbo, per i quali, non a caso, è usata la definizione di “soggetti stabilmente instabili”.
Il DSM IV-TR (2000) elenca nove criteri diagnostici, di cui è necessaria la presenza simultanea di almeno cinque per poter diagnosticare un DBP; per cui due soggetti portatori di questo disturbo possono avere in comune uno solo di questi criteri ed avere un quadro clinico molto diverso. Tali criteri diagnostici sono:
1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono. I portatori di DBP avvertono se stessi come fragili ed indifesi, bisognosi di ricevere costantemente rassicurazioni e protezione da parte degli altri. Anche solo l’idea che una relazione significativa possa essere interrotta può far precipitare questi soggetti in uno stato di angoscia devastante, che può anche dar luogo a vissuti dissociativi. La paura, spesso immotivata, di essere abbandonati può nascere dalla percezione distorta di un comportamento altrui: già una semplice disattenzione o un “no”possono essere avvertiti da questi soggetti come un indice di abbandono e rifiuto totale.
2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione. Il borderline tende, anche grazie alla sua capacità di affascinare (è, generalmente, considerato un individuo piacevolmente “strano”) e di manipolare gli altri, ad intrecciare rapidamente intense relazioni interpersonali, ma, oscillando perennemente tra due visioni antitetiche dell’altro, finisce inevitabilmente con il comprometterle. Per questo soggetto la vita è fatta di estremi: l’altro da sè è, a tratti, "tutto cattivo" o "tutto buono”. Non esistono soluzioni di compromesso: egli odia o ama. Questa valutazione è però fortemente instabile, nel senso che la stessa persona valutata dal Border in un determinato modo, può, in un momento immediatamente successivo, essere valutata in modo opposto. Per es. è frequente che idealizzi il partner o un nuovo amico già al primo incontro e che lo faccia cadere dal piedistallo su cui lo ha posto entro pochissimo tempo. Ovviamente, un tal modo di rapportarsi mette a dura prova la capacità di sopportazione del prossimo, e quindi può dare origine a sentimenti di rifiuto, i quali non fanno altro che rafforzare gli assunti di base della psicologia “border”, per cui “il mondo è cattivo e lui è inaccettabile”.
3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili. Si parla di diffusione del Sé. Il borderline ha un’immagine oscillante della propria identità (non sa bene cosa sia e come sia), e da questa situazione consegue la messa in atto di comportamenti altamente contraddittori. Inoltre, è proprio la marcata e persistente instabilità dell’immagine e della percezione di sé a far si che il soggetto fatichi ad effettuare una scelta lavorativa e a stabilire il proprio orientamento sessuale o politico. Non sono rari i tentativi di compensazione di tale deficit posti in essere da tali soggetti. Molti, proprio per crearsi un’identità stabile, decidono di affiliarsi a gruppi spiccatamente caratterizzati, come gruppi religiosi o politici estremisti, sette sataniche, gruppi “alternativi”. Questi, apparentemente percepiti come soggetti “anticonformisti”, sono, in realtà, soggetti che hanno un gravissimo problema di identità, che cercano in questi gruppi proprio ciò di cui risultano carenti, cioè il proprio ruolo nella società ed il senso di un Sé altrimenti incline alla frammentazione.
4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali abbuffate compulsive, guida spericolata, promiscuità sessuale senza attenzione a rischi di infezioni o di gravidanze indesiderate, cleptomania, abusi di alcool e droghe, spese eccessive.
Diversi sono gli ambiti in cui il Border può perdere di controllo, dando luogo a condotte altamente autodistruttive. Ciò accade perché, di solito, tale soggetto conduce una vita sregolata: infatti, è spesso un consumatore abituale, ma non fedele di sostanze stupefacenti ed un iperassuntore di bevande alcoliche; è sessualmente iperattivo, anche se la sua non è quasi mai una sessualità adulta, prediligendo a questa, il più delle volte, una sessualità perversa o promiscua e la masturbazione; ha spesso una condotta alimentare abnorme, caratterizzata da frequenti abbuffate.
5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento automutilante. I borderline sono quasi sempre gravemente autoaggressivi e autolesionisti fino al tentativo di suicidio. I comportamenti automutilanti più frequenti consistono in graffi, tagli cutanei superficiali e ustioni. Queste condotte sono motivate principalmente dall’esigenza di attenuare o porre fine ad una situazione di angoscia e vuoto interiore diventata insostenibile.
6. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (rapide oscillazioni del tono emotivo fra depressione, euforia, irritabilità e ansia). L’affettività del borderline è estremamente condizionata dalla variazione dell’ambiente esterno e delle dinamiche relazionali: al variare delle situazioni ambientali e relazionali segue un repentino adattamento dell’umore. E’ per questi motivi che si dice che il borderline è stato-dipendente.
7. cronici sentimenti di vuoto interiore e di noia. Questi sentimenti, uniti spesso ad un profondo senso di colpa di cui spesso si ignora l'origine, fanno da sfondo a tutta l’esistenza del borderline. Ed è questa cronica ed angosciosa sensazione di vuoto interiore che spinge molti di questi soggetti a ricercare costantemente qualcosa da fare, quasi come se si dovesse “riempire” un enorme buco, che rimane però incolmabile.
8. rabbia inappropriata, intensa e/o incontrollata. I borderline sono persone arrabbiate con se stesse e con il mondo. Questa rabbia può manifestarsi con diverse espressioni cliniche, come: esplosioni di rabbia transitoria ed incontrollabile, permalosità eccessiva, ostilità e rancore omnipervasivi. Questa è l’emozione che può risultare più disturbante per le relazioni interpersonali. Essa è, infatti, la causa più frequente del passaggio all’atto, che si realizza con condotte auto ed etero-aggressive incontrollabili. E’ da tener presente che le condotte eteroaggressive possono essere tanto fisiche, quanto verbali.
9. ideazione paranoide, o gravi e ricorrenti sintomi dissociativi (depersonalizzazione, derealizzazione, amnesie lacunari, stati oniroidi di coscienza) transitori, legati allo stress. I soggetti borderline possono andare incontro, in situazioni di forte stress, a brevi e transitori episodi psicotici. La tendenza a vedere gli altri come “totalmente buoni” o “totalmente cattivi” può condurre questi soggetti, in situazioni particolarmente stressanti, a guardare con sfiducia e sospettosità agli altri, e ad interpretare le loro motivazioni come malevole e persecutorie nei propri confronti. I sintomi dissociativi più frequenti sono la depersonalizzazione e la derealizzazione: cioè il soggetto può avere rispettivamente la sensazione di aver perso il “contatto” con il proprio corpo e/o con la realtà. Gli episodi psicotici brevi e transitori cui può andare ricorrentemente incontro il borderline sono determinati dal fatto che esso ha, di per sé, un contatto molto labile con la realtà. E’ di certo in grado di leggere e di conoscere la realtà (altrimenti sarebbe uno psicotico), si dice infatti che ha un esame “sufficiente” della realtà, ma ne ha una rappresentazione del tutto personale.
Sono stati compiuti numerosissimi studi relativi all’eziopatogenesi del disturbo borderline di personalità e diverse sono state le ipotesi formulate nel corso del tempo. Alcuni studiosi hanno posto l’attenzione sulle componenti genetiche e costituzionali, facendo riferimento ad una congenita debolezza strutturale del soggetto; altri hanno posto in rilievo l’incidenza dei traumi psicologici subiti in età infantile; altri ancora hanno focalizzato l’attenzione sulle componenti ambientali, facendo, in particolare, riferimento all’esistenza di relazioni intrafamiliari patologiche. Oggi si tende ad una visione multifattoriale dell’ eziopatogenesi di questo disturbo: abusi di qualunque genere (psichici, fisici e/o sessuali) subiti durante l’infanzia nell’ambito familiare possono favorire, in soggetti biologicamente vulnerabili, lo sviluppo di un DBP. La teoria multifattoriale riceve sostegno dai dati empirici; infatti, è stato statisticamente rilevato che un’alta percentuale di soggetti con DBP ha effettivamente subito nei primi anni di vita gravi traumi psicologici, principalmente determinati da maltrattamenti, abbandoni e/o abusi sessuali, in ambito familiare, e che, in un certo numero di casi, esiste una predisposizione familiare verso lo spettro dei disturbi affettivi. Risultano cosi comprensibili alcuni sintomi del disturbo, come la paura dell’abbandono ed i comportamenti impulsivi ed auto-eteroaggressivi. In particolare, è comprensibile che soggetti abusati in età infantile sviluppino cronici sentimenti di ansia “senza oggetto”, irritabilità e rabbia e che tendano, in età adulta, a reagire a stimoli sociali oggettivamente neutri, ma da essi percepiti come potenzialmente lesivi, con imprevedibili reazioni abnormi, volte a neutralizzare e/o punire gli altrui potenziali comportamenti dannosi. E’ evidente però che una siffatta modalità comportamentale finisce inevitabilmente con il compromettere gravemente sia le relazioni affettive, che le situazioni lavorative del soggetto.
Per le caratteristiche di instabilità e di facilità di passaggio all’atto (acting-out), il disturbo borderline è, insieme al disturbo antisociale di personalità, il disturbo mentale che maggiormente attrae l’interesse degli studiosi della criminologia. In caso di condotte delinquenziali, i borderline tendono ad essere estremamente aggressivi e violenti e, avendo solo una “visione d’oggetto parziale” delle altre persone, possono diventare molto pericolosi. Per alcuni studiosi, infatti, il portatore di DBP, in genere, non percepisce le altre persone come esseri con propri bisogni ed aspirazioni, bensi come porzioni d’oggetto, ciascuna strumentale unicamente al soddisfacimento di un suo specifico bisogno: cosi, per esempio, un dato individuo sarà in parte funzionale all’appagamento di un suo bisogno narcisistico di sottomissione psicologica dell’altro, un altro sarà in parte funzionale al soddisfacimento di un suo bisogno sessuale, un altro ancora sarà in parte funzionale al suo bisogno di protezione. Per il borderline ogni tipo di relazione sociale viene, cosi, ad essere “sessualizzata”, essendo ognuna finalizzata al raggiungimento del piacere legato al bisogno del momento, il quale non è, di per sé, di natura necessariamente sessuale, anzi non lo è quasi mai, essendo quasi sempre il fine ultimo del borderline semplicemente quello di esercitare il proprio potere sull’altro. La capacità di questo soggetto di accedere, in virtù del suo (spesso) ottimo livello intellettivo e della sua spiccata sensibilità, che lo porta ad intuire in modo immediato gli altrui pensieri ed interessi, facilmente al prossimo, e conseguentemente di plasmarsi interamente su di esso al fine di manipolarlo, unita alla freddezza con cui, conseguentemente alla caratteristica “visione d’oggetto parziale”, percepisce le sofferenze altrui, ed alla violenza ed imprevedibilità con cui si realizza il passaggio all’atto, fa di questi il “prototipo del predatore”. Non è, infatti, un caso che famosi pluri-omicidi e serial killers presentino caratteristiche tipicamente borderline, come l’angoscia abbandonica, l’alterazione dell’identità, la marcata impulsività, gli intensi sentimenti di rabbia, l’angoscia cronica senza oggetto che decade al momento del passaggio all’atto. Inoltre, nell’infanzia e nell’adolescenza della quasi totalità dei serial killers è possibile riscontrare vissuti di rifiuto-abbandono ed abusi intrafamiliari di ogni tipo, che vanno dalle torture fisiche e sessuali alle umiliazioni emotive. Si pensi, per esempio, a Jeffrey Dahmer, il "Cannibale di Milwakee", omosessuale, trascurato dai genitori, che uccideva e mangiava i suoi amanti per “poterli tenere sempre con sé”, a Ted Bundy, il “Killer delle studentesse”, ragazzo di bell’aspetto, capace di relazionarsi in modo molto suggestivo, che adescava con vari stratagemmi e poi uccideva a colpi di spranga, rami e sassi ragazze che ricordavano in vario modo la fidanzata da cui era stato lasciato quando era ancora molto giovane, a John Wayne Gacy, il “Pagliaccio assassino”, omosessuale, cresciuto da un padre alcolista e violento che passava buona parte del tempo a deridere il figlio, acuto uomo d’affari che nel tempo libero si travestiva da clown per i bimbi malati, ma che poi in privato torturava, violentava ed uccideva proprio minorenni. In sede di valutazione psichiatrico-forense si tende a considerare, in linea generale, il DBP, come del resto gli altri disturbi della personalità, come giuridicamente non rilevante: infatti, un conto è la diagnosi clinica, un altro è come e quanto questa incida sull'imputabilità del soggetto. Non va, infatti, dimenticato che l’infermità mentale è un concetto legale, non una diagnosi psichiatrica. Tuttavia, potendo, tale disturbo, incidere pesantemente sulla capacità di volere del soggetto portatore, può capitare che, nel caso concreto, esso dia luogo al riconoscimento di una sitazione di infermità totale o parziale di mente. In Italia, un esempio di pluri-omicida, cui è stato diagnosticato un DBP, caratterizzato da scarso controllo degli impulsi e dispersione dell’identità, giuridicamente rilevante, è Luigi Chiatti, il “Mostro di Foligno”. Questi, abbandonato dalla madre ed adottato in tenera età, uccise, negli anni ‘90 del secolo scorso, due minorenni e sfidò con lettere anonime la polizia. In sede d’appello gli venne riconosciuta la seminfermità mentale e fu condannato a trent’anni di reclusione." (8)

Non staremo quì 'ulteriormente' - basti e 'avanzi' questo articolo dell'amica Spadafora ( alla quale 'peraltro' avevamo sottolineato come ,utilizzando le sopraccennate 'categorie' di riferimento e/o identificazione per delineare un soggetto "borderline" alias criteri diagnostici, 'difficilmente' l'avremmo 'scampata' ) - a disintegrare gli 'altrui' attributi con trattati di medicina legale, psico-disquisizioni o altre considerazioni clinico-investigative...quanto scritto dovrebbe sufficiente bastare a dare comunque un'idea del livello di inversione e contrazione delle identità nel quale sono precipitati i soggetti 'deambulanti' nelle società contemporanee...

Tant'è continueremo malgrado tutto a 'preferire' 'vecchi' personaggi della televisione italiana ai loro pallidi epigoni più o meno 'derivati' dalla letteratura poliziesca e tradotti nel piccolo schermo in serie , anche 'fortunate' (...tutto fa 'brodo' nello 'scatolotto' demoniaco-compulsivo che inonda di volgarità e mode 'malate' la società moderna...): dal commissario Ambrosio (con un grande Ugo Tognazzi) al Monnezza (magistrale Thomas Milian) che almeno aveva la capacità 'volgare' di strapparci un sorriso...
Impossibile invece qualsiasi 'fascinazione' per 'serie' tv quali "il commissario Montalbano", "Distretto di Polizia", "Carabinieri", "Don Matteo", "il commissario Rocca" et simili...di quanto 'proposto' più o meno recentemente dal duopolio Rai/Mediaset 'salviamo' , 'forse' , "Nebbie e Delitti" del quale abbiamo 'apprezzato' l'ottima interpretazione - 'rivalutato' 'invecchiando'...- di Luca Barbareschi nella parte del commissario Soneri...e ovviamente la sempre 'deliziosa' Natasha Stefanenko...'almeno' c'abbiamo 'capito' qualcosa ....se non 'altro' si svolgeva in 'terre' a noi poco lontane...Ferrara e dintorni....non nella "Grande Mela" o nei soliti american-pub , fumosi e con le 'classiche' ballerine di lap-dance come ci hanno 'propinato' i più recenti telefilm 'investigativi' americani ...(...oramai siamo 'abbondantemente' nauseati dall'offerta...)... 'meglio' allora i 'tedeschi' (Derrick su tutti).

Modelli stereotipati di 'occidentalizzazione' o , per dirla con Serge Latouche, del "trionfo di un modello universale, quasi una megamacchina tecnico-scientifica che impone al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo i propri imperativi mercantili..." (9) ... 'anche' nel delitto, anche nel crimine. L'istinto omicida rimane una 'possibilità' latente, sempre 'ridestabile',  in ogni singolo individuo della società occidentale di massa...malata e 'contorta'.

Che dire infine....perchè un'analisi sul delitto? Perchè, in fondo, il delitto...non invecchia. Mai.


DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

Direttore Responsabile Agenzia Stampa "Islam Italia"

 

Note -

1 - Giuseppe Petronio - "Il punto su: il romanzo poliziesco" - ediz. "Laterza" - Bari 1985;
2 - per una breve bibliografia sul cinema di Alfred  Hitchcock si veda:
Alberto Boschi. Alfred Hitchcock. Intrigo internazionale. Torino, Lindau, 2005.
 Giorgio Gosetti. Alfred Hitchcock. Milano, Il Castoro, 2002.
 Sidney Gottlieb. Hitchcock secondo Hitchcock. Idee e confessioni del maestro del brivido. Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2003.
 Paolo Marocco. Vertigo di Alfred Hitchcock. Lo sguardo dell'ozio nell'America del lavoro. Genova, Le Mani, 2003.
 Stephen Rebello. Come Hitchcock ha realizzato Psycho. Milano, Il Castoro, 2008.
 Cosetta Saba. Alfred Hitchcock. La finestra sul cortile. Torino, Lindau, 2001.
 François Truffaut. Il cinema secondo Hitchcock. Milano, Net, 2002
(*) si noti in proposito l'asfittica presenza di 'elementi' di razza ebraica decisamente 'onnipresenti' nella cinematografia - specialmente di quella hooliwoodiana - come rilevato anche dall'ottimo volume di Gianantonio Valli - "Dietro il sogno americano - Il ruolo dell'ebraismo nella cinematografia statunitense" - ediz. "Seb" - Milano. In merito all'influenza ebraica nella cinematografia statunitense e al dominio assoluto dell'elemento ebraico , che controlla praticamente l'intera produzione e la rete distributiva della cinematografia di Hooliwood scrive il Valli:
 "Se da una parte tutte le maggiori case di produzione hollywoodiane sono strettamente in mani ebraiche (ma lo sono anche catapecchie cinematografiche come la Producers Releasing Company, del ragioniere Leon Fromkess), ebraiche sono anche le prime banche che finanziano l'industria filmica.
L'unica, parziale eccezione è rappresentata dalla Bank of Italy, fondata nel 1904 a San Francisco da Amedeo Peter Giannini, un immigrato italiano nato nel 1870 a San Josè. Dotato di un talento e di una forza d'animo eccezionali, dopo il praticantato bancario egli ottiene i primi capitali per la sua impresa dai fratelli Herman Wolf ed lsaiah Wolf Hellman, due dei più potenti banchieri della California (il secondo è inoltre il fondatore, nel 1872, della prima sinagoga del B’nai B’rith di San Francisco). (...) Quando la Bank of Italy rileva la fallita Bowery and East River Bank di New York, è ancora Sol Lesser a consolidare la banca di Giannini attraverso il coinvolgimento di Attilio nelle attività finanziarie delle compagnie di produzione. In tal modo «Doc» diviene la prima fonte di capitale per Marcus Loew, Lewis Selznick, Florenz Ziegfeld e dozzine di altri impresari ebrei, sia teatrali che cinematografici: «una collaborazione tra outsiders», la definisce Neal Gabler.
Fondata nel 1919, la Loews Incorporated vede l'interessamento anche di altri banchieri. Come abbiamo accennato parlando della MGM, è per questo motivo che nella direzione della Loew compaiono i «gentili» W.C. Durant, dirigente della General Motors, e H. Gibson, presidente della Liberty National Bank.
Un altro banchiere perno dello sviluppo dell'industria cinematografica americana è Otto Hermann Kahn. Nato nel 1867 a Mannheim dal banchiere Bernard Otto, dopo un periodo di lavoro nella filiale londinese della Deutsche Bank, nel 1893 è nominato direttore della filiale newyorkese della Speyer & Co. Tre anni più tardi egli sposa Addie Wolff, figlia di Abraham, socio nella Kuhn Loeb & Co., nella quale banca viene assunto l'anno seguente - «verosimilmente per il fatto che era stata fondata da ebrei come lui», ci informa piamente il Gabler - divenendone un'autorità.
In tempo rimarchevolmente breve, da impiegato Otto diviene alto dirigente e socio. Dal 1903 al 1917 è presidente del Consiglio di Amministrazione della Metropolitan Opera Company. Adolph Zukor, già finanziato da Pierpont Morgan, lo contatta intorno al 1919 tramite suo fratello Felix Kahn, proprietario di una delle più estese catene teatrali newyorkesi. Quando la Paramount apre la sua campagna di acquisti di teatri (nel 1921 possiede od ha costruito ben trecentotre locali di prima visione), Felix cede la sua catena, venendo cooptato nella casa e divenendone uno dei massimi dirigenti, oltre che amico intimo di Zukor. Alla fine degli anni Venti, delle quindicimila sale cinematografiche sparse sul territorio degli Stati Uniti, la Paramount ne controlla un terzo.
Cosi si esprime ancora il Gabler: «Zukor aveva una forte affinità con i Kahn. I due fratelli erano apostati dal giudaismo, senza speranza di assimilazione, sebbene essi fossero in proposito più decisi che non Zukor. Otto aveva completamente rigettato il giudaismo e si era fatto episcopaliano. Essi affettavano uno stile di vita "imperiale", pensando di consolidare in tal modo il loro status di gentleman. Ed ancora credevano nelle arti come mezzo di mobilità sociale. In effetti, sembra che Otto Kalm si riferisse a Zukor quando, pochi anni più tardi notificò ad un gruppo di soggettisti e produttori che "nell'arte come in ogni cosa il popolo americano ama essere guidato in alto e in avanti", continuando poi a riferirsi "alla grande importanza ed alla potenzialità del cinema come industria, influenza sociale ed arte"».

Un gustoso aneddoto sul suo conto merita a questo punto di essere riportato. Fattosi protestante, Kahn cerca per anni di ignorare e di far ignorare la sua origine ebraica. Passando un giorno per la Quinta Strada in compagnia dell'umorista ebreo Marshall Wilder, affetto da una gobba pronunciata, egli indica al compagno la chiesa della quale è assiduo fedele, dicendogli: «Marshall, sai che una volta ero ebreo?». «Sì, Otto» - è la risposta di Wilder, evidentemente memore del fatto che olim haebreus semper haebreus - «e anch'io una volta ero gobbo».
Come la Kuhn, Loeb & Co. per la Triangle (insieme a Rockefeller) e per Zukor, cosi altri banchieri ebrei finanziatori dei tycoons hollywoodiani sono S.W. Straus per Carl Laemmle e Goldman, Sachs & Co. per i fratelli Warner.
Solo Williarn Fox avrebbe «osato» accordi con banchieri «gentili» non legati alla finanza ebraica, e subito l'A T & T, Halsey, Stuart & Co. ed altri finanzieri avrebbero cospirato per sottrargli il potere di controllo sulla filmografia sonora, campo nel quale Fox si trovava allora all'avanguardia e nel quale essi avevano investito considerevoli mezzi finanziari.
La crisi dell'ottobre 1929 costringe le grandi case a fare ricorso alla Chase National Bank di Rockefeller, oppure alla Atlas Corporation di Morgan, che impongono una drastica politica di organizzazione e sottomettono alla fine la produzione al loro diretto controllo.
«Il 1935» - scrive Sadoul - «è l'anno in cui le conseguenze della crisi economica e della nuova "guerra dei brevetti sonori" portano ad un rafforzato controllo dei grandi gruppi finanziari sulla città del cinema. Otto Grandi regnano ormai su Hollywood; cinque "maggiori": la Paramount, la Warner, la Loew-MGM, la Fox e la RKO insieme con tre "minori": la Universal, la Columbia e la United Artists. Le cinque case maggiori totalizzano l'88 per cento del giro d'affari, sono proprietarie di 4.000 grandi cinematografi-chiave e producono l'80 per cento delle superproduzioni. Insieme con le tre case minori, monopolizzano il 95 per cento della distribuzione. Questi Otto Grandi sono consociati nella Motion Picture Producers of America (MPPA) e a loro volta sono controllati - il più spesso a due o tre mandate - dal gruppo Rockefeller o dal gruppo Morgan. Per di più, alcune di esse sono legate a W. Randolph Hearst, a Du Pont De Nemours, alla General Motors, alla General Electric e a varie grandi banche. L'alta finanza americana, direttamente proprietaria di Hollywood, sceglie attraverso i suoi fiduciari i soggetti dei film, che, prima di venir realizzati da un cineasta, debbono piacere ad una manciata di finanzieri».
I veri padroni degli oligopoli cinematografici rappresentati dalle maggiori case di produzione sono ancor oggi i grandi finanzieri di Wall Street (anch'essi nella maggior parte di ascendenza ebraica). I maggiori trust finanziari e bancari statunitensi, le «Big Three», sono ancor oggi i gruppi Rockefeller, Morgan, e la Kuhn Loeb & Co.
Come continua Georges Sadoul, l'attività dei monopoli cinematografici di Hollywood sarà da allora prevalentemente diretta da fini commerciali: «I dirigenti, che sono praticamente i delegati dell'alta finanza, stabiliscono con precisione quanto deve rendere ogni film e se il bilancio risulta in deficit tutti quelli che hanno concorso a crearlo (attori, directors e producers) si troveranno presto o tardi licenziati. I finanziatori americani padroni di Hollywood liquidano spietatamente questi executives, che sembrano tanto potenti, non appena il bilancio delle grandi case da essi dirette si rivela passivo».
Tuttavia, nota sempre Sadoul, in talune circostanze i finanzieri di Wall Street autorizzano delle spese «disinteressate». Uno degli esempi più chiari si manifesta nel primo decennio del dopoguerra.
Nel 1948 la Fox è la prima a lanciare un film anticomunista, «La cortina di ferro», in appoggio alla guerra fredda. Con una contemporaneità significativa, la manovra propagandistica viene ripresa largamente dalla stampa, dalla televisione e dalle case editrici. Film senza alcuna qualità artistica, «La cortina di ferro» provoca subito, sia negli USA che all'estero, vive proteste. Il suo mancato successo commerciale non impedisce tuttavia ad Hollywood di continuare a produrre per sei o sette anni numerose pellicole anticomuniste - con eguale insuccesso.
«Per la Fox, la MGM, la Warner, la RKO, la Paramount questa serie costituì certamente un deficit di molti milioni di dollari. Ma lo sforzo delle cinque majors fu disinteressato soltanto in apparenza, poiché queste grandi case erano in effetti legate anima e corpo agli interessi dei gruppi Morgan e Rockefeller, alle grandi fabbriche di armi e di forniture militari o di bombe atomiche che gravitano intorno alle ditte Kodak, Du Pont de Nemours, General Motors, General Electric, etc.».
(crf - Gianantonio Valli - "Dietro il sogno americano")

3 - A conferma di questa 'tendenza' e delle simpatie per l'Asse dell'autore di Maigret ricordiamo come il fratello di Georges Simenon - Christian - si era arruolato nella Legione Straniera nell'immediato dopoguerra in quanto condannato a morte in contumacia per collaborazionismo. Christian Renaud (alias Simenon) morirà con il grado di caporale in un'imboscata a That Khe et Dong Kue il 31 ottobre 1947

4 - Oreste del Buono - "Un uomo migliore per un mondo peggiore" introduzione al volume Raymond Chandler - "Tutto Marlowe Investigatore" - vol. 1 (1934-1943) - Ediz. "Arnoldo Mondadori" - Milano 1988;

6 - Raymond Chandler - "Il Grande Sonno" - in "Tutto Marlowe investigatore" , Vol. 1  (1934-1943) - ediz. "Mondadori" - Milano 1988;

7 - Raymond Chandler - ibidem ;

8 - Angela Spadafora - "Psicopatologia borderline - DBP: Criteri diagnostici, eziopatogenesi ed implicazioni criminologhe" -  Link a questo sito internet:

 http://www.vibrissebollettino.net/marcocandida/archives/2007/04/dbp_criteri_dia.html

9 - Serge Latouche - "L'occidentalizzazione del mondo" - ediz. "Bollati Boringhieri" - Torino 1992;