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L’intellettuale? Serve solo se conformista…

di Marcello Foa - 02/06/2009

 
 
Quando era ragazzo preferivo Raymond Aron a Jean-Paul Sartre, il Giornale di Indro Montanelli alla Repubblica di Eugenio Scalfari. Ho sempre pensato che il vero intellettuale dovesse avere il coraggio di andare controcorrente. Anche oggi prediligo gli spiriti liberi e non mi importa se siano conosciuti o se non abbiano le mie stesse radici culturali. Cerco l’onestà di pensiero e l’indipendenza di giudizio. Mi piace conversare con Antonio G. Calafati, un economista originale e di penna raffinata, leggere le analisi graffianti di Marco Vitale o i commenti dei pochi liberisti puri in circolazione, come Ron Paul negli Usa. Non ho paura di rimettere in discussione le mie convinzioni.

Sono rimasto colpito da un’osservazione di Noam Chomsky, in un’intervista rilasciata a Michael Carmichael per Planetary Mouvement. Chomsky è un anticonformista che non disdegna la provocazione e spesso non mi trovo d’accordo con lui. E’ una spina critica, ma salutare. Ebbene Chomsky ritiene che l’intellettuale sia colui che avendo il privilegio di analizzare le vicende umane abbia ”la responsabilità di cercare la verità e di rispettare degli standard etici. Tuttavia, la storia dimostra che gli intellettuali finiscono per essere dei servitori del potere, violando radicalmente la propria missione. Ci sono sempre menti libere che denunciano i crimini e gli abusi, ma di solito vengono punite in un modo o nell’altro a seconda della natura di una società“.

Ovvio: è molto meno rischioso andare controcorrente in democrazia che in un regime dittatoriale; ma l’analisi di Chomsky riguarda anche le società occidentali. Ed è amara. La nostra epoca sarebbe caratterizzata da grandi correnti intellettuali che tendono a irrigimentare il pensiero. Negli anni Settanta i pensatori, i registi, gli scrittori dovevano essere di sinistra; poi, quando è crollata l’Uss, da antiamericani sono diventati fideisticamente filoamericani; infine i socialdemocratici sono diventati liberisti al punto che pochi mesi prima del crollo dei subprime due economisti, Giavazzi e Alesina, proclamavano che il liberismo è di sinistra. Ora tutti o quasi si riscoprono keynesiani e statalisti. Fino alla prossima ondata naturalmente. E quando c’è dibattito deve essere prevedibile, sebbene colorito e apparentemente acceso. Mainstream come dicono gli americani ovvero convenzionale. Perchè a destra o sinistra certi paletti non vanno mai violati.

Questo non è liberalismo, ma la sua negazione. Forse Chomsky ha ragione: il vero intellettuale, quello di successo, non può che essere conformista. Gli Aron rappresentano l’eccezione, non la regola. Ma così le società non migliorano O sbaglio ?