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Libano: scontro regionale ed internazionale nell’urna elettorale

di Imad Mrammel* - 04/06/2009




Forse i fattori locali, nelle prossime elezioni parlamentari libanesi, sono quelli di minor peso, se li paragoniamo ai fattori legati alla presenza regionale ed internazionale, che si fa sempre più chiara e opprimente via via che ci avviciniamo all’appuntamento del 7 giugno.

In questo senso, le prossime elezioni appaiono essere “libanesi” solo formalmente, mentre nel loro contenuto politico sono elezioni “mondiali” per eccellenza, a cui partecipano grandi elettori, di diverse nazionalità, i quali non nascondono le loro simpatie e le loro scelte. Anzi, questi protagonisti partecipano apertamente alla campagna elettorale ed alla mobilitazione psicologica, al punto che ad essi non resterebbe che prendere parte ufficialmente alla cerimonia di presentazione delle liste.

Quelle libanesi sono elezioni che impegnano diversi centri d’influenza politica nel mondo, e le cui notizie vengono seguite dalle capitali dei grandi paesi, le quali si interessano ai più piccoli dettagli, dal garantire il sostegno politico e psicologico a favore dei propri amici ed alleati, all’esame dei risultati dei sondaggi d’opinione condotti da centri specializzati per tranquillizzare i “candidati prediletti”.

E siccome il tempo che ancora ci separa dalle elezioni sta diminuendo, si stanno riducendo gli spazi di manovra a disposizione dei “grandi giocatori”, i quali hanno cominciato a scoprire gradualmente le loro carte, e dalla fase del “possesso palla” sono passati alle “verticalizzazioni” in questa o quella direzione.

Così, senza alcuna vergogna, il “ministro della guerra” israeliano Ehud Barak si comporta come se fosse un candidato in uno dei collegi elettorali, e mette in guardia i libanesi dal votare per Hezbollah, avvertendo che una vittoria del partito sciita alle elezioni esporrebbe il Libano alla furia dell’esercito israeliano molto più che in passato, e “ci concederà quella libertà d’azione che non abbiamo avuto nel luglio del 2006”!

Lo aveva preceduto, nel lanciare segnali e “suggerimenti” da lontano, il vicepresidente americano Joe Biden i cui impegni nelle questioni più calde del mondo non gli hanno impedito di recarsi in Libano e di incontrare i leader della coalizione del 14 marzo, rivolgendo un messaggio ai diretti interessati la cui sostanza è che gli Stati Uniti riconsidereranno i propri programmi di assistenza al Libano sulla base della composizione del nuovo governo e delle politiche che adotterà. Per prevenire fraintendimenti o malintesi nell’interpretazione del messaggio, Biden ha assunto il ruolo del “consigliere elettorale” che suggerisce agli elettori di votare nel giusto modo, esortando coloro che vogliono stare al fianco dei “sabotatori della pace” a cogliere quest’occasione per allontanarsi da questi ultimi.

Di fronte al moltiplicarsi delle ingerenze straniere nella campagna elettorale, è sceso in campo anche il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, affermando di attendersi una vittoria elettorale dell’opposizione, e sostenendo che questa vittoria porterà ad un rafforzamento della scelta della resistenza e cambierà la situazione nella regione.

Qualcuno all’interno dell’opposizione ha ritenuto che queste dichiarazioni non fossero necessarie in questo momento, visto che il vicesegretario generale di Hezbollah, Naim Kassem, ha cercato di limitare le possibili conseguenze affermando che le dichiarazioni di Ahmadinejad si inseriscono nella cornice delle molteplici opinioni relative alle elezioni, mentre altri ambienti dell’opposizione hanno ribadito che tali dichiarazioni erano una descrizione della situazione, e non un tentativo di influenzarla. Tuttavia, alcuni gruppi della maggioranza hanno colto al volo le parole del presidente iraniano per condannare l’ingerenza “persiana” negli affari interni libanesi, ponendo – come ha fatto Samir Geagea (leader delle Forze libanesi, ed uno dei leader della coalizione del 14 marzo, ndt) – l’elettore libanese di fronte a due scelte: votare per Ahmadinejad o per il patriarca Sfeir.

Dunque, improvvisamente lo stesso patriarca maronita si è ritrovato in una competizione elettorale con Ahmadinejad per aggiudicarsi il seggio “della libertà, della sovranità e dell’indipendenza”. Il presidente iraniano, dal canto suo, si vedrà costretto a partecipare allo stesso tempo alle elezioni presidenziali iraniane ed a quelle parlamentari libanesi!

Se era nel pieno diritto delle forze di maggioranza sfruttare le posizioni di Ahmadinejad per migliorare le proprie posizioni elettorali alla vigilia dell’appuntamento del 7 giugno, il fatto che esse abbiano ignorato le dichiarazioni dei responsabili israeliani, ed abbiano accolto la richiesta di Biden di incontrarsi con loro, fa sì che la loro suscettibilità alle ingerenze straniere appaia quanto meno unidirezionale e governata da criteri ambigui.

Resta tuttavia il seguente interrogativo: qual è il senso del crescente interesse regionale ed internazionale per le elezioni libanesi?

E’ evidente che tale interesse riflette il notevole “peso” di questo appuntamento elettorale, che ha superato i confini della competizione fra programmi politici locali acquisendo un’ulteriore valenza, legata al confronto fra due scelte strategiche, ciascuna delle quali ha il proprio fronte di sostenitori ed i propri punti di appoggio, sia all’interno del Libano che all’estero.

Certamente la scelta vincente sarà quella che impartirà al Libano il proprio orientamento per i prossimi quattro anni, e sarà pertanto la “locomotiva” politica che determinerà la posizione del paese nella regione. O tornerà a rinnovarsi l’esperienza della coalizione del 14 marzo, ed avrà nuovo impulso il suo progetto che non prevede spazio – al suo interno – per le armi della resistenza (incontrandosi, in questo approccio, con un orientamento regionale ed internazionale favorevole al raggiungimento di un compromesso nel conflitto mediorientale), oppure sarà l’attuale opposizione ad ottenere la vittoria e ad imprimere nuova forza al suo progetto destinato a rincuorare le capitali mediorientali del “fronte della resistenza”.

Siccome le conseguenze di ciascuna delle due eventualità – a prescindere da quale avrà la meglio – sono destinate ad estendersi oltre i confini libanesi, le potenze regionali ed internazionali cercano con tutte le loro forze di influenzare l’umore dell’opinione pubblica libanese – cosa che spiega l’ardore con cui sia Washington che Tel Aviv hanno preso parte (alla loro maniera) alle elezioni, ammonendo sui pericoli di una vittoria dell’opposizione, e cercando di ridurre tale opposizione al solo Hezbollah, nell’ambito di una guerra psicologica premeditata che mira essenzialmente a spaventare gli elettori e ad aizzarli contro il concetto di resistenza.

Ovviamente, non è un segreto che Teheran e Damasco dal canto loro sperino in una vittoria dell’opposizione, a coronamento dei cambiamenti verificatisi in Medio Oriente, ed a sancire una variazione sostanziale negli equilibri di forza nella regione, con l’arretramento del progetto americano su più fronti, a vantaggio della saldezza della resistenza in Palestina e in Libano, e della rottura dell’isolamento internazionale in cui si trovavano la Siria e l’Iran, ora che l’Occidente si è trovato costretto a riconoscere nuovamente il loro ruolo chiave nella regione.

Sarà il 7 giugno a dire l’ultima parola…

(Traduzione a cura di Medarabnews)

L’articolo in lingua originale

* giornalista libanese; scrive abitualmente sul quotidiano al-Safir