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Elezioni in Libano: si estende la contrapposizione fra sciiti e sunniti in Medio Oriente

di A. Terenzi - 11/06/2009





Hariri-Saad
Il risultato elettorale in Libano, oscurato in Italia dal contemporaneo turno elettorale delle europee e delle amministrative, è di particolare importanza per la situazione di tutto il Medio Oriente. Si tratta della prima tornata elettorale in quest'area dopo quella israeliana e dopo l'avvento alla Casa Bianca del nuovo presidente Usa, che precede anche di pochi giorni l'attesissimo voto in Iran.





Ciò significa che nel giro di meno di un semestre i luoghi critici del Medio Oriente vanno a ridefinire il proprio assetto politico, con un gioco complesso di reciproche influenze.
In Libano ha vinto la coalizione filo-occidentale sostenuta apertamente dagli Stati Uniti, denominatasi 14 marzo, data della grande manifestazione del 2005 contro l'assassino del primo ministro Rafiq al-Hariri, attribuito ai servizi segreti siriani, la cui dinamica risulta in realtà ancora assai controversa.
Sta di fatto che quell'attentato ha comportato la fine dell'influenza siriana sul Libano: un'influenza che originariamente era stata accolta di buon grado dagli Occidentali nel 1987, in quanto essa assicurò, per un verso, il controllo delle superstiti forze Palestinesi, Hariri-Saaddopo la grande operazione militare israeliana Pace in Galilea, spintasi fino alle porte di Beirut e conclusasi con l'allontanamento dei vertici dell'Olp in Tunisia. Per l'altro, fece anche da contrappeso alle fazioni cristiane manovrate dallo Stato ebraico - garantendo di fatto quasi venti anni di pace nel tormentato Paese.
La coalizione filo-occidentale è sostenuta apertamente, e apertamente finanziata, anche dall'Arabia Saudita sunnita che intende in tal modo contrastare il possibile instaurarsi in Libano di un governo controllato dal movimento sciita di Hezbollah, fortemente vicino all'Iran. Hezbollah, alla guida dell'altra coalizione elettorale, denominatasi 8 marzo, data della contro-manifestazione anti-occidentale, ha saputo dividere il fronte cristiano-maronita, un tempo assai vicino ad Israele, una parte del quale è oggi invece allineata con il movimento filo-iraniano e duramente anti-occidentale che si ispira ad una "cultura della resistenza" anti-americana, anti-israeliana e anti-saudita. La ragione di questo storico spostamento sta nel fatto che molti maroniti vedono in Hezbollah una forza in grado di meglio garantire l'indipendenza nazionale del Libano rispetto alle pressioni proprio di quelle forze esterne, ritenute assai più immediate e devastanti del lontano Iran.
Hezbollah ha del resto capitalizzato anche i risultati delle sua resistenza armata anti-israeliana, che portò al fallimentare intervento dell'esercito ebraico nel luglio 2006, uno scacco che ha alimentato l'immagine di un movimento politico-religioso assai abile nel combinare una capillare assistenza sociale tra le popolazioni più povere del centro-sud del Libano con l'uso delle tecnologie informatiche ed una ragguardevole capacità militare.
Il fatto che lo scarto di seggi fra i due grandi raggruppamenti, 71 contro 57 secondo le prime valutazioni, non sia in definitiva elevatissimo rende comunque delicata la situazione del Paese, da sempre costretto, a causa del suo complesso tessuto etnico-religioso, a complicate alchimie istituzionali: un quadro sicuramente reso più difficile dalla novità cui si è accennato, cioè a dire il fatto che, oltre alla polarizzazione pro o anti-occidentale, queste elezioni segnano anche quella sunniti contro sciiti - una linea di frattura di crescente importanza in tutto il Medio Oriente fin dalla rivoluzione khomeinista del 1979.
La pressione dell'Arabia Saudita in funzione anti-sciita, è dovuta non solo al fatto che il wahabbismo saudita è in netta contrapposizione con lo sciismo nell'ambito del secolare risveglio del radicalismo religioso islamico, ma al rischio geopolitico che le deboli monarchie della Penisola Arabica (che includono anche Dubai, Emirati Arabi Uniti, Barhein) vedono nella diffusione al proprio interno del proselitismo iraniano, socialmente rivoluzionario. Ad esso, a propria volta, rispondono perseguendo da un trentennio una spregiudicata politica di contrasto allo sciismo dall'Afghanistan al Pakistan, dall'Iraq al Libano appunto, alimentando movimenti e fazioni che non hanno mai disdegnato il ricorso alle forme più dure della guerriglia e del terrorismo.
Non dimentichiamo infatti che parte di questo intricato puzzle è da alcuni anni anche il nuovo sistema di governo dell'Iraq "democratico", che ha visto crescere in quel Paese, sotto la contraddittoria pressione americana e fra spaventose carneficine, un governo sciita che ha guadagnato in quel Paese uno spazio inedito, tale da preoccupare i notabili sunniti ed i loro protettori di oltre frontiera, Sauditi in primis.
Israele, oltre a compiacersi comprensibilmente del successo filo-occidentale, continua a esercitare una forte pressione politica e militare sul Libano, accusandolo di debolezza nei confronti della Siria e dello Hezbollah, preoccupato di vedersi costituire un fronte settentrionale filo-iraniano, soprattutto dopo la già ricordata cocente sconfitta militare della campagna del 2006. Lo Stato ebraico dovrebbe rammentarsi tuttavia del proprio fattivo contributo all'attuale situazione, sia nella costante politica di destabilizzazione del Paese da un trentennio, sia dello specifico sostegno iniziale ad Hezbollah, ritenuto un utile elemento di contrasto contro gli insediamenti palestinesi.
Non vi è nulla di nuovo quindi nelle odierne affermazioni dei suoi leader politici sul fatto che il nuovo governo libanese dovrà dimostrare la sua volontà e capacità di ridurre Hezbollah a più miti consigli, ben consapevoli che una tale condotta della futura leadership libanese porterebbe dritto dritto ad una nuova guerra civile.
Anche in questo caso, in definitiva, vi è ben poco da gioire per la vittoria filo-occidentale. Anche in Libano, quindi, il fuoco continua a covare sotto le ceneri di un trentennio di spregiudicate politiche di "libanizzazione", appunto, del Medio Oriente.