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Le cose ci parlano sempre con molta chiarezza, se noi sappiamo comprenderne il linguaggio

di Francesco Lamendola - 06/07/2009


La maggior parte degli esseri umani vivono come immersi in una nebbia; e, per quanto la loro vista corporea possa essere buona o magari eccellente, quella interiore è offuscata e come atrofizzata, e fa sì che esse vaghino sulle strade della vita brancolando a tentoni.
Eppure, tutto intorno a noi le cose parlano, e con estrema chiarezza: basterebbe fare un po' di silenzio e riscoprire l'arte dimenticata di vedere, in luogo del semplice guardare: allora ci si spalancherebbe davanti tutto un mondo intensamente dialogante.
Le cose parlano: non è una espressione retorica, una immagine figurata, buona - tutt'al più - per infiorare i versi di una qualche poesia più o meno sentenziosa; al contrario, è una espressione da prendere alla lettera. Ovviamente, la parola delle cose è una parola particolare, che può essere fatta di odori, di colori, di silenzi. Ma è sempre una parola fresca, immediata, assolutamente incapace di artifici: come lo è, invece, tanto spesso, la parola umana.
Esercitarsi a cogliere questa parola, reimparare l'alfabeto di questo linguaggio universale è il compito che deve porsi il viandante che voglia diventare consapevole del proprio posto nel mondo, e cessare di essere un numero fra tanti, una pecora nel gregge.
Da bambino, ciascuno di noi ne conserva un ricordo, e sia pure pallido e sbiadito, come di un sapere appartenente a un'epoca in cui non eravamo ancora qui, in questi corpi, e tuttavia c'eravamo, su un altro piano di esistenza. Questa è una concezione che il materialista convinto respingerebbe con un sorrisetto di superiorità, convinto - com'è - che la nostra vita sia racchiusa fra due punti ben precisi, la nascita e la morte: il primo proveniente dal nulla, il secondo adducente al nulla. Un segmento sospeso fra due nulla, privo di scopo e privo di fine.
Ma noi non la pensiamo così. Per noi, nascita e morte sono due punti solo in apparenza univoci e definitivi: perché ogni inizio e ogni fine, ogni arrivo e ogni partenza, ogni incontro e ogni distacco, non sono che l'increspatura delle onde sotto l'azione dei venti e delle correnti; mentre, in profondità, il mare è immensamente calmo, e non vi è mutamento in esso.
Noi siamo già nella casa dell'essere: infinita, luminosa, eterna; ma è una verità che abbiamo dimenticato nascendo, e dalla quale sempre più ci allontaniamo, mano a mano che, crescendo, crediamo di avviarci verso la sapienza.
In realtà, la nostra colossale ignoranza è pari soltanto alla nostra superbia e alla nostra presunzione: crediamo di sapere, e più accumuliamo conoscenze, più fermamente lo crediamo; ma la verità è che non sappiamo nulla. Siamo piuttosto dei ciechi che credono di vedere, dei sordi che credono di udire, dei mutilati che credono di toccare.
E magari la nostra ignoranza si limitasse ad ignorare! No, pretendiamo pure di sapere: sicché non siamo semplicemente delle creature che ignorano tutto, ma proprio degli ignoranti: ossia delle creature intossicate da mille false credenze. Vi è una profonda differenza tra ignorare ed essere ignoranti: nel primo caso si può sempre imparare; nel secondo, si è chiusi e corazzati nei propri errori, indisponibili ad aprirsi alla luce della verità.
Noi - lo ripetiamo - siamo già nella casa dell'essere: e l'essere ci parla, perché tutto ciò che esiste è parte di un grande, armonioso discorso cui noi stessi siamo chiamati a partecipare, a interloquire, ad arricchirci gli uni con gli altri. Capire che le cose parlano, significa capire che l'essere dispiega ovunque la sua vita pulsante, la sua pienezza sovrabbondante.
Quando affermiamo che le cose parlano, non ci riferiamo solo agli enti fisici: fiori, piante, animali, fiumi, colline, montagne, astri; ma anche alle situazioni della vita, agli incontri, ai pensieri, alle emozioni, ai sogni, alle attese, alle gioie e ai dolori. Questi ultimi, anzi, ci parlano più di ogni altra cosa: ci insegnano e, contemporaneamente, ci interrogano. Sta a noi comprendere il senso della domanda, ed essere in grado di offrire una risposta.
Del resto, anche per gli enti fisici noi compendiamo solo una minima parte del loro linguaggio e dei loro discorsi. È così: crediamo di vedere, di sapere e di capire, mentre è vero il contrario: non vediamo nulla, non sappiano nulla, non comprendiamo nulla.
Prendiamo il caso del nostro stesso corpo fisico; del nostro, e di quello di coloro che ci stanno intorno, e con i quali entriamo in relazione, in un modo o nell'altro.
Il corpo ci parla, e parla chiaramente: ma quanti di noi se ne rendono conto, quanti lo sanno ascoltare? Può essere che il linguaggio del corpo sia esattamente opposto a quello delle parole intenzionali: queste passano attraverso i meccanismi del pensiero razionale, e possono essere ingannevoli; quello sgorga direttamente dalla nostra più profonda essenza.
Le parole del pensiero razionale possono essere ingannevoli, perché il pensiero razionale garantisce solo la verità dei passaggi intermedi, ma non ha nulla da dire circa le premesse, e meno ancora riguardo ai fini: e, se le premesse sono fallaci o se i fini sono aberranti, tutta la costruzione basata su di esso si riduce ad un gioco dell'intelligenza, elegante, ma illusorio.
Le parole del corpo, invece, non tradiscono mai; e, a chi le sappia riconoscere, parlano nella maniera più chiara e illuminante.
Il pallore o il rossore improvviso del volto; il tremito delle mani o la sudorazione abbondante; lo sguardo carico di sentimenti: amore, odio, speranza, paura; il modo di camminare, il modo di stare seduti; il tono della voce, la qualità dei silenzi; la pressione di una carezza, più o meno distaccata, più o meno coinvolgente; il mangiarsi le unghie, lo strapparsi le pellicine intorno ad esse; il mordicchiarsi le labbra, il passarsi la mano sulla fronte: sono tutte forme di espressive che parlano per noi, anche nostro malgrado.
Dal modo in cui due innamorati camminano tenendosi per mano, essi sono in grado di comunicare più efficacemente, e in maniera più veritiera, che se adoperassero cento, mille parole; dal modo in cui si guardano, dal modo in cui tacciono, possono esprimere un discorso compiuto, più ricco e armonioso di quanto potrebbe esserlo qualunque discorso verbale.
La parola del corpo è universale ed è inequivocabile. Si può equivocare su una parola detta o, più facilmente ancora, scritta: ma non è possibile, in alcun modo, equivocare sulla parola del corpo, che ci viene trasmessa attraverso lo sguardo, il sorriso, la carezza. Con le parole si possono ingannare gli altri e perfino se stessi, ma il linguaggio del corpo non inganna nessuno, se non - forse - colui che desidera essere ingannato.
Questa riflessione ci porta ad un altro problema, tipico della società odierna: la povertà affettiva, e, più specificamente, la mancanza di tenerezza che contraddistinguono, oggi, la qualità delle nostre relazioni umane.
La carezza, in particolare; il contatto fisico immediato, che scaturisce dallo star bene con qualcuno e dal desiderio di esprimergli tutta la nostra vicinanza e la nostra gratitudine, è diventata sempre più rara. I corpi si spogliano sempre di più, sotto la sciocca suggestione di un certo stile di vita basato sull'esteriorità più volgare; ma, al tempo stesso, i corpi parlano sempre di meno: tendono a divenire opachi, spenti, per quanto si sforzino di essere fin troppo eloquenti.
Lo spettacolo offerto dalle nostre spiagge, o anche dalle nostre strade, è, sotto questo aspetto, piuttosto desolante. Uomini e donne si riducono a grottesche caricature di qualche mediocre personaggio televisivo, sfoggiano un erotismo di maniera che è il contrario della autentica sensualità: paiono truccati per una festa di cattivo gusto, per un eterno carnevale senza gioia e senza allegria.
Non basta spogliare il proprio corpo, non basta modellarlo con la palestra o abbronzarlo con le lampade, non basta inguainarlo in abiti firmati o adornarlo con acconciature sempre più elaborate e sempre più costose, per renderlo eloquente; al contrario, è proprio con un tale eccesso di espedienti che si rende ancor più evidente la sua mediocrità.
Un corpo ci parla realmente, quando s'illumina per la bellezza dell'anima che riveste, per la purezza dei sentimenti e dei pensieri di cui è l'involucro. Solo un'anima bella conferisce bellezza al proprio corpo; solo una mente pura e dei pensieri gioiosi e leali sono in grado di trasmettere luce e splendore al proprio corpo.
Il corpo è come la Luna: non brilla di luce propria, ma riflessa: la luce del Sole. L'anima è il nostro Sole interiore: se si spegne, nessuno stratagemma sarà in grado di restituire luce all'involucro corporeo.
Di nuovo, coloro che pensano altrimenti sono fuorviati da una concezione materialistica della realtà: pensano che il corpo possa essere bello di per se stesso, perché credono che tutta la realtà non sia fatta altro che di corpi, di materia. Inoltre, tali persone sono fuorviate da una concezione riduzionistica della realtà: perché credono che una singola parte possa brillare, anche se l'insieme è opaco o, addirittura, oscuro.
Invece non è così. I corpi non sono che il rivestimento dell'anima, e l'armonia del tutto è la risultante dell'armonia delle singole parti. Concentrare i propri sforzi per apparire belli e seduttivi, mentre la propria anima è in balia di passioni disordinate e distruttive, di ottusità e mancanza di amore, è cosa assurda e pietosa. Sarebbe come pretendere che una bella confezione possa soddisfare qualunque esigenza, anche se essa racchiude dei rifiuti maleodoranti.
Di nuovo, è una questione di autentica ignoranza: non nel senso, accettabilissimo, di non sapere, ma in quello, ben più esiziale, di credere di sapere e di pretendere di avere la soluzione in tasca per qualunque problema.
Se tale è la nostra ignoranza riguardo alle parole dei corpi umani, che pure dovrebbero essere inequivocabili - e, di fatto, lo sono -, si può soltanto immaginare quanto enorme sia la nostra ignoranza rispetto ai corpi degli animali, degli alberi, degli elementi del paesaggio; e quanto incommensurabile debba essere la nostra ignoranza rispetto alle parole delle situazioni, degli affetti, dei pensieri, delle fantasie, dei ricordi, dei sogni, delle emozioni, e di tutta quella rete impalpabile, ma ricchissima, di enti spirituali da cui siamo perennemente avvolti.
Ora, l'incapacità di decifrare il linguaggio delle cose reca con sé, necessariamente, anche quella di leggere e comprendere il linguaggio complessivo della nostra vita.
È ben per questo che si vedono talune persone ripetere sempre gli stessi errori, abbandonarsi sempre alle stesse illusioni, ricadere sempre nelle medesime amarezze. Quando non si è capaci di leggere il disegno complessivo della propria vita, ci sfugge la chiave per interpretare tutto quel che ci accade, nel male e nel bene; o, come sarebbe più giusto dire, tutto quel che ci viene incontro, in attesa che noi siamo abbastanza evoluti per riconoscerlo e per dargli un significato all'interno della nostra evoluzione spirituale.
Abbiamo recentemente sostenuto, in un altro articolo («Incontri felici», consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice) che noi facciamo gli incontri importanti della nostra vita quando siamo maturi per farli; che le cose ci accadono, quando è giunto il tempo in cui ci devono accadere. Perciò può succedere che, se la nostra evoluzione spirituale è ancora molto imperfetta, le cose preziose ci passano accanto senza che noi riusciamo a vederle; e gli angeli che potrebbero soccorrerci, ci sfiorano, senza che riserviamo loro neppure uno sguardo.
Ecco perché è così importante ritornare in possesso del linguaggio delle cose, ritornare in possesso della facoltà di vedere nel profondo, e non soltanto di guardare. Sarebbe una cosa ben triste non riuscire a scorgere gli angeli che, forse, ci stanno venendo incontro, magari proprio nel momento in cui ne avremmo maggiormente bisogno e in cui, sia pure inconsapevolmente, li abbiamo invocati, per ricevere aiuto e conforto.
Non è vero che ci troviamo a camminare tutti soli sulle strade di un mondo vuoto e silenzioso. Il mondo intero ci parla: siamo noi che ne abbiamo scordato il linguaggio.
Riscoprire il linguaggio delle cose è, in effetti, meno difficile di quel che si potrebbe immaginare. Non si tratta di un'operazione mentale, di un atto della volontà o di un processo del pensiero  strumentale e calcolante.
Non è niente di tutto questo.
Per riscoprire il linguaggio segreto delle cose, la via maestra, anzi, l'unica via fruttuosa, è quella di reimparare ad amare.
È per mancanza di amore, che non sappiamo più vedere, udire, capire.
È per mancanza di amore che non sappiamo più comprendere neppure il linguaggio del corpo, a cominciare dal nostro.
L'amore è apertura, ascolto, disponibilità: tutti ne saremmo capaci, non richiede alcuna laurea o specializzazione.
Dobbiamo riconoscere la nostra ignoranza, e riscoprire la nostra facoltà di amare.
Solo allora, magicamente, le cose torneranno a sorriderci, a parlarci, a incoraggiarci nel nostro cammino, lungo le strade polverose della vita.