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L'Occidente e l’invenzione dell’Islam “moderato”

di Stefano Di Ludovico - 06/07/2009

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Anche Obama, nel tanto celebrato discorso al Cairo di qualche settimana fa, ne aveva riparlato: dialogo sì, ma solo con l’Islam “moderato”. Stesso discorso ancora più recentemente per le elezioni in Iran. E’ il ritornello che da anni, da quando l’Occidente si è trovato di fronte ad una realtà che, con suo sommo stupore, si è dimostrata refrattaria ai suoi valori e al suo modello di sviluppo, sentiamo ripeterci. Ma cosa sarebbe mai questo Islam “moderato”? Chi sarebbero mai questi musulmani “moderati”, i soli verso i quali sarebbero possibili il dialogo, l’integrazione, l’accoglienza?
A dare un’occhiata alla storia dell’Islam, si trovano, come è normale riguardo alle religioni che possono vantare una storia più che  millenaria, correnti, scuole e tradizioni le più varie e disparate (sunniti, sciiti, ismailiti, wahhabiti e via di questo passo), ma di questi “moderati” pare proprio non ci sia traccia. Ma allora da dove sbucano fuori? Alla fine, da null’altro che dall’arrogante pretesa di noi occidentali a che tutti si adeguino, con le buone o le cattive, ai nostri valori ed alla nostra visione del mondo, pena l’impossibilità del dialogo e la conseguente messa al bando, con buona pace di quella tolleranza di cui pure la nostra civiltà tanto si fa vanto. Il musulmano “moderato” sarebbe quindi quel musulmano che, in ultima analisi, si “modera” nel rigoroso rispetto dei precetti della sua fede per abbracciare i valori e i modi di vita occidentali; insomma, il musulmano che rinuncia alla sua più profonda identità per far propria la nostra. Ecco l’islamico “moderato”.
Ma si poteva inventare un’espressione più ipocrita e farisaica di questa? Uno o è musulmano, o non lo è: che significa, infatti, esserlo ma… con “moderazione”? E perché mai un simile appellativo non si è soliti usarlo anche per i cristiani? O per i buddisti? Abbiamo mai sentito parlare di cristiani “moderati”, di buddisti “moderati”? No. E sicuramente un cristiano o un buddista autentici si sentirebbero a ragione presi in giro ad essere appellati in questo modo. Perché mai uno dovrebbe “moderarsi” in ciò che costituisce la sua ragion d’essere fondamentale? La verità è che, come accennato, i musulmani sono i più restii ad accettare supinamente il processo di occidentalizzazione in atto a livello planetario, e allora per loro non si è trovato di meglio che coniare questa ridicola espressione. Ma a questo punto anche nei paesi islamici potrebbero usare lo stesso epiteto per qualificare quei cristiani che, temendo di incorrere negli strali dei musulmani, venissero meno al rispetto dei precetti dello loro fede e facessero propri i costumi islamici in uso in quei paesi; tali cristiani dovrebbero essere chiamati dai musulmani “cristiani moderati”; mentre per noi evidentemente, avendo essi abbracciato costumi espressione ai nostri occhi di tutto fuorché di “moderatismo”, altro non sarebbero che dei novelli estremisti, nonché rinnegati e apostati! E allora perché mai i musulmani che sono da noi non dovrebbero anche loro sentirsi tali e ritenersi offesi da simili appellativi?
Del resto l’espressione “islam moderato” fa il passo con quella di “islam italiano”, anch’essa in voga da un po’ di tempo a questa parte nel nostro paese, messa in circolazione innanzi tutto dai nostri politici, che hanno più volte manifestato l’intenzione di favorire la nascita, appunto, di un “islam italiano”. Anche qui, il ricorso alla storia e, in questo caso, alla geografia, non ci aiuta: conosciamo islamici che sono venuti a vivere in Italia; così come italiani convertitisi all’Islam: ma allora cosa sarà mai questo “islam italiano”? Ormai lo abbiamo capito: si tratta sempre, per gli islamici che sono nel nostro paese, di abbandonare barbe lunghe, velo e kebab e far propri i nostri costumi; insomma, diventare bravi italiani e radersi, mettere su jeans a vita bassa con mutande rigorosamente in bella vista e mangiare gustosi hamburger da McDonald’s. Ci manca solo che gli imponiamo di andare a messa la domenica anziché in moschea il venerdì così sì che diventeranno italiani tutti d’un pezzo, senza nemmeno più quell’ “islamici” che proprio non riusciamo a mandar giù! Ma ce le immaginiamo le reazioni qui da noi se, supponiamo, le autorità iraniane, pakistane, o magari saudite, se ne uscissero con la volontà di dar vita, nei loro rispettivi paesi, ad un “cristianesimo iraniano”, un “cristianesimo pakistano”, o un “cristianesimo saudita”? Il Papa interverrebbe prontamente – e a ragione – a scomunicare gli eventuali adepti di tali nuovi culti, dato che nell’attuale panorama della dottrina cattolica essi non risultano affatto!
L’ipocrisia e la dabbenaggine dell’Occidente raggiungono poi il culmine in rapporto alla politica estera: qui abbiamo i paesi islamici “moderati” (o arabi “moderati”, se il campo è ristretto ai soli paesi di lingua araba) e quelli che… non lo sono e non si sa bene come definire (stati “fondamentalisti”? “Estremisti”? “Canaglia”?). Ad esempio l’Egitto sarebbe uno stato arabo “moderato”; la Siria no. L’Arabia Saudita, dove le donne manco possono guidare la macchina, è un paese islamico “moderato”, l’Iran, dove le donne vanno all’università e siedono in Parlamento, no. Anche qui, che mai vorrà dire “paese moderato”? Semplice: siccome in politica estera valgono solo le relazioni esterne e di ciò che accade all’interno di un determinato paese non ce ne importa nulla, l’Egitto e l’Arabia che ci rispettano e riveriscono sarebbero “moderati”, quelli che si permettono di fare di testa loro e vogliono andare avanti per la loro strada, no. I primi possono far marcire gli oppositori nelle carceri e relegare le donne in casa (che “moderatismo”…), negli altri bisogna esportare la democrazia perché finalmente si “moderino” un po’. Con lo stesso metro si giudicano le competizioni elettorali che si svolgono in tali paesi: nelle appena trascorse elezioni presidenziali iraniane, Moussavi, perché voleva un avvicinamento all’Occidente, era il candidato “moderato”, Ahmadinejad che voleva proseguire nella sua politica indipendente, il candidato “estremista”. Cosa volessero in merito a tante altre faccende non contava nulla in rapporto allo standard occidentale di “moderazione”. Ma che accadrebbe se, ipotizziamo, il governo tedesco e quello austriaco si mettessero a fare l’uno una politica amica nei nostri confronti, l’altro una politica ostile, e il governo italiano se ne uscisse appellando la Germania quale “paese tedesco moderato” e l’Austria “paese tedesco fondamentalista”?  Non saremmo coperti di ridicolo? Quando mai nelle relazioni internazionali si è usato un simile vocabolario?
Alla fine, a noi pare evidente che se oggi c’è qualcuno che si deve “moderare”, contenere, darsi insomma una regolata, questi è proprio l’Occidente, nella sua smania di voler imporre il suo modello di civiltà all’intero globo fagocitando e omologando tutto ciò che gli si presenta come diverso e osa opporgli resistenza. Ci vuole proprio una bella faccia tosta – la nostra – a pretendere dagli altri “moderazione” quando non ne siamo capaci noi; a cercare negli altri i “moderati” che noi occidentali non siamo mai stati.