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Giuseppe Sermonti: forme vive per una libera scienza

di Stefano Serafini - 21/07/2009




È salutare far conoscere meglio la figura straordinaria di Giuseppe
Sermonti, il genetista noto per le sue critiche al darwinismo e al
totalitarismo della scienza ideologizzata. Basta infatti un giro sul
grande fratello collettivo Internet (ad es. una scorsa alla combattuta
storia di redazione della sua poco attendibile scheda su Wikipedia) per
constatare il rovello di alcuni “attivisti” indaffarati a screditarne
l’immagine. Graffitari di provincia dello scientismo[1] che amano
riempirsi la bocca dei titoli di riviste stimate e accreditate dalla
«comunità scientifica» (della quale per la maggior parte non fanno
parte, neanche come gregari), senza rendersi conto di ignorare quale
sia, propriamente, il contenuto della scienza, quale funzione abbia in
questa contingenza storica, né a cosa serva la divulgazione critica,
costoro hanno lasciato in Rete le accuse più strane contro l’importante
scienziato e intellettuale italiano: devoluzionista, creazionista,
luddista, guru ecc.; si agitano affinché le sue riflessioni, che sono in
buona sostanza epistemologiche, vengano classificate come «pseudo-scienza».
Sermonti d’altronde, che è molto amato dai suoi lettori, ha sempre
attirato l’odio ideologico di certi ambienti settari. Negli anni ’70,
all’uscita del suo primo libro contro lo scientismo, tale prevenzione
venne mascherata paradossalmente da “progressismo di sinistra”… contro
Sermonti, in difesa delle industrie! Darwin non era ancora in gioco.
Causa plausibile dell’avversione di allora, poteva essere l’invidia
personale di un potente aspirante barone, che mal ne tollerava la
brillante carriera. Ma da sola non bastava, neanche a quei tempi, a
spiegare tutta la profondità dell’ostracismo, ben distinguibile dai
normali dissidi accademici che bene o male contrappuntano sempre la
distinzione di un percorso. Qualche anno fa il progressismo, inteso come
“difesa” di Darwin, venne brevemente richiamato alla ribalta da una
lettera di sei professori de La Sapienza di Roma, i quali – autentici
libertari – pretendevano si censurasse la presentazione di un libro di
Sermonti all’Università, giungendo ad accusarlo addirittura di tendenze
razziste (quando è invece Sermonti ad additare nel darwinismo una sponda
della dottrina della razza).[2] Oggi, più modestamente, altri graffitari
rivestono la medesima avversione di un candido amore per la purezza ed
il metodo, lamentando presunti o reali «errori», ai quali danno la
caccia con tendenziosa acribia nei suoi scritti, indagati piuttosto che
letti.[3]

Un’accusa illuminante che ultimamente viene mossa al genetista, è poi
quella di essere un «ex scienziato». Ciò denota, nei critici, un’idea
curiosamente religiosa, quasi “calcistica”, della scienza: ad essa –
indipendentemente da competenze metodologiche, titoli e scoperte – un
uomo “apparterrebbe”, e sarebbe così chiamato scienziato, finché ne
accettasse le interpretazioni condivise dalla maggioranza, e da essa
potrebbe “uscire” perdendo il titolo per apostasia![4]


Il motivo che da quarant’anni rende il nostro Autore una sorta di
spauracchio per una certa nebulosa para-culturale, va spiegato in
prospettiva. Coloro che getterebbero Sermonti all’inferno, infatti, ve
lo scaglierebbero volentieri insieme a tutta la filosofia, a tutto il
pensiero che eventualmente non sottostà all’imperio della ragione
mercantile, alla riflessione critica nei confronti del presunto “valore
universale e normativo” della conoscenza positivistica, a chi non si
piega alla «dittatura del fatto» (Husserl). Non parliamo poi di altre
forme dello spirito umano, come la religione e la mistica (o la teoria
sociale rivoluzionaria, ormai scomparsa all’orizzonte). Tra gli
accusatori di Sermonti, inevitabilmente, e senza che il vecchio biologo
abbia a che fare con questo genere di cose, si riscontrano esaltati e
beffardi arcinemici di tutto ciò che Piero Angela – simbolo vivente
dello statuto televisivo del sapere per tutti – mette in un fiorito
mazzo e indica come “cattivo”: dall’omeopatia ai cerchi nel grano,
dall’astrologia alla parapsicologia, dalla lettura dei fondi di caffè
alla mistica indiana. Non a caso, ogni volta che pare loro esservene
l’occasione, ed evitando eventualmente di entrare nel merito, Sermonti
viene accusato di misticismo, religiosità, oscurantismo, ecc. Per la
maggior parte di queste persone, la scienza non è tanto un particolare
metodo e modo della conoscenza umana, storicamente formatosi per il
contributo di determinate forze sociali ed economiche, con un suo
preciso ambito di competenze formali che ne delimita e in gran parte
preforma l’oggetto; ma è l’unica ammissibile forma vera e certa di
conoscenza, una conoscenza che avrebbe conchiuso in sé il proprio fine.
Persino l’arte e la poesia, se espongono pretese conoscitive (ma a parte
rarissimi casi, ciò non avviene più almeno dal XVII sec.), vengono
gettate nel cesso da simili signori con il termine molto in voga di
«fuffa», e un dirompente rumore di sciacquone.

Sembra incredibile, ma un pensiero talmente limitato da ritenere che la
realtà possa essere spiegata unicamente nei termini di una scienza
congelata nei suoi traguardi oggettuali odierni, incapace di rendersi
conto che gli occhiali scientifici con i quali guarda il mondo e se
stesso sono anch’essi parte del mondo, sono anch’essi un prodotto
storico, ha assunto al giorno d’oggi, per diffusione, un ruolo di
dominio totalizzante. La sua infiltrazione s’è realizzata attraverso i
mezzi d’informazione di massa, col sostegno che essi inevitabilmente
forniscono alla mediocrità, al ragionamento automatico, acritico,
passivo, alla superficialità, al mercato, e all’ideologia che tutto
preforma e predigerisce per i cervelli connessi allo spettacolare
integrato.[5] Tale pensiero, di fatto, è esso stesso un elemento
portante di quella “matrice” di presupposti indiscussi – la merce, lo
sfruttamento del forte sul debole, il denaro, lo sterminio “bellico”, la
tecnologizzazione dell’esistenza come progresso, ecc. – che dominano e
spogliano la nostra vita, e che hanno sostituito di fatto la realtà,
tanto da non permetterci più nemmeno di pensarla indipendentemente da
essi. Dopo aver proceduto sottotraccia nella società per molti decenni,
contrastato sempre più debolmente da una cultura umanistica
spettacolarizzata ma comunque di forti radici, recentemente in Italia ha
cominciato ad articolarsi sulla bocca delle masse.[6] La teodicea Whig
del pensiero positivistico, che ha accompagnato fin dal suo nascere
l’imperialismo della borghesia britannica, trionfa così, quando il
capitalismo finanziario è giunto al suo sbraco, nel cuore del
Mediterraneo come volgare arroganza da blog italiota.

Il tutto, indipendentemente dal fatto che nel frattempo la biologia
molecolare ha ormai da tempo superato il dogma dell’evoluzionismo, cioè
la centralità della selezione naturale e del caso nello sviluppo di
forme e funzioni biologiche, togliendo, per così dire, la terra sotto i
piedi ai sedicenti (e ignari) scudieri della Scienza identificata con
Darwin.[7] Una conclusione storicamente inevitabile, ma che non avrà
presa comunque sul fondo ideologico di costoro, né sul corso dominante
delle cose, che ormai del darwinismo già ha smesso di avere bisogno.
L’origine è oggi una questione superata dai “gregari” veri, i quali non
si occupano certo di Sermonti. Il circuito li ha completamente integrati
nella propria intangibilità autoreferenziale, essi la natura non
l’indagano più – la creano in laboratorio.

 

Una vita da biologo

Nato a Roma nel 1925, quarto di sei fratelli (Rutilio, avvocato,
politico e giornalista; Tina Bianca; il suo gemello Enrico, agronomo;
Vittorio, il famoso dantista; Lia) Giuseppe Sermonti si laurea dopo la
guerra in Scienze Agrarie presso l’Università di Pisa e in Scienze
Biologiche all’Università di Roma. La sua carriera inizia prestissimo, a
soli 25 anni, con la chiamata come responsabile del reparto di Genetica
del Centro internazionale di chimica microbiologica  (CICM)
dell’Istituto Superiore di Sanità diretto da E. B. Chain. Dobbiamo alle
sue ricerche la scoperta della sessualità nel Penicillium (a Glasgow,
con Guido Pontecorvo) e negli streptomiceti (con sua moglie Isabella).
Gli tocca dunque il titolo di padre della Genetica dei microorganismi
industriali.[8] Di tale disciplina fonda e dirige la Commissione
Internazionale. Consulente di alcune fra le più importanti
multinazionali farmaceutiche, come Ciba-Geigy, Lepetit, Eli Lilly e
Pliva, dirige la International School for General Genetics del Centro
Ettore Majorana, a Erice, presso la quale organizza corsi quadriennali
di Microbial Breeding. Nominato cattedratico di Genetica all’Università
di Camerino, passa dopo un anno a quella di Palermo, poi a quella di
Perugia; è presidente per due anni dell’Associazione Genetica Italiana,
e nel 1980 è invitato come vicepresidente al XIV Congresso
Internazionale di Genetica, a Mosca.

Nel 1971 pubblica presso Boringhieri il trattato Genetica Generale.
L’anno seguente, per Zanichelli, l’operetta divulgativa Vita coniugale
dei batteri; ma contemporaneamente comincia a riflettere sul significato
della scienza e la sua inadeguatezza per i bisogni fondamentali
dell’essere umano. Scrive così anche i due saggi critici e politicamente
radicali Il crepuscolo dello scientismo[9] e La mela di Adamo, la mela
di Newton,[10] testi sostenuti da una cultura umanistica e scientifica
di grande respiro europeo. In essi contesta la riduzione della scienza
ad una convenzione strumentale per il dominio tecnico, preorientata in
gran parte da cornici di natura extrascientifica (per citarne alcuni: il
capitale, l’industria, il mito del Progresso, la guerra). L’ideale
ricerca della verità della scienza viene stravolta nei fatti e ridotta a
ricerca dell’utile economico, dell’oppressione, e dello sterminio.
Sermonti mostra anche con esempi tratti dalla storia della medicina e
della chimica che i successi con i quali la scienza
accademico-industriale giustifica se stessa, sono quasi sempre dovuti
all’appropriazione di conoscenze pre-scientifiche spacciate poi per
prodotti di laboratorio, o a sviluppi dell’industria bellica. Ad es.
l’aspirina, “rubata” alla saggezza popolare antica che ne usava il
principio, contenuto nelle foglie di salice, già duemila anni fa; o gli
insetticidi, nati dalle fabbriche riconvertite di armi chimiche. Il
darwinismo – un’ideologia ereditata dall’economista Malthus, piuttosto
che una visione scientifica basata su dati positivi – è in qualche modo
la sintesi di tale spirito perduto, l’essenza pregnante ed esemplare
dello scientismo, cioè la tendenza autoritaria ad assolutizzare una
razionalità scientifica confinata quale unica forma valida di pensiero,
alla quale tutto dev’essere ridotto (in primo luogo la vita). Da qui
l’invito di Sermonti all’esodo dalla forma mentis dello scienziato in
carriera, trasformatosi in una sorta d’ibrido tra un tecnico, un uomo
d’affari, e un sacerdote (o un poliziotto) dell’ordine capitalistico.


Fig. 3 Opera contestata. La copertina della riedizione de Il Crepuscolo
dello scientismo, Genova, Nova Scripta 2002.


La reazione del pubblico fu di grande interesse: i libri ebbero numerose
edizioni, che andarono tutte esaurite. La reazione di potenti colleghi
accademici fu invece di tutt’altro verso. Il trasferimento alla cattedra
di genetica dell’Università di Roma previsto di lì a poco – la famiglia
aveva già traslocato – inspiegabilmente si blocca. Una serie di attacchi
personali compaiono su L’Unità, e in lettere anonime recapitate al suo
mentore scientifico in Gran Bretagna, il genetista Guido Pontecorvo. Il
settimanale L’Espresso, non pubblica la recensione de Il Crepuscolo
dello scientismo scritta da Guido Ceronetti, che abbandonò la rivista.
Approfittando del clima politico degli anni ’70, quando anche la casa
editrice Rusconi cade oggetto di poco edificanti inviti ad erigerle
intorno un «cordone sanitario», si organizza (in contumacia) una
contestazione “studentesca” alle idee dell’Autore, accusato senza troppe
spiegazioni di conservatorismo ideologico.

Sermonti non si arrende, e continua a scavare alle fondamenta della
scienza. Concentrandosi sull’evoluzionismo neo-darwiniano, lo attacca
dall’interno con un approccio strutturalista, e dall’esterno con una
radicale critica epistemologica e socio-culturale. Sul fronte
scientifico la battaglia si svolge in importanti sodalizi
internazionali: dal 1980 egli assume infatti la direzione della Rivista
di Biologia, una delle prime pubblicazioni biologiche al mondo, fondata
nel 1919 da Ugo Polimanti, e la trasforma in un punto di riferimento
mondiale per le più valide idee biologiche non conformi; dal 1986,
inoltre, si impegna nel Gruppo di Osaka per lo Studio delle Strutture
Dinamiche (Osaka Group for the Study of Dynamic Structures) un progetto
nato durante un importante convegno sullo strutturalismo in biologia
presso la città giapponese di Osaka. Nel corso del convegno si affermò
il termine «post-darwinismo»:[11] affermando l’insoddisfazione verso la
biologia darwiniana dominante, i partecipanti si dichiararono infatti
piuttosto in continuità con autori che prediligevano lo studio
dell’origine dinamica della forma, quali J. H. Woodger e C. H.
Waddington, e dichiararono la necessità per la biologia di andare oltre
il modello centrato sul determinismo genetico. Il gruppo era composto
nel suo nucleo da Sermonti stesso, Dave Lambert, Brian C. Goodwin,
Atuhiro Sibatani, Franco M. Scudo, Francisco J. Varela, Antonio
Lima-de-Faria, Mae-Wan Ho, Lev V. Belousov, Jerry Webster, René Thom,
Hugh Paterson. In seguito aderirono altri studiosi, tra i quali anche
Stephen Jay Gould, innamorato del problema della forma. Di rilievo
furono anche i contributi extradisciplinari, ad es. quelli dello
straordinario fisico italiano Giuliano Preparata.[12]

In Russia qualcosa di simile stava accadendo con l’approccio
nomogenetico, rappresentato da L. Berg, A. Ljubiš?ev, S. Meyen e altri,
ispirati dall’alternativa del grande von Baer al darwinismo.
Partecipando a entrambi, l’embriologo dell’Università di Mosca Lev
Belousov, rappresenterà il trait-d’union fra le conferenze nomogenetiche
della Scuola biologica russo-estone e gli incontri del Gruppo di Osaka
che si svolgeranno negli anni successivi (Praga 1987, Cornwall 1988,
Mosca 1989, Oaxtepec 1991, Potsdam 1993).

Giuseppe Sermonti, nella sua veste di direttore della Rivista di
Biologia orienterà i propri sforzi controcorrente a favorire tale
comunicazione tra le linee strutturaliste della biologia est-europea,
giapponese e occidentale, dando così vita in Italia a un plesso
fondamentale della presa di coscienza e della diffusione delle idee
strutturaliste in biologia.[13]

Il 1986 è anche l’anno della pubblicazione di Dopo Darwin, di cui
parleremo più avanti, e quello in cui Sermonti decide di lasciare
l’insegnamento universitario. Sul piano culturale e divulgativo
l’impegno non è minore, con la pubblicazione di centinaia di elzeviri
che nel corso degli anni compariranno sui quotidiani Il Tempo, Roma, Il
Giornale e infine Il Foglio (compresa una divertita collaborazione al
periodico Astra, in spregio del bigottismo di molti suoi colleghi che
mai si “contaminerebbero” dialogando con chi crede all’astrologia),
numerose conferenze, e la pubblicazione di sorprendenti volumi che
punteggiano un percorso di ricerca vivace e multidisciplinare, intessuto
di una scrittura bellissima.


L’anima scientifica

Se già nel 1974 una deliziosa raccolta di fiabe su temi scientifici[14]
aveva dimostrato l’interesse dell’Autore per il significato e le
simbologie della scienza nascoste nella tradizione delle favole (ad es.
la storia di Biancaneve, nata in ambienti della Rühr come figura
dell’estrazione dell’argento, “avvelenato” col cianuro e dormiente fino
al “bacio” della fornace), nel biennio 1981-1982 compaiono due brevi
saggi di intensa meditazione: Le forme della vita[15] e L’anima
scientifica.[16] In particolare quest’ultimo, edito inizialmente in
poche centinaia di copie, destò l’ammirazione di originali pensatori
come Zolla («il capolavoro di Sermonti»), Panikkar (il teologo raccontò
di non aver chiuso occhio per divorarlo in una notte) e Cattabiani, il
quale, oramai in fin di vita per il cancro che lo affliggeva, pregò
l’editore Marco Albertazzi (La Finestra) di ripubblicare «la gemma di
Sermonti».[17]

L’anima scientifica è «una discussione sul metodo, una sorta di dialogo
sui massimi sistemi, di cui uno è l’evoluzionismo e l’altro è la
realtà».[18] Vi scrive Sermonti:

«Come insegnava Goethe, non dovremmo chiederci il perché ma il come
delle cose. Nel chiedere il perché c’è un tacito presupposto che dietro
ogni cosa ci sia un’intenzione, un proposito (appunto, un “perché”) e
quindi che ogni cosa sia scomposta o scomponibile in fini e strumenti, o
mezzi di produzione, come un’azienda umana. Sotto tutto questo c’è una
sottile mentalità ottimistica, economicistica, produttivistica. No. Il
mondo opera su un’altra dimensione, galleggia nell’eterno, è sospeso
nell’infinito, ed è per l’appunto questo spostarci nelle sue dimensioni
incantate il più raffinato e prezioso risultato della conoscenza, e non,
al contrario, quello di rovesciare il mondo ai nostri piedi.

Comprendere la realtà per rappresentazioni, per riferimenti a tipologie,
vuol dire riceverla per simboli. (...) [Ma] una scienza che riceve la
natura per simboli, che la interpreta attraverso archetipi, si dispone
ad offrirci una immagine delle cose che stranamente richiama quella di
un’antica ermeneutica, oppure quella di una sacra rappresentazione.
(...) Gli scienziati hanno esplorato il mondo per innumerevoli ragioni e
ispirazioni, con amore o con odio, con rispetto od arroganza, al
servizio della verità o della menzogna. Ciò che semmai si può
rimproverare loro è quello d’aver consentito (ma non tutti l’hanno
fatto, specie tra i maggiori) a farsi rappresentare dai cavalieri
dell’apocalisse, di aver accettato l’invito alla tavola del lupo, o
anche d’essersi fatti commuovere dalle omelie di profeti travestiti.

Non voglio processare l’umanità o me stesso, ma proporre una strada in
cui trovo più senso, più garbo, più saggezza che nelle piste della
scienza ufficiale. E non sono certo io il primo a suggerirla. Io non
faccio che ricercare un sentiero che piedi sapienti hanno percorso molto
prima di me, e non ho mai ambito né pensato, né preteso, di saper fare
qualcosa di più di questo.»[19]

 

Oltre Darwin

Nel 1980 era già uscita la principale opera sul darwinismo,[20] scritta
a due mani col giovane paleontologo Roberto Fondi[21] il quale si dedicò
alla seconda parte del volume dedicata all’applicazione dell’Evoluzione
all’uomo. In essa si indaga l’aspetto ideologico nascosto sotto
l’apparente obiettività scientifica della teoria dell’evoluzione per
selezione naturale di Charles Darwin, che aveva mutuato l’idea
fondamentale di «sopravvivenza del più adatto» dalla “bibbia”
dell’economicismo inglese del suo tempo, il Saggio sul principio della
popolazione (1798) di Thomas Malthus. L’idea che il debole debba
soccombere, e che la natura porti comunque, automaticamente, verso un
miglioramento della specie, piaceva molto ai sostenitori del Progresso e
del sistema capitalistico, allora in piena fioritura nel mercantilismo
dell’impero britannico.

Se il darwinismo si impose, scalzando in breve tempo altre ipotesi e
interpretazioni, si deve insomma soprattutto a fattori sociali ed
economici, e non certo, come propugnano i divulgatori della teodicea
darwiniana, a una “evoluzione” del sapere per selezione dell’idea
migliore. In realtà è il concetto stesso di evoluzione a selezionare e
rinforzare la cornice ideologica che l’ha a sua volta scelto, allevato e
abbracciato: società mercantile e ideologia scientifica, entrambi frutto
del medesimo modello capitalistico, si giustificano a vicenda. Di fronte
a un simile incesto, la sola esistenza di altre valide spiegazioni del
mondo biologico, genera sorpresa e un senso di liberazione
intellettuale. Il libro di Sermonti destò dunque clamore, e in soli due
anni conobbe cinque edizioni.

La ricca documentazione offriva per la prima volta ai lettori italiani
la conoscenza di ricerche biologiche non darwiniane condotte in molti
paesi, riabilitava la dignità scientifica della forma, e ribaltava
l’idea di un’origine spontanea della vita e dello sviluppo graduale dal
semplice al complesso, mostrando che la ricchezza delle forme viventi
non è aumentata col progredire delle ere, e che non sono mai esistite
incompiute “forme intermedie”. La vita echeggia nel tempo variazioni di
temi perenni, dentro l’architettura senza storia delle leggi naturali.
Una rilevante appendice al dibattito verrà aggiunta da Sermonti cinque
anni dopo, pubblicando La luna nel bosco, saggio sull’origine della
scimmia,[22] che contesta l’origine scimmiesca dell’uomo. Naturalmente
Sermonti non vi abbraccia, come si è voluto far credere, una visione
devoluzionista (l’idea cioè di una sorta di evoluzione al contrario,
discendente, appunto una devoluzione, ad es. dall’uomo alla scimmia).
Egli riprende piuttosto l’esposizione della ricapitolazione e della
pedomorfosi di Stephen Jay Gould,[23] e la grande idea ologenetica di
autori come Karl Ernst von Baer e Daniele Rosa, secondo la quale la
completezza, la maggiore ricchezza d’informazione, la massima
potenzialità, si trovano al principio piuttosto che alla fine della
tassonomia, e lo svolgersi della filogenesi non fa che specificare,
adattare a una funzione di nicchia specifica, ciò che era totipotente e
dunque aspecifico. Queste tematiche si intrecciano al fenomeno della
neotenia, cioè la “risalita” di certe specie verso i propri caratteri
originari e potenziali, secondo quanto indicato da Kollman e Bolk. Per
quest’ultimo, ad es., la nostra specie si distingue tra gli ominidi
proprio per essere neotenica: «l’uomo, nel suo sviluppo fisico, è un
feto di primate che è divenuto sessualmente maturo».[24]


Fig. 4 Confronto tra i crani di un feto di scimpanzé (sinistra) e di un
feto umano (destra), e tra due esemplari adulti: l’allontanamento del
pongide dalla forma “giovanile” è assai più grande di quanto non avvenga
nell’umano, il quale tende a mantenerla (neotenia)
[da G. Sermonti, Il tao della biologia, Torino, Lindau 2007, p. 79].

Fig. 5 Un’ipotesi non darwiniana: la periodicità biologica
morfofunzionale dell’ala secondo il citogenetista dell’Università di
Lund Antonio Lima-de-Faria (fatto conoscere in Italia per primo da
Sermonti) non ha una causa genetica. L’ala compare improvvisamente in
generi e specie privi di relazione genetica diretta – pterosauro,
pipistrello, uccello, insetto, pesce volante – secondo un ritmo
ordinato, come nel paradigma della tavola degli elementi di Mendeleev.


L’origine dunque non va intesa in senso temporale e meccanicamente
causale. In effetti “le origini” ricercate dalla scienza moderna,
interessano poco:

«Esse non sono le ragioni delle forme, ne sono puramente uno strumento,
il fango primigenio che, anziché indicare, contraddice e si oppone alla
forma che da esso sta per generarsi (…) L’origine – nella tradizione di
von Baer – è il piano generale entro di noi, è la classe entro cui siamo
collocati nello spazio dei viventi».[25]

Possiamo affermare in tal senso che l’uomo è più giovanile, più vicino
all’origine, degli antropoidi arrampicatori ben adattati al proprio
pezzo di mondo. L’uomo, animale incompleto e senza nicchia, «creatura
aurorale e primigenia», girovaga per il pianeta come l’adolescente del
creato, alla ricerca di un’idea sempre al di là dell’orizzonte.

L’argomento verrà ripreso dall’Autore un ventennio dopo nel volume
Dimenticare Darwin,[26] una sorta di pacata ed elegantissima resa dei
conti col vecchio avversario, davanti al tribunale del tempo. Con
argomenti aggiornati alla letteratura scientifica del post-darwinismo e
dei grandi colleghi di fronda coi quali ha potuto confrontarsi in tutto
il mondo dopo l’edizione del primo libro, conferma le proprie
conclusioni, e porge alle discipline della vita l’invito del matematico
e filosofo Alfred N. Whitehead: «Una scienza incapace di dimenticare i
propri fondatori è perduta». A conclusione della prefazione, Sermonti
fra l’altro puntualizza:

«Per le riserve che nutro nei confronti dell’Evoluzionismo sono stato
accusato d’essere un “creazionista”. Non lo sono: se me lo si permette,
aspirerei soltanto ad essere una creatura.»[27]


Dalla storia della scienza a quella della scrittura

In quegli anni l’editore romano Di Renzo comincerà l’opera ancora in
corso di pubblicazione delle «commedie da tavolo»,[28] dialoghi
immaginari ma verosimili tra i protagonisti delle più illuminanti
vicende storiche della scienza, dalla scoperta delle leggi di Mendel al
dibattito sulla circolazione sanguigna, dal Progetto Manhattan, alla
vita dello scienziato e filosofo russo Pavel Florenskij.

Esse uniscono il piacere di piccoli e squisiti pezzi teatrali, con
l’indagine rivelatrice di avvenimenti cruciali nella scienza, spesso
ribaltando luoghi comuni impostisi per decenni. È ad es. divertente
constatare come lo scopritore della circolazione sanguigna, William
Harvey, il quale difendeva la centralità del cuore nel circolo
paragonando l’organo a un re, espungesse la metafora, e abbracciasse
addirittura il modello contrario, che dava più importanza alla periferia
dei vasi, subito dopo la rivoluzione di Cromwell e la decapitazione di
Carlo I.[29]

Dall’interesse per le modalità simboliche, il significato e le origini
della scienza, Sermonti, impegnato ad aggiornare e ripubblicare le sue
opere, negli ultimi anni ha tratto anche un sorprendente filone di
ricerca, apparentemente sconnesso dal suo campo d’indagine. È lo studio
dell’origine zodiacale degli alfabeti semitici, basato sulla
comparazione formale, simbolica e ordinale con gli antichissimi segni di
raffigurazione delle costellazioni (databili a oltre 20.000 anni dal
presente) e le lettere della nostra famiglia alfabetica, testimoniate
già intorno al III millennio a.C.

L’ordine costante (A, B, C, ecc.) e la forma stessa delle lettere, che
in versioni variate vediamo ripetersi per tutti gli alfabeti della
nostra civiltà, dal sinaitico, al lineare B, al greco, all’etrusco, al
latino, non sarebbero dunque del tutto convenzionali, ma avrebbero una
radice rovesciata, che rivolgendosi verso l’alto affonderebbe nel cielo.
L’alfabeto non sarebbe che un’immagine derivata delle forme delle
costellazioni (vedi figura 6).


Fig. 6 Corrispondenza millenaria fra alcune lettere indoeuropee (fenicio
e greco) ed asterismi [da G. Sermonti, “¿Desciende el alfabeto de las
constelaciones?”, Beroso [Barcelona] (2002) 7, p. 29].


Sebbene la corrispondenza formale e ordinale fra i segni alfabetici e le
costellazioni sia effettivamente impressionante, l’idea genera
sconcerto. Cosa può mai esserci in effetti di più arbitrario, e dunque
variabile, delle forme che gli uomini hanno immaginato unendo dei
puntini luminosi nel cielo stellato? Eppure, quelle “forme immaginate”
hanno una costanza plurimillenaria. Con uno studio transculturale di
grande fascino, avvalendosi di contributi pressoché dimenticati di
studiosi come Marcel Badouin, Sermonti ricostruisce la misteriosa
antichità delle forme del nostro zodiaco, ipotizzandone un’origine
paleolitica.[30]

Di più, egli è riuscito a trovare un terzo elemento di paragone, una
logica di collegamento extra-formale tra le due classi di segni, e cioè
una dinamica astronomica dei miti più antichi della nostra civiltà. Le
stesse radici semantiche che sovrintendono alle narrazioni antiche, non
sarebbero che illustrazioni dei movimenti dei cieli, come aveva detto il
grande Giorgio De Santillana,[31] e ci aiutano a comprendere l’ordine e
i sottogruppi (corrispondenti a cicli mitici) delle nostre lettere.


Fig. 7 Miti e costellazioni. La raffigurazione mitraica del sacrificio
del Toro, riporta fedelmente le costellazioni di Perseus, Taurus, Canis
Maior, Hydra, Scorpio, secondo un modello rimasto invariato nei
millenni, dalle figure minoiche alle icone di S. Giorgio che uccide il
drago [da G. Sermonti, Il mito della Grande Madre, p. 93].

Fig. 8 Toro Farnese, particolare (II sec. d.C., Museo Archeologico di
Napoli). Questo gruppo scultoreo rappresenta il mitico supplizio di Dirce.


In realtà non si tratta che della medesima riflessione sull’enigma della
forma, mossa da una prospettiva più generale, quella culturale. Nel 2002
esce così, dopo una serie di articoli comparsi su varie riviste, Il mito
della grande madre, dalle Amigdale e Çatal Hüyük,[32] un saggio
avvincente, ricco di osservazioni astronomiche, archeologiche,
filosofiche e naturalistiche sulle origini della nostra civiltà. Ad esso
sta per aggiungersi un nuovo volume,[33] il quale ne approfondisce e
puntualizza molti aspetti.

L’atto di indagare la genesi della scienza (questa religione rispettata
e temuta), di sollevare il velo che tutti ritenevano inesistente, e
guardare là dove era inconcepibile si potesse spingere lo sguardo, ha
condotto lontano l’Autore, dimostrando la fecondità delle sue
riflessioni e delle sue intuizioni. Per noi risulta un insegnamento
prezioso, e un’inestimabile speranza di libertà e verità.



NOTE
 

[1] Scientismo è la metafisica che assolutizza (o essenzializza)
l’oggetto come definito dai parametri del metodo sperimentale
quantitativo nato in Europa tra la fine del XVI sec. e i primi decenni
del XVII sec. Esso, in breve, postula che tutta la realtà si riduce a
ciò che la condivisione linguistica e teorica (a sua volta convenzionata
in termini matematici) preseleziona e definisce come reale, senza porsi
il problema della genesi del linguaggio e della teoria stessi, né della
relazione costitutiva dell’oggetto con tali variabili, ovvero con il
soggetto conoscente. In termini più semplici è l’ingenua fede nella
“verità” astorica, assoluta e onnicomprensiva della scienza (sia come
metodo, sia come risultati), o un’indebita identificazione della
razionalità e della conoscenza medesime con la scienza. In un certo
senso lo scientismo è il provincialismo della conoscenza, ed è divenuto
per questo il verbo comune della cosiddetta globalizzazione. La
globalizzazione ha infatti ridotto il mondo a “provincia” non solo in
termini di tempo e spazio, ma anche di qualità e differenze; il suo
abitatore tipico è il turista occidentale middle-class convinto di
rappresentare a buon titolo, con le sue reazioni e i suoi interessi
standard, l’umanità, magari mentre a Parigi, New York o Shanghai cerca
il suo pranzo al McDonald.

[2] La vicenda venne seguita dal quotidiano romano Il Messaggero il 20 e
il 25 maggio 2003.

[3] Strettamente parlando, non è neanche un’operazione particolarmente
originale cercare errori in una produzione che negli anni ha accumulato
forse un migliaio di articoli, senza contare i libri!

[4] A titolo di esempio si veda la recensione del CICAP, a firma Andrea
Bottaro, al libro Dimenticare Darwin, sul sito
www.cicap.org. L’autore
si prodiga nel mettere in bocca a Sermonti solenni sciocchezze da lui
mai profferite, ovviamente senza citare le fonti, s’incaponisce alla
ricerca di errori per “trarre in fallo” il professore, e riferendo con
acredine un complimento mosso da un lettore al suo stile letterario
(«Uno che credesse nella reincarnazione, direbbe che Sermonti in una
vita precedente fosse [sic] un poeta») conclude: «La cosa veramente
difficile da credere è che, solo qualche decennio fa, Sermonti sia stato
uno scienziato». Se l’eleganza pare a costui una colpa e quasi un trucco
da illusionista, si capisce la competenza estetica dalla quale può
accusare l’Autore di «uso pretenzioso di arcaismi» (sic)! Visti i
termini – poesia versus scienza – dev’essergli davvero costato un grande
sforzo allontanarsi dalle sue solite letture per scrivere la recensione.

[5] Cfr. Guy Debord, Commentari sulla società dello spettacolo, IV: «…in
definitiva il senso dello spettacolare integrato è che si è integrato
nella realtà stessa man mano che ne parlava; e che la ricostruiva come
ne parlava. Così questa realtà non gli sta più di fronte come qualcosa
di estraneo (…) Lo spettacolo si è mischiato a ogni realtà,
irradiandola. Come era facilmente prevedibile sul piano teorico,
l’esperienza pratica della realizzazione sfrenata delle volontà della
ragione mercantile avrà dimostrato rapidamente e senza eccezioni che il
divenir-mondo della falsificazione era anche un divenir-falsificazione
del mondo. Eccetto un patrimonio ancora cospicuo, ma destinato a ridursi
sempre di più, di libri e di edifici antichi (…) non esiste più nulla,
nella cultura e nella natura, che non sia stato trasformato, e
inquinato, secondo le capacità e gli interessi dell’industria moderna.
La genetica stessa è diventata pienamente accessibile alle forze
dominanti della società» (1988, trad. It. di Fabio Vasarri). Id, La
società dello spettacolo, I, 6: «Lo spettacolo, compreso nella sua
totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di
produzione esistente. Non è un supplemento del mondo reale, la sua
decorazione sovrapposta. È il cuore dell’irrealismo della società reale.
In tutte le sue forme particolari, informazioni o propaganda, pubblicità
o consumo diretto di distrazioni, lo spettacolo costituisce il modello
presente della vita socialmente dominante. Esso è l’affermazione
onnipresente della scelta già fatta nella produzione, e il suo consumo
conseguente. Forma e contenuto dello spettacolo sono entrambe l’identica
giustificazione totale delle condizioni e dei fini del sistema
esistente. Lo spettacolo è anche la presenza permanente di questa
giustificazione, in quanto occupazione della parte principale del tempo
vissuto al di fuori della produzione moderna.» (1967, trad. It. di Paolo
Salvadori). Entrambe le opere di Debord, brevi quanto dense e preziose,
meritano di essere lette e meditate, senza spaventarsi per la difficoltà
apparente di queste citazioni (all’opposto dell’insignificante facilità
del modello Piero Angela, che invece dovrebbe spaventarci). Le si
trovano riunite in un unico volumetto tascabile riedito fin dal 2001 da
Baldini Castoldi Dalai, e altri (l’importante, a detta dello stesso
Autore, è evitare le straduzioni realizzate in Italia prima del 1979).

[6] La diffusione “culturale” attraverso popolari quotidiani (come La
Repubblica) e importanti case editrici, è iniziata prima, perché il suo
sistematico e ininterrotto martellamento giungesse a ottenere tale
risultato. L’apparente obiettivo antireligioso (una vera missione) dei
libercoli semi-comici di Odifreddi, Dawkins, Onfray, Hitchens, o
l’erotofilia spinta che si riscontra un po’ ovunque, non sono che
falsoscopi. Quel che realmente viene mediata è una visione oggettivista
della realtà.

[7] Cfr. ad es. l’allegra panoramica di A. Lima-de-Faria, Praise of
Chromosome “Folly”. Confessions of an Untamed Molecular Structure, World
Scientific, Singapore, 2008, in attesa del prossimo libro di M.
Piattelli-Palmarini e J. Fodor, previsto per quest’anno, sull’evoluzione
senza adattamento, come annunciato da Piattelli-Palmarini stesso in
“L’ornitorinco sconfigge Darwin”, Corriere della Sera, 14/05/2008. Un
volume “storico” sull’argomento resta A. Lima-de-Faria, Evoluzione senza
selezione. Autoevoluzione di Forma e Funzione, trad. It. Genova, Nova
Scripta, 2003. Ma è dell’ottobre 1998 (11 anni fa!) la copertina della
rivista New Scientist intitolata: «Evolution is Dead».

[8] Cfr. G. Sermonti, Genetics of Antibiotic-Producing Microorganisms,
Wiley & Sons, London 1969.

[9] Rusconi, 1971, riedito nel 2002 per i tipi di Nova Scripta.

[10] Rusconi, 1974, anche questo riedito da Nova Scripta, 2006.

[11] Mae-Wan Ho, “A Structuralism of Process”, in B. C. Goodwin - A.
Sibatani - G. Webster (eds.), Dinamyc Structures in Evolution, Edinburgh
University Press, Edinburgh 1989. Lo strutturalismo in biologia (più
propriamente strutturalismo dinamico) pone al centro della ricerca il
problema della forma, della sua genesi e delle leggi che la regolano nel
vivente. Rappresenta un’importante tradizione parallela al dominante
modello darwinista, e ha dato vita a concetti come quello di «campo
morfogenetico».

[12] Cfr. G. Sermonti - A. Sibatani, “Dieci anni del Gruppo di Osaka”,
Rivista di Biologia 92 (1999), pp. 211-218. Il testo teorico di
riferimento più importante comparso in Italia è l’eccellente volume: G.
C. Webster - B. C. Goodwin, Il Problema della Forma in Biologia,
Armando, Roma 1988. Rapporti sugli incontri nazionali e internazionali
del Gruppo di Osaka si trovano in diversi numeri della Rivista di Biologia.

[13] La nomogenesi (declinata da Autori diversi in varie forme come
autogenesi, ortogenesi, ologenesi, evoluzione regolata, ecc.) vede nelle
forme viventi e nelle loro disposizioni tassonomiche un ordine non
casuale e autopoietico, già presente in potenza al principio del loro
dispiegarsi. Per una panoramica della biologia non darwiniana e una
trattazione critica (ma – occorre dirlo? – non creazionista) dei
contorni culturali della teoria dell’evoluzione cfr. la rivista Atrium,
IX (2007) 1, numero speciale sull’evoluzionismo a cura di S. Serafini.

[14] Il Ragno, il Filo e la Vespa, Mondadori, Milano 1974, riedito nel
2004 col titolo La Danza delle Silfidi dall’editore La Finestra (Lavis).
A questo volume ne seguiranno altri tre, a carattere tematico: Fiabe di
Luna, Rusconi, Milano 1986; Fiabe del sottosuolo, Rusconi, Milano 1989;
Fiabe dei fiori, Rusconi, Milano 1992. Col titolo Fiabe di tre reami.
Simbolismo e funzione delle fiabe, essi sono stati raccolti in una
silloge illustrata di oltre 650 pagine dall’editore La Finestra nel 2004.

[15] Armando, Roma 1981, riedito da Sodalitium, Verrua Savoia 2003.

[16] Dino, Roma 1982, poi Solfanelli, Chieti 1994, poi La Finestra,
Lavis 2003, e infine (con il titolo Una scienza senz’anima) Lindau,
Torino 2008.

[17] Comunicazione personale di Marco Albertazzi.

[18] G. Sermonti, L’anima scientifica, La Finestra, Lavis 2003, p. 47.

[19] Ivi, pp. 49-51.

[20] G. Sermonti - R. Fondi, Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo,
Rusconi, Milano 1980.

[21] Roberto Fondi, un altro autore interessante, attualmente insegna
Paleontologia del Quaternario presso l’Università di Siena.

[22] Rusconi, Milano 1985; riedito e ampliato col titolo Il tao della
biologia, Lindau, Torino 2007.

[23] Cfr. S. J. Gould, Ontogeny and Phylogeny, Harvard University Press,
1977. La ricapitolazione vuole che lo sviluppo dell’organismo ripercorra
gli stadi evolutivi della specie, come illustrato dal noto falso di
Ernst Haeckel. La pedomorfosi è lo sviluppo di caratteristiche
morfofunzionali giovanili della famiglia in animali già sessualmente
maturi, ad es. l’uomo i cui caratteri biometrici (la posizione relativa
del foramen, la forma tondeggiante del cranio, ecc.) lo rendono molto
simile ai piccoli degli scimpanzé, ma assai meno agli individui adulti
(vedi figura 2).

[24] L. Bolk, Das Problem der Menschwerdung, Gustav Fisher, Jena 1926,
cit. in G. Sermonti, Il tao della biologia, op. cit. p. 64.

[25] G. Sermonti, Il tao della biologia, op. cit. pp. 130-131.

[26] G. Sermonti, Dimenticare Darwin. Ombre sull’evoluzione, Rusconi,
Milano 1999, uno degli ultimi titoli prima della chiusura del grande
editore, andato presto esaurito. Riproposto con alcune sviste
redazionali da Il Cerchio di Rimini nel 2003 (edizione riveduta e
ristampata nel 2006), è anche il primo libro dell’A. tradotto negli
Stati Uniti col titolo Why is a Fly not a Horse?, Discovery Institute,
Seattle 2005.

[27] G. Sermonti, Dimenticare Darwin. Ombre sull’evoluzione, Rusconi,
Milano 1999, p. 14.

[28] Profeti e professori. Tre “commedie da tavolo”, 1997; Scienziati
nella tempesta. Profeti e professori, 2003; Tra le quinte della scienza.
Profeti e professori. Cinque commedie da tavolo, 2007. Questo approccio
alla storia della scienza aveva avuto un precedente, dalla forma più
tradizionale, nel volume: Mendel, nascita e rinascita della genetica, La
Scuola, Milano 1984.

[29]Cfr. “Le ragioni del cuore”, in G. Sermonti, Profeti e Professori,
op. cit., p. 59.

[30] Cfr. G. Sermonti, “Le nostre costellazioni nel cielo del
paleolitico”, Giornale di Astronomia, XX (1994) 3, pp. 4-8; G. Sermonti,
“¿Desciende el alfabeto de las constelaciones?”, Beroso [Barcelona], 7
(2002), pp. 7-30;  G. Sermonti, “Origine astrologica dell’alfabeto”,
Avallon 50 (2002), pp. 41-54; G. Sermonti “Mansiones  lunares y
alfabeto”, Beroso, 10 (2003), pp. 29-50; S. Serafini, “La scrittura
celeste: nell’alfabeto un’antica testimonianza archeoastronomica?” e G.
Sermonti, “Un tentativo di raffronto tra stazioni lunari e alfabeti”,
entrambi in Rivista Italiana di Archeoastronomia, II (2004), pp. 95-106
e 107-116; S. Serafini, “Le forme delle stelle. G. Sermonti sull’origine
dell’alfabeto”, Atrium VI (2004) 4, pp. 47-66; G. Sermonti,
“L’abbecedario degli astri”, Atrium VII (2005) 1, pp. 5-27; G. Sermonti,
“Lettura archeoastronomica del Disco di Festo”, Riv. Italiana di
Archeoastronomia, III (2005), pp.17-29; G. Sermonti, “L’alfabeto
discende dai cieli”, in Istituto Accademico di Roma, ACTA 2007, Il
Veltro, Roma 2007, pp. 209-225.

[31] G. De Santillana - H. Von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul
mito e sulla natura del tempo, trad. It. Milano, Adelphi 1983.

[32] Mimesis, Milano. L’inizio di tali studi risale a dieci anni prima,
dalla collaborazione col turcologo Giacomo Carretto, cfr. G. Sermonti -
G. E. Carretto, “Biologia della riproduzione in una città neolitica.
Simboli astrali a Çatal Hüyük”, Rivista di Biologia / Biology Forum, 85
(1992), pp. 311-320; G. Sermonti, “Scienza e mito in un sito neolitico
dell’Anatolia”, Atti e Memorie della Accademia Petrarca di Lettere, Arti
e Scienze, n.s. LV (1993), pp. 69-85.

[33] Mentre scriviamo il volume è in fase di correzione di bozze, e
vedrà la luce a breve per i tipi dell’editore Mimesis (Milano).

 

Tratto da NEXUS New Times n. 79 (aprile-maggio 2009), pp. 84-93,
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