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Gli inglesi contro l'ENI

di Gianni Petrosillo - 03/09/2009


Eccoli di nuovo al lavoro contro la nostra migliore impresa di punta, con l’intenzione di smembrarla
ed impedire che questa possa proseguire sulla strada della penetrazione dei principali mercati
mondiali a tutto vantaggio dell’economia italiana.
Perché il Financial Times invoca, per il gruppo Eni, la separazione delle rete energetica, con
affidamento a soggetti diversi (privati) della distribuzione? Perché ciò migliorerebbe i nostri conti
pubblici. Come sono premurosi questi inglesi! Per il FT uno Stato indebitato come quello italiano
deve strappare ogni centesimo ai propri assets al fine di migliorare la condizione del suo deficit. La
verità è che trasformando l’ “animale strano a sei zampe” in una bestia finalmente domata e supina
ai dettami di Bruxelles ci andrebbero a guadagnare i concorrenti di ENI, soprattutto inglesi e
americani.
Addirittura, il quotidiano londinese sostiene che il modello ENI ha raggiunto i suoi limiti di
sviluppo e deve pertanto voltare pagina altrimenti potrebbe non riuscire a staccare dividendi per i
suoi azionisti. Anche qui, quanta premura! Perché gli inglesi non si preoccupano dei risparmiatori
truffati dalle loro banche?
Il FT, inoltre, dovrebbe pensare ai propri di conti considerato che sta attraversando una crisi nera ed
è in gravi difficoltà finanziarie avendo perso, nel primo semestre 2009, il 40% dei profitti rispetto al
2008. Invece di fare interviste alla D’Addario, per screditare il premier Berlusconi, il FT dovrebbe
cercare di spiegare le ragioni della debacle economica che sta facendo saltare le banche britanniche,
allegramente coinvolte nella finanza champagne e salvate dagli interventi dello Stato. In Inghilterra
i principi del liberismo valgono solo ad intermittenza oppure non valgono proprio?
Chiaramente sono tutti pretesti quelli del giornale economico londinese, rivolti ad indebolire il
nostro paese in un settore strategico e determinante per gli equilibri internazionali, soprattutto
laddove la securitizzazione della politica estera, in questa fase multipolare, passa, sempre più,
attraverso le pipelines del gas e del petrolio.
L’Eni fa bene il suo mestiere e questo agli economisti di sua maestà non piace affatto.
Il gruppo Eni va smembrato» E il titolo accelera in Borsa (fonte il
Giornale)
di Paolo Stefanato
Il «Financial Times» sostiene la necessità di separare estrazione e
distribuzione. La società: «Non è nei programmi». Più 1,2%
Il Financial Times ha sostenuto ieri l’idea di una separazione tra le attività di produzione e di
distribuzione all’interno del gruppo Eni. Le finalità che potrebbero essere ottenute con
un’operazione straordinaria di questo tipo si condensano in un’unica espressione: creazione di
valore. Sulla scia dell’analisi del Ft il titolo Eni ha guadagnato in Borsa l’1,23%, in una giornata
debole su tutti i mercati.
Il Ft richiama l’esempio di altri Paesi in Europa (in particolare, le operazioni analoghe che
hanno interessato British gas); nella sua Lex column sul «cane a sei zampe», definito «un
animale strano», si sottolinea che il break-up sarebbe conveniente per lo Stato «indebitato»
(che possiede il 30% del gruppo ex pubblico) e interessato «a strappare ogni centesimo dai
propri asset»; e si avverte, inoltre, che l’operazione - da condurre «a piccoli passi» -
risponderebbe ai nuovi dettami dell’Unione europea. Il quotidiano inglese porta anche un
ulteriore elemento a sostengono della sua tesi: «Il recente taglio del dividendo dimostra che il
modello ha raggiunto i limiti. Eni dovrebbe essere smembrata».
Che la separazione e l’autonomia dei business possa portare alla valorizzazione dei singoli rami
di attività è un’opinione che spesso trova riscontro nelle riorganizzazioni dei grandi
conglomerati industriali. Nel caso dell’energia, tuttavia, molti fanno notare che nel settore
sono a confronto i giganti di tutto il mondo, e solo la robustezza delle dimensioni permette di
trattare a pari livello. Il Ft anticipa, tuttavia, questa argomentazione sostenendo che le due
divisioni - produzione e distribuzione - anche se separate manterrebbero un peso sufficiente.
Oggi il gruppo Eni è suddiviso in quattro divisioni: E&P, ovvero esplorazione ed estrazione di
idrocarburi (petrolio e gas), la più importante con 17,4 miliardi di euro di utile operativo (dati
2008) sui 21,7 dell’intero gruppo; G&P, che commercializza il gas e l’energia elettrica con
questo prodotta, e che si occupa del trasporto attraverso i gasdotti (3,5 miliardi); R&M, che
effettua la raffinazione e la distribuzione nelle stazioni di servizio (0,56 miliardi); Ingegneria e
costruzioni (1 miliardo). La tesi del quotidiano riguarda le prime due aree.
L’analisi, giudicata «debole» da Ubs, ha trovato il favore del fondo Knight Vinke, che detiene
l’1% di Eni: esso sostiene che l’unione di upstream e downstream (estrazione e distribuzione)
crea vincoli finanziari, e che la struttura del gruppo guidato da Paolo Scaroni potrebbe essere
migliorata.
Al suo azionista l’Eni ha risposto con una nota per ricordare i benefici strategici e commerciali
dall’integrazione fra il gas marketing e il settore E&P, senza la quale molte operazioni
internazionali non sarebbero state possibili: pertanto «non è in programma di separare i due
business».
Il gruppo petrolifero sottolinea di avere già ristrutturato il gas regolamentato con la cessione di
Stogit e Italgas a Snam Rete Gas «iniziativa salutata positivamente dagli azionisti». Quanto al
dividendo, la riduzione da 0,65 a 0,50 euro dell’acconto di luglio trova motivazioni nelle
incertezze del mercato e nella necessità di rafforzare quanto più possibile la struttura
patrimoniale del gruppo.