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Io so.

di Michele Vignodelli - 24/03/2006

Fonte: Michele Vignodelli

Io so.


So che l'origine dell'agricoltura, e quindi delle civiltà, non fu una
brillante scoperta ma un atto di disperazione, in risposta a un disastroso
cambiamento improvviso del clima;

so che le condizioni di vita peggiorarono drasticamente, tanto che la durata
media della vita precipitò a meno di 20 anni e ritornò al livello
paleolitico (40 anni) solo a partire al XIX secolo, grazie allo sfruttamento
di grandi giacimenti di energia fossile;

so che l'attività agricola, per quanto faticosa e abbruttente, una volta
intrapresa non può essere abbandonata perché funziona come una trappola a
caduta, producendo un'esplosione demografica;

so che le città nate insieme all'agricoltura sono organismi adattativi
integrati, parassiti, che competono tra loro e si autorganizzano in sistemi
economici di controllo e manipolazione dei loro abitanti, attraverso una
rete di premi, punizioni, suggestioni incorporata nella loro struttura
fisica, come in un labirinto di condizionamento per topi, finalizzato all'
espansione militare e/o commerciale;

so che questa continua espansione fornisce solo illusioni di felicità, esche
e droghe che non appagano mai,  nessuno, nemmeno quelli che ne hanno
il più grosso ritorno economico e politico, dato che con la sua bulimia
accrescitiva e innovativa disperde continuamente l'armonia ancestrale
della sociobiologia umana, generando sempre nuove miserie affettive;

so che in questa lunga, sanguinosa lotta competitiva tra città e cittadelle
commerciali (imprese) si è prodotto un immane patrimonio di conoscenza che
alcuni esseri umani hanno saputo sfruttare muovendosi negli interstizi della
macchina parassita, riconoscendone i meccanismi perversi e generando una
saggezza profonda, persino più profonda di quella delle culture
preistoriche, che aveva un orizzonte forzatamente limitato;

so che le metastasi impazzite del tumore urbano stanno soffocando la Natura
vivente, la nostra unica vera casa;

e allora io chiedo a tutti di mobilitarsi per trasformare le città in
organismi non più aggressivi verso il resto della biosfera (noi umani
compresi, anche se incorporati come schiavi nella macchina urbana), ma
finalmente integrate in una nicchia ecologica stabile e definita, socievoli
verso tutte le altre forme di vita;

chiedo di dichiarare solennemente almeno quattro quinti della superficie
abitabile come "zona deurbanizzata", terre sacre su cui gli uomini non
possano costruire strade, coltivare cereali, estrarre minerali, portare armi
da fuoco, usare sostanze chimiche, ma solo muoversi e abitare da veri uomini
liberi, come i nostri padri hanno fatto per più di centomila anni;

perché so che quest'unico gesto, pur così semplice, smonterà alla radice i
perversi meccanismi autoalimentanti del tumore urbano, che sono sempre
espansionistici in senso territoriale, anche se si rivestono di astratte
forme commerciali o finanziarie;

so che sulle terre libere rigenerate, ricche di fauna e di piante utili, si
formeranno inevitabilmente delle comunità in cui la pienezza della vita
umana sarà di nuovo possibile, finalmente consapevoli che un certo tipo di
sofferenza, a cui siamo intimamente adattati, è la fonte della nostra
socialità e intelligenza;

so che a ogni abitante delle città diventerà evidente il carattere
intrinsecamente malsano dello stile di vita urbano, nella sua stessa
opulenza;

ma so anche che sarà consapevole del suo ruolo come custode ed esploratore
di una millenaria sapienza accumulata negli archivi, nelle macchine, negli
occhi dei satelliti e dei microscopi, rendendola accessibile anche a chi ha
scelto di vivere la pienezza umana originaria, da cui trarrà a sua volta
beneficio come riferimento perenne di libertà, armonia, forza e saggezza.