L’Afghanistan ha un’estensione di 647.500 kmq, quasi due volte l’Italia, confina con Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Cina e Pakistan. La frontiera in comune solo con quest’ultimo Paese è di 2.640 km. Un’enormità.
Il Kosovo ha un’area di 10.887 km. Per la sua “stabilizzazione” in una condizione geopolitica – ormai pressoché definitiva – di narcostato dalla seconda metà del 1999, ottenuta con 78 giorni di bombardamenti aerei, segnata da residue tensioni etniche tra albanesi e serbi, USA-NATO-ONU-EULEX hanno impiegato sul terreno fino ad oggi un numero fluttuante di scarponi che non è mai sceso sotto i 12.000 e ha raggiunto un picco di 14.500. L’Abruzzo occupa un’area di 10.794 km. Stiamo usando gli stessi riferimenti che il generale Fabio Mini adopera nelle sue conferenze in giro per l’Italia dopo essere stato tagliato fuori non solo da Rai e Mediaset ma anche da La Repubblica che in qualche rara occasione gli ha consentito nel corso del 2008 di farci capire come stavano le cose al Comando Operativo Interforze di Centocelle ed in Afghanistan.
Ecco cosa dice l’ex comandante KFOR-NATO messo brutalmente da parte dal Popolo della Libertà di Martino per aver voluto eseguire solo “ordini scritti” e pensionato dall’Ulivo di Parisi: “Non siamo mai riusciti a sigillare completamente i confini tra Albania e Kosovo, non vedo come possano riuscirci gli americani lungo i confini Af-Pak, specie nei 650 km delle zone tribali sotto la sovranità formale di Islamabad”.
Un confine poroso, porosissimo.
In territorio pakistano ex ufficiali e sottoufficiali dell’ISI addestrano, quale che sia il governo al potere nel loro Paese, almeno 3.500-4.000 pashtun all’anno, sufficienti a coprire le perdite in combattimento in Afghanistan attingendo reclute da un serbatoio potenzialmente stimato di 250.000 uomini delle regioni centrali autonome di età compresa tra i 16 ed i 45 anni.
I dati “geografici” citati fanno immediatamente capire perché il controllo militare dell’Afghanistan sarebbe un obbiettivo strategico totalmente fuori portata per la coalizione Enduring Freedom-ISAF anche in condizioni di una ritrovata normalizzazione del quadro politico-organizzativo-economico del Paese.
Per il generale Mini, la guerriglia mujaheddin ha messo in campo nel 2008 7.000-7.500 combattenti e stima che siano aumentati a 10.000 nel corso dei primi otto mesi del 2009.
Un dato che non convince, a naso, per difetto.
Per altro non esiste, ad oggi, a distanza di quasi otto anni dall’intervento USA in Aghanistan, un solo documento ufficiale del Pentagono che quantifichi una stima sia degli “insorti” pashtun che delle milizie mujaheddin né si conosce un solo articolo pubblicato sulla materia da giornali americani od europei.
Siamo riusciti a darci su questo clamoroso buco di informazione la seguente spiegazione: il sostegno a Paesi “amici” o l’aggressione mascherata da operazioni di polizia internazionale, di peacekeeping/enforcing – funzioni che spesso si sovrappongono – finanziate dalla cosiddetta Comunità Internazionale con la flagrante complicità delle Segreterie Generali dell’ONU nei punti caldi dell’Africa e dell’Asia, stanno logorando, come effetto non previsto, a livello economico, militare e politico USA ed Europa.
Forze numericamente esigue, profondamente motivate, radicate sul territorio, che si vettovagliano e combattono a costi estremamente contenuti costituiscono oggi un modello vincente sia sul campo che in quello dell’economia di guerra del XXI° secolo.
In Afghanistan uno scarpone “tricolore” assorbe – al netto dell’incremento di spesa di 52 milioni di euro all’anno per la gestione dei soli quattro Tornado IDS – risorse per 450 euro (530 dollari) al giorno e cresce con l’aumento numerico e qualitativo dei mezzi terrestri ed aerei adibiti a protezione, sorveglianza, contrasto ed attacco.
L’”insorto” afghano si nutre, si rifornisce di proiettili in calibro 7.62×33 per il suo vecchio AK47, di cariche di lancio RPG e combatte, e bene, con non più 4-5 dollari nell’arco delle 24 ore, anche se il generale Castellano ci racconta qualche barzelletta che verrebbe voglia di perdonargli per l’ingenuità con cui sciorina paghe per i “ribelli” di 300-600 dollari al mese e compensi di 1.500 dollari per chi si fa saltare in aria.
Aiuta il pashtun il diverso livello di civiltà che lo distingue dall’aggressore, la fede nel suo Dio, la frugalità, l’esperienza maturata in combattimento e l’orografia.
L’80 % dell’Afghanistan è montagna dai 700 ai 3.000 metri d’altitudine.
Nel Paese delle Montagne il rapporto di costi di guerra tra Oriente ed Occidente è di 1:100.
L’insostenibilità di un’occupazione di lungo periodo, al di là dei risultati che si potranno ottenere sul campo, di USA ed Europa non può non essere immediatamente percepibile.
Insomma, dopo una costosissima usura materiale e psicologica ed una colossale perdita di credibilità politica l’Occidente dovrà, volente o nolente, togliere le tende, rinunciare all’occupazione militare dell’ Afghanistan.
Per capovolgere a suo vantaggio il conflitto al militante afghano basterebbe disporre di qualche centinaio di Sam 18 (spalleggiabili) e di un migliaio di lanciatori Kornet E od equivalenti, cinesi, pakistani, iraniani, non ha importanza.
Basterebbe il contenuto di 10-12 contenitori da 40″ distribuiti a dorso di mulo per far correre a rotta di collo all’imbarco aereo od alla fuga in colonna ISAF ed Enduring Freedom, personale militare e civile di West RC e PRT 11. Ambasciatore Sequi in rappresentanza di Italia-UE compreso.
Tra i mujaheddin ci sono capacità d’uso, magari un po’ ingiallite, e mani che hanno già impugnato i Fim 92 Stinger per abbattere 300 velivoli ad ala fissa o rotante dell’Armata Rossa.
Se in Kosovo per mantenere “ordine e sicurezza” serve mantenere pronto al combattimento 1 militare/kmq, in Afghanistan – con la presenza di sette ceppi linguistici ed otto diverse etnie, un passato ed un presente segnato da sanguinosi episodi di guerra civile, pesanti scontri tribali, rivolte armate ed una statualità inesistente – va da sé che anche 500.000 militari USA-NATO sarebbero del tutto insufficienti a garantire la “pacificazione”.
Nonostante gli sforzi degli “istruttori” dell’Arma dei Carabinieri, in Italia ed in Afghanistan, il livello di preparazione tecnica e di disposizione al combattimento dell’elitè di esercito e polizia afghana a tutt’oggi rimane fortemente inadatto per affrontare la “guerriglia” in campo aperto.
Secondo la rivista Navires & Histoire n° 56, dall’1 ottobre 2001 al 6 luglio 2009 Enduring Freedom ha avuto 983 caduti (di cui 33 suicidi) e 8.831 tra amputati e feriti, ISAF-NATO rispettivamente 632 e 5.814. Nello stesso periodo di tempo, sono morti per cause dirette ed indirette causate dalla “missione di pace” 84.473 tra “civili”, “ribelli”, militari e militarizzati afghani. Intanto Napolitano, il capo del Consiglio Supremo di Difesa, e La Russa, Ministro della Difesa della Repubblica delle Banane – in odor di combutta con Fini contro Berlusconi a quanto si sussurra – alleggeriscono di brutto il portafoglio degli italiani perbene recitando un mantra di manfrine.
Afghanistan: com’è e come ce lo racconta La Russa
di Giancarlo Chetoni - 25/09/2009