Nemmeno padri
di Andrea Marcon - 17/10/2009

L’assuefazione dell’uomo d’oggi ai dogmi della Modernità è un dato di fatto. Concetti come il primato dell’economia, la democrazia, il progresso, lo sviluppo, la tecnologia non sono semplicemente condivisi, sono introiettati. Sono indiscutibili, definitivi, pacifici: oltre non esiste che il buio, l’orrore, la barbarie… l’inconcepibile. L’uomo moderno ha perso la voglia di combattere, concepisce tutta la sua vita in funzione del lavoro, subisce passivamente il proprio stato di servo di un meccanismo politico ed economico che non comprende e tantomeno controlla. Quando non si inebetisce con i feticci del materialismo, trova soddisfazione e senso soltanto nella propria sfera personale: gli amici, gli affetti, la famiglia.
Quello che però è veramente sconcertante è che non riesce a tenere neppure questi ultimi contesti immuni dal virus della Modernità. Oggi l’uomo non solo si fa imporre e regolamentare persino i suoi sentimenti più profondi, ma trova che sia giusto così. Emblematico di questo spaventoso meccanismo è l’intervento legislativo e giudiziario nella crisi coniugale e nel conseguente rapporto dei genitori con i figli. Oggi si considera assolutamente normale non solo che soggetti terzi (legislatori e giudici, appunto) stabiliscano i torti e le ragioni nel rapporto tra marito e moglie e ne regolamentino la fine e i successivi sviluppi, ma persino che decidano il destino dei figli che da quel rapporto sono nati.
Ecco, io trovo veramente incredibile che un uomo, in quanto tale, non sia in grado di rendersi conto della mostruosità contro natura che è insita in disposizioni del tipo “Il padre potrà vedere i figli dalle ore A alle ore B dei giorni X e Y”. Il delirio totalizzante, tipico della Modernità, di controllare e legiferare circa ogni aspetto della vita dell’individuo, raggiunge in questo ambito il suo apice, mostra tutto lo scarto tra la freddezza del dettato normativo e la carne e il sangue che sono propri della vita vera. Quella carne e quel sangue che, a prescindere da ogni valutazione di opportunità e di convenienza, dovrebbero spingere chiunque a rifiutare con orrore l’idea di vedersi limitato e regolamentato pure in quel ruolo, quello di genitore, che è forse l’unico a dare un senso alla propria esistenza. Perché accettare di essere privati della propria dignità politica e sociale e di divenire schiavi del sistema produttivo è indubbiamente allucinante. Ma accettare di non poter più essere nemmeno padri è disumano.