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Carneficina e corruzione in Iraq

di Sami Ramadani - 29/10/2009

Ignorati dall'Occidente, gli iracheni continuano a soffrire, mentre l''exit strategy' statunitense inizia a disfarsi


E' tragico che l'Iraq conquisti i titoli dei giornali solo se si verifica un'esplosione significativa con centinaia di morti e feriti. La carneficina di ieri a Baghdad è la seconda del genere in due mesi, e un altro orribile messaggio che fa ricordare che gli iracheni stanno tuttora pagando con il proprio sangue per l'invasione guidata dagli Usa e per l'occupazione del proprio Paese.

Nonostante sia inevitabile, c'è qualcosa di moralmente discutibile nel modo in cui l'Afghanistan ha sostituito l'Iraq nei titoli delle notizie. Man mano che il numero delle vittime fra le forze statunitensi in Iraq è diminuito, e i numeri equivalenti delle vittime statunitensi e britanniche in Afghanistan hanno iniziato a salire, quest'ultimo Paese ha gradualmente sloggiato l'Iraq nella programmazione delle notizie. Ciò ha dato l'impressione che la situazione in Iraq sia notevolmente migliorata, e che il Paese stia facendo progressi su tutti i fronti. In giugno, in mezzo a una gran fanfara, le forze Usa sono state "ritirate" dalle città irachene all'interno di varie basi situate in tutto il Paese.

Non c'è alcun dubbio che la situazione per le forze statunitensi sia migliorata, mentre le truppe britanniche sono state trasportate in aereo via dai fuochi dell'Iraq per essere gettate in mezzo alle fiamme dell'Afghanistan. Il piano Usa per l'Iraq finora è riuscito nel ridurre le perdite americane, spingendo un maggior numero di forze irachene nella battaglia contro la "rivolta" – meglio conosciuta in Iraq come l'"onorevole resistenza patriottica" per distinguerla dagli odiati attacchi terroristici stile al-Qaeda.

Ma provate a dire agli iracheni che non fanno parte dei circoli di governo che la loro situazione è migliorata dall'occupazione in poi e vi ricorderanno non solo gli innumerevoli morti e feriti, ma anche il milione e più di orfani e vedove, i 2 milioni che sono fuggiti dal Paese, e i 2 milioni di sfollati interni, la maggior parte dei quali vive in uno squallore terribile.

Vi parleranno dei liquami che coprono le strade di molte città grandi e piccole, della mancanza di acqua pulita, di carburante, e di elettricità, e dei servizi sanitari ed educativi che continuano a deteriorarsi. Vi diranno della disoccupazione che supera il 50%, dei rapimenti di bambini, della paura delle donne a muoversi liberamente, e del rapido aumento dell'abuso di stupefacenti e della prostituzione. Vi descriveranno i metodi di tortura orribili inflitti alle decine di migliaia di prigionieri nelle carceri irachene e in quelle americane. Vi ricorderanno che se un "patriota famoso in tutto il mondo " come Muntadhar al-Zaidi, che ha lanciato le sue scarpe contro il Presidente Bush, è stato torturato dalle guardie e dalle forze dello stesso Primo Ministro Nuri al-Maliki, cosa possono aspettarsi i cittadini qualunque?

Gli iracheni inoltre faranno immediatamente allusione ai governanti corrotti che sono arrivati in Iraq "sui carri armati Usa". Vi racconteranno della spartizione dei ministeri e dei posti principali fra i vari alleati degli Stati Uniti, identificati a seconda della confessione e dell'etnia. In effetti, la corruzione ha raggiunto livelli tali che il ministro del Commercio e i suoi fratelli sono stati accusati dalla "Commissione di integrità" di aver rubato centinaia di milioni di dollari, mentre il vice ministro dei Trasporti è stato colto in flagrante mentre riceveva 100.000 dollari come "prima rata " di un'altra enorme tangente.

Mentre l'Iraq e il suo popolo continuano a soffrire, nel silenzio della maggior parte dei media occidentali, il Presidente Obama sta tuttora perseguendo l'obiettivo del Presidente Bush in Iraq: quello di avere a Baghdad un governo che sia stretto alleato degli Stati Uniti. Ciò è incompatibile con la realizzazione di un Iraq stabile, pacifico, e democratico. Quello che gli strateghi statunitensi ancora non hanno imparato è che gli iracheni non accetteranno liberamente un regime filo-Usa a Baghdad, e che la "exit strategy" avrà come risultato inevitabile una occupazione a lungo termine, e porterà solo altro spargimento di sangue e altra distruzione.

Perché gli iracheni dovrebbero eleggere un insieme disparato di politici corrotti e confessionali filo-americani? L'unica exit strategy realistica deve iniziare con il diritto del popolo iracheno all'autodeterminazione, senza alcun intervento americano.

Sami Ramadani, un esule politico del regime di Saddam Hussein, insegna alla Metropolitan University di Londra

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)
The Guardian/Comment is Free