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Copenaghen: Bye Bye Artico!

di Mauro De Bonis - 13/12/2009

Fonte: Limes

Conviene a Mosca e alle altre capitali rivierasche salvare i ghiacci del nord o aspettare che si sciolgano per recuperare l'eldorado energetico che nascondono? Nonostante tutto meglio la prima.






Il vertice globale sui cambiamenti climatici di Copenaghen, proprio perché organizzato nella capitale danese, assume un accento del tutto particolare. La Danimarca, infatti, è uno tra i cinque paesi che confinano con il Mar Glaciale Artico, regione a rischio geologico per l'inesorabile scioglimento dei suoi ghiacci.

Un fenomeno dovuto al surriscaldamento del pianeta che rischia di trasformare l'area intorno al Polo Nord nel teatro di una disputa geopolitica tra le potenze rivierasche e di creare danni catastrofici al permafrost che ricopre buona parte del nord della Russia.

Mosca e Copenaghen, insieme a Stati Uniti,
Canada e Norvegia, se con una mano cercano di scongiurare che i ghiacci artici si fondano irrimediabilmente, con l'altra sono pronti, anzi si stanno attrezzando, a recuperare la gran massa dei tesori che giacciono sotto quei fondali. Parliamo principalmente di idrocarburi, gas e petrolio, stimati in circa un terzo delle riserve mondiali.

Un eldorado che ha scatenato una vera e propria
corsa artica con tanto di pretese territoriali e dispiegamento di forze armate. Una disputa che vedrebbe la Russia contrapposta a quattro paesi Nato, pronti a sostenere ognuno le ragioni degli altri alleati.

Eppure, gli alti costi che si dovrebbero sostenere
per individuare e estrarre le materie energetiche nascoste, potrebbero frenare di molto la corsa artica e spingere i contendenti ai box, per parlare e trovare una comune strategia onde evitare di dissanguarsi o peggio prendersi a fucilate.

Mosca ne sembra convinta e pur non rinunciando alla pretesa di 1milione e 200mila kmq di acque artiche, come proseguimento della piattaforma siberiana, lancia chiari segnali di disponibilità alla cooperazione agli altri contendenti e ai vertici della Nato, con quest'ultimi che di buon grado li ricevono e lesti li rispediscono al mittente ben infiocchettati.

L'estinzione di quei ghiacci, che eterni più non sono, permetterebbe alla Federazione russa di sfruttare anche la Rotta marittima settentrionale. Il corridoio di trasporto che almeno in estate collegherebbe con enormi risparmi l'Occidente all'Asia lambendo molti dei 17mila chilometri di costa artica russa.

Un confine sterminato che descrive il ricco nord della Federazione, dove, e sono dati snocciolati dal presidente Medvedev in persona, si ottiene il 20% del prodotto interno lordo e il 22% delle esportazioni nazionali.

Ma dove lo scioglimento dei ghiacci artici potrebbe provocare il maggior numero di sciagure. Il riscaldamento globale andrebbe infatti a scongelare il permafrost che ricopre oltre il 60% del territorio russo. Una regione immensa da dove Mosca estrae circa il 93% del suo gas e quasi il 75% del petrolio.

Un'area traversata dunque da molti
gasdotti ed oleodotti che, secondo Greenpeace, saranno seriamente minacciati dal ritiro del permafrost. La loro manutenzione e messa in sicurezza costerà, sempre secondo l'organizzazione ambientalista, un grave esborso da parte delle compagnie energetiche russe pari a circa 1,3 miliardi di euro all'anno.

A questo vanno aggiunte le prevedibili inondazioni per l'ingrossamento dei fiumi, dopo lo scioglimento del terreno ghiacciato. La fuoriuscita del metano, la messa fuori uso delle installazioni militari e dei depositi di riserve energetiche. Oltre all'inesorabile variazione del confine terrestre del nord della Federazione. Un fenomeno che ancora Greenpeace quantifica in una riduzione del territorio russo di 30 kmq all'anno.