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Terrorismo a orologeria?

di Michele Paris - 30/12/2009

 

Il fallito attentato al volo Northwest-Delta 253 partito da Amsterdam e diretto a Detroit il giorno di Natale ha suscitato una valanga di reazioni per le falle ad un sistema di sicurezza che ha permesso l’imbarco per gli USA di un passeggero nigeriano il cui nome era da tempo su un database di presunti terroristi. La vicenda del 23enne Umar Farouk Abdulmutallab, a ben guardare, solleva però alcuni inquietanti interrogativi di diversa natura e suggerisce una sconcertante coincidenza con l’espansione dello sforzo miliare americano contro il terrorismo sullo scacchiere mediorientale.

Come hanno ampiamente riferito i media di tutto il mondo, l’attentatore arrestato al Metro Airport della metropoli del Michigan era finito da qualche tempo nel mirino dei servizi di sicurezza statunitensi. Qualche mese fa, addirittura, il padre di Abdulmutallab, banchiere ed ex funzionario governativo nigeriano, aveva segnalato all’ambasciata americana di Abuja i suoi timori per le attività del figlio e il suo avvicinamento all’estremismo di matrice islamica.

Dopo gli avvertimenti, il giovane nigeriano educato in Gran Bretagna era finito su una lista nera governativa (Terrorist Identities Datamart Environment) assieme ad altre 500 mila persone sospettate di avere legami con organizzazioni terroristiche. Essere stato aggiunto alla cosiddetta TIDE, tuttavia, non aveva comportato l’inserimento del nome di Abdulmutallab in una lista ben più ristretta di sospetti - circa 4 mila nomi - a cui viene vietato l’imbarco per gli USA, né ad una seconda - 14 mila nomi - che prevede controlli approfonditi al check-in.

Dopo aver acquistato un biglietto per Detroit, Abdulmutallab ha potuto così imbarcarsi all’aeroporto Schiphol di Amsterdam, senza alcun bagaglio. Durante il volo, l’attentatore è stato poi bloccato da alcuni passeggeri dopo aver fallito nel suo tentativo di far detonare l’esplosivo che aveva attaccato al corpo.

La spiegazione fornita dalle autorità per aver permesso ad un sospetto già schedato, e con dell’esplosivo, di prendere un aereo diretto in America risulta ben poco convincente. Una semplice svista o disattenzione appare infatti estremamente improbabile alla luce delle rigidissime direttive che negli ultimi anni hanno impedito a molti passeggeri di imbarcarsi o di entrare nel paese anche senza apparenti motivi. Le cronache raccontano di numerosi episodi di questo genere. Nell’aprile di quest’anno, ad esempio, sembra che le autorità americane abbiano rifiutato il permesso di sorvolare il proprio spazio aereo ad un velivolo dell’Air France diretto in Messico perché a bordo vi era un giornalista “di sinistra” autore di un libro sulla CIA. Nel 2004, nientemeno, fu il defunto senatore Ted Kennedy a finire sulla “no-fly list” del Dipartimento della Sicurezza Nazionale, quando a Washington gli fu impedito di prendere un aereo per Boston.

Per Umar Farouk Abdulmutallab, al contrario, i provvedimenti previsti non contemplavano nemmeno la revoca del visto di ingresso negli USA, che sarebbe scaduto nel giugno 2010. Solo dopo questa data, e in caso di una richiesta di rinnovo del visto, secondo quanto riferito dalle autorità, sarebbe stata disposta un’indagine più approfondita sul background del sospetto. I movimenti di Abdulmutallab, una volta rotti i rapporti con la propria famiglia in Nigeria, contribuiscono poi ad alimentare i dubbi sulla supposta “svista” del sistema di sicurezza. Dopo un soggiorno di studio a Londra tra il 2008 e il 2009 - dove, secondo quanto dichiarato da un anonimo cugino al New York Times, sarebbe entrato in contatto con esponenti del radicalismo islamico - Abdulmutallab si sarebbe infatti recato in Yemen, il paese natale della madre.

Qui, il membro di una benestante famiglia nigeriana avrebbe intrattenuto rapporti con esponenti di Al-Qaeda, ricevendo l’addestramento necessario per portare a termine attentati terroristici in Occidente. Proprio intorno a questo tormentato paese mediorientale - e alla Somalia - si stanno ora concentrando i resoconti della stampa, scrupolosamente impegnata a spiegare la crescente presenza di guerriglieri jihadisti che starebbero evacuando i loro rifugi non più sicuri in Pakistan e Afghanistan.

L’incidente di Detroit arriva così in un frangente quanto meno sospetto. In concomitanza cioè con varie rivelazioni giornalistiche di un impegno sempre maggiore dell’intelligence americana in Yemen, ufficialmente per colpire le basi dei militanti di Osama bin Laden, in realtà per aprire un nuovo fronte nella penetrazione di Washington in Medio Oriente. Le dichiarazioni di molti politici americani in questi giorni e il collegamento tra le attività di Abdulmutallab e lo Yemen sembrano presagire insomma una nuova escalation militare in questo paese.

Da almeno un anno d’altra parte, svariati agenti di primo piano della CIA si sono incontrati con esponenti governativi yemeniti, mentre esperti americani delle Operazioni Speciali pare stiano da tempo addestrando le forze di sicurezza locali per condurre operazioni anti-terroristiche. Il contributo americano in termini economici, militari e di intelligence, si sta recentemente concretizzando in una serie di offensive delle forze armate locali contro la resistenza di Al-Qaeda, da ultimo il bombardamento dello scorso 17 dicembre, che ha causato la morte di una sessantina di militanti.

L’episodio di Abdulmutallab, insomma, sembra ricalcare lo schema di altre “disattenzioni” delle autorità di sicurezza americane del recente passato e che ha il suo esempio più eclatante nei fatti che hanno preceduto l’11 settembre. Come l’attentatore nigeriano, anche i dirottatori di Al-Qaeda alla vigilia degli attacchi alle Twin Towers erano noti ai servizi segreti americani e, nonostante tutto, anche a loro venne consentito di entrare negli Stati Uniti, prendere lezioni di volo e alla fine imbarcarsi sugli aerei che si sarebbero schiantati su New York e il Pentagono.

Come nel caso dell’11 settembre 2001, anche il fallito attentato sul volo Amsterdam-Detroit, è facile immaginare, servirà così ad alzare il livello di guardia negli USA, seminando nuove paure tra una popolazione che da tempo ormai ha cominciato a mostrare la propria contrarietà allo sforzo militare in Afghanistan.

Sulle mancanze della sicurezza nel giorno di Natale, intanto, ha già disposto un’indagine lo stesso presidente Obama, mentre il Congresso ha chiesto chiarimenti. Un coro di voci e richieste già sentite all’indomani dell’11 settembre e, come in quella circostanza, c’è da temere, nessuna reale spiegazione verrà fornita per le mancanze del sistema di sicurezza, così come nessuna responsabilità delle agenzie governative coinvolte verrà alla fine accertata.